Il cinema è delle donne: quattro film da rivedere (non solo durante le feste)
Il divario di genere nel cinema
Il cinema è uno strumento potente di rappresentazione e, per ampliare l’orizzonte, serve più spazio: le donne che lavorano nel cinema restano ancora troppo poche. Come riporta il primo rapporto annuale dell’Osservatorio per la Parità di Genere del Ministero della Cultura, “La questione di genere tra immaginario e realtà”, le professioniste che lavorano nel settore non sono molte: il 23% nella sceneggiatura, il 27% nel montaggio e nella produzione (26%) e sono ancora meno le professioniste che si occupano di fotografia, musica ed effetti speciali sul set (tra il 10 e il 16%).
Inoltre, nell’attività autoriali, di direzione o sceneggiatura, le donne hanno anche una retribuzione media per giornata lavorativa più bassa di quella dei loro colleghi: negli ultimi tre anni considerati dallo studio (2019-2021), il gender gap tende a ridursi nelle professioni a prevalenza femminile (scenografia, costumi e trucco) mentre cresce nei gruppi professionali apicali, tipicamente a prevalenza maschile.
Se le donne sono assenti dietro la macchina da presa c’è il pericolo che sia lo sguardo predominante, ovvero quello maschile, a raccontarle e “farne le veci”. Ecco alcuni film da guardare e riguardare per invertire lo sguardo.
"C’è ancora domani" di Paola Cortellesi
“C’è ancora domani” è il Film dell’anno dei Nastri d’Argento: con questa notizia il Direttivo dei Giornalisti Cinematografici festeggia il valore eccezionale di un successo e l’exploit sorprendente di Paola Cortellesi che ha conquistato il pubblico e la stampa.
Nella motivazione del ‘Nastro dell’anno’ si legge: «L’esordio di Paola Cortellesi dietro la macchina da presa, oltre i titoli che saranno votati a maggio, ha già dimostrato di meritare una particolare sottolineatura di eccellenza con un riconoscimento che premia – oltre il clamoroso risultato degli incassi – l’originalità e il valore di un film che continua a far parlare un Paese. ‘C’è ancora domani’ ha dimostrato fin dal debutto una vera e propria svolta non solo nel rapporto col pubblico, ma anche nella capacità di leggere nella storia di una donna di ieri temi che toccano un nervo scoperto nella società e nella tragica quotidianità di un tempo che per le donne non sembra aver cancellato violenza di genere né discriminazione».
Esplorare il mondo, fuori dal domestico, è stata una conquista faticosa e dolorosa che si poggia sulla spalle delle donne venute prima di noi. Il film di Cortellesi lo racconta. Prima del diritto di voto, prima del diritto all’aborto, prima di tutto: il primo esercizio di autodeterminazione è stato cambiare le sorti delle donne - decise dagli uomini - con quello che si aveva a disposizione.
Distribuire piccoli atti di eversione nella vita quotidiana. Il film di Cortellesi indica che sì, c’è ancora domani: nella tensione verso il futuro, c’è un presente di riconoscimento che va ascoltato. La storia della protagonista Delia parla alle donne di oggi partendo da quelle di “ieri”.
"Barbie" di Greta Gerwig
La Barbie di Greta Gerwig non può cambiare il mondo reale, né nel bene, né nel male: non dobbiamo illuderci che una singola azienda abbia questa responsabilità perché, quello che può cambiare davvero le sorti, è il potere dell’immaginazione
Barbie Stereotipo, interpretata da Margot Robbie che è anche la produttrice del film, è circondata da altre Barbie tutte molto diverse fra loro che vivono in armonia nel mondo di Barbieland, dove ogni giorno è il giorno più bello di sempre e dove ogni sera c’è un pigiama party per sole Barbie. I Ken non sono altro che accessori delle Barbie. Barbie Stereotipo, bionda, bellissima e senza cellulite, sembra farsi bastare tutto questo per un po’, almeno finché qualcosa comincia a scricchiolare nella sua vita.
Barbie è un film che mette le donne al centro della storia e non lo fa nel modo tradizionale, ovvero rappresentandole come sconfitte dalla vita o come modelli pedagogici. Le donne che Gerwig porta sullo schermo possiamo essere esattamente noi: a volte straordinarie a volte meno, sempre capaci di ballare, ridere, bastare a noi stesse. Una commedia universale su cosa significhi diventare grandi, capire chi si vuole diventare e soprattutto accettarlo.
"Women Talking – Il diritto di scegliere" di Sarah Polley
Raccontare l’amore di una coppia osteggiato dall’Alzheimer, la crisi di una giovane donna divisa tra un matrimonio apparentemente felice e un sentimento inaspettato, analizzando il ruolo di segreti e ricordi all’interno della sua stessa famiglia: Sarah Polley lo fa in Women Talking – Il diritto di scegliere, posizionandosi tra i nomi più importanti e significativi del nuovo cinema americano per la sua capacità di indagare le emozioni con profonda intimità.
Il film parte dal romanzo del 2018 di Miriam Toews, Donne che parlano, ispirato a sua volta a fatti realmente accaduti nel 2011 in una colonia Manitoba in Bolivia. La scena che apre la pellicola è un’inquadratura dall’alto di una giovane donna, Ona (Rooney Mara), membro di una comunità mennonita, distesa su un letto. L’interno delle sue gambe è sporco di sangue. È stata violentata. Quello che è successo quella notte è già accaduto prima, a lei e alle altre donne della colonia.
Quando scoprono che quegli atti di violenza non sono il frutto della «sfrenata immaginazione femminile» ma degli uomini della comunità che per anni le hanno controllate, drogate e abusate, Ona e le altre li fanno arrestare ma hanno ventiquattro ore di tempo prima che i loro aggressori facciano ritorno.
In quel brevissimo tempo si riuniscono in un fienile per decidere il loro futuro: non fare nulla, restare e combattere o andarsene. Così, insieme, le donne protagoniste di Women Talking fanno qualcosa che era sempre stato negato loro: iniziano a pensare
“Promising young woman” di Emerald Fennell
Da rivedere adesso, urgente e necessario: Promising young woman è il film scritto e diretto da Emerald Fennell che spiega la cultura dello stupro in modo potente e inequivocabile.
La protagonista Cassie era considerata da tutti “una donna promettente”, una di quelle che nella vita avrebbe fatto grandi cose. Ma poi qualcosa è andato storto e, alla soglia dei trent’anni, la ragazza vive ancora con i suoi genitori e lavora come barista. A spezzare questa monotonia un rituale ripetuto tutte le settimane: Cassie va in un locale, si finge ubriaca e, una volta che il ragazzo di turno la porta a casa e cerca di approfittare di lei, lo terrorizza svelandogli la sua sobrietà.
“Perché devi rovinare tutto?” chiede uno dei “bravi ragazzi” nel film. Cosa sta rovinando Cassie? Il diritto dell’uomo di avere un rapporto con una donna sbronza, perfettamente legittimato da una cultura patriarcale che lo rende accettabile. Nonostante la denuncia di un sistema che legittima la violenza, il film non costruisce una contrapposizione di genere tra i personaggi positivi e negativi: a ognuno di loro viene data la dignità di persone immerse in complesse dinamiche sociali e culturali in cui è la cultura dello stupro il problema strutturale.
L’efficacia della narrazione di Fennel sta tutta qui: accogliere tutte le obiezioni alla cultura dello stupro e smontarle una ad una.