Perché la seconda causa al mondo di emissioni di CO2 è nella nostra pancia

Ebbene sì, che lo vogliamo o no, oggi l’industria della carne ha degli impatti tali da non essere più sostenibile. Questo settore è infatti tra le principali cause di emissioni di gas climalteranti, tra cui l’anidride carbonica e il metano. Vi spiego perché

Secondo la FAO - la Food and Agricolture Organization delle Nazioni Unite - il consumo mondiale di cibo genera un terzo delle emissioni di gas serra a livello globale, e di queste circa l’80% è da attribuire alla produzione della carne e dei suoi derivati.

Tra le carni a maggior impatto ci sono manzo e agnello, mentre tra gli alimenti a minor impatto abbiamo i frutti a guscio e le patate.

Il grafico di OurWorldinData, pubblicazione scientifica che presenta ricerche e studi su come stanno
Il grafico di OurWorldinData, pubblicazione scientifica che presenta ricerche e studi su come stanno cambiando le condizioni di vita nel mondo

Perché l'industria della carne ha un impatto così pesante?

La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo dato che tocca tantissimi fattori, da quello sociale a quello ecosistemico e ambientale, causando molti problemi sia diretti che indiretti. Possiamo citare per esempio la deforestazione, il consumo di acqua ma non solo, la diffusione di malattie che mettono a rischio la salute umana e le emissioni di metano.

L'industria della carne causa la deforestazione, il sovraconsumo di acqua, la diffusione di malattie che mettono a rischio la salute umana e le emissioni di metano

Per quanto riguarda la deforestazione, sappiamo quanto gli alberi siano necessari alla nostra sopravvivenza, banalmente perché producono l’ossigeno di cui abbiamo bisogno per sopravvivere ma non solo: le foreste sono infatti enormi serbatoi di carbonio. Insieme agli oceani, le foreste assorbono l’anidride carbonica diminuendo l’effetto serra e aiutandoci a combattere il riscaldamento globale.

Quando migliaia di ettari vengono dati alle fiamme non solo questi alberi smettono di assolvere alla loro funzione principale nostra alleata, ma addirittura iniziano ad emettere CO2. Come sappiamo, qualsiasi processo di combustione causa il rilascio di gas climalteranti. In altre parole, facciamo autogoal. Purtroppo, ogni anno assistiamo ad abbattimenti illegali di questa risorsa inestimabile, portati avanti da proprietari terrieri e agricoltori che devono far fronte alle richieste di carne dei mercati mondiali, caso famosissimo quello della Foresta Amazzonica.

Deforestazione in Amazzonia
Deforestazione in Amazzonia

Passando all’acqua, per produrre 1Kg di carne servono in media 11.500 litri di acqua di cui solo 1.405 litri vengono effettivamente usati. Ovviamente il dato cambia a seconda del tipo di carne, ma comunque resta un impatto enorme. A questo si aggiunge il fatto che negli allevamenti intensivi gli animali ricevono molti medicinali, tra cui antibiotici per contrastare malattie, ormoni per stimolarne la crescita e diverse altre sostanze che restano nella carne che poi finisce poi nelle nostre tavole.

Per produrre 1Kg di carne servono in media 11.500 litri di acqua di cui solo 1.405 litri vengono effettivamente usati

Infine, c’è tutto il tema del metano. Il processo digestivo degli erbivori prevede il fenomeno della fermentazione enterica che è a carico dei microrganismi presenti nel tratto digerente. Questo processo porta alla produzione di metano, un gas climalterante 84 volte più potente dell’anidride carbonica. Purtroppo, le flatulenze su scala globale di questi animali causano il 30% delle emissioni del suddetto gas.

Perché allora continuiamo a mangiare carne?

Qualche anno fa è stato condotto uno studio dall’Università di Aberdeen, nel Regno Unito. Sono emerse varie tesi che spiegherebbero il motivo, tra cui: la mancanza di consapevolezza dell'associazione tra consumo di carne e cambiamento climatico, la convinzione che il consumo personale di carne giochi un ruolo minimo nel contesto globale del cambiamento climatico; e la resistenza all'idea di ridurre il consumo personale di questo alimento e dei suoi derivati.

Ora però il punto è uno: ammesso che, come emerge dallo studio, ognuno di noi abbia le sue motivazioni per non cambiare dieta, perché non chiederci quante volte mangiamo sempre gli stessi sei o sette alimenti? Inizio io: capita sempre.

Quindi perché non iniziare a variare i nostri menù sperimentando qualche tipo di cereale nuovo, di latte vegetale o ricetta vegana? Molti dei piatti che mangiamo lo sono già ma non lo sappiamo! Possiamo iniziare così, poi il resto verrà da sé…


Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie chepossono apparire all'interno di questo contenuto.

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