Climate change: cosa dice il nuovo rapporto delle Nazioni Unite

Pochi giorni fa è uscito il nuovo rapporto delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, anche conosciuto con il nome di IPCC, acronimo di Intergovernamental Panel on Climate Change. Un rapporto molto importante che ritrae la situazione attuale legata al cambiamento climatico. Oggi vi racconto cos'è emerso

Lo scopo principale dell'IPCC è quello creare un documento che valuti in maniera completa lo stato dei cambiamenti climatici.

Al momento l’IPCC ha concluso il suo sesto ciclo di rapporti e come sempre ha pubblicato un documento di sintesi per i policy makers, su cui i governi dovranno basare le proprie azioni climatiche.

Dal report emerge che c’è poco da fare: più di un secolo di utilizzo di gas, petrolio e fonti fossili ci ha condotti a un aumento di temperatura media globale di 1,15 gradi

Secondo gli scienziati non possiamo superare la soglia di +1,5 gradi o ci aspettano eventi atmosferici estremi (ondate di calore, violente precipitazioni, insicurezza alimentare e idrica) che saranno sempre più pesanti ma soprattutto imprevedibili.

Cosa dice il nuovo rapporto?

Di fatto, nulla che non sapevamo già. Nel 2018 i ricercatori avevano evidenziato la portata senza precedenti della sfida climatica; oggi, cinque anni dopo, questa stessa sfida è diventata ancora più importante.

Purtroppo continuiamo a viaggiare nella direzione sbagliata, dato che le misure di governi e istituzioni a livello nazionale e sovranazionale non stanno facendo abbastanza

La situazione è grave: dobbiamo agire con urgenza e concentrarci su misure di adattamento e mitigazione. Ciò significa che dovremo ridurre al massimo gli impatti del cambiamento climatico e ridurre il più possibile le emissioni di gas a effetto serra.

Al momento circa l’80% delle emissioni globali proviene da energia, industria e trasporti mentre il restante 20% da agricoltura e uso del suolo. Secondo il rapporto, poi, continuiamo ancora a indirizzare i flussi finanziari e gli investimenti verso le fonti fossili e non in politiche per risolvere la crisi climatica.

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Continuando in questa direzione, il trend di aumento di temperatura media globale ci suggerisce che entro il 2100 saremo a +3.2 gradi.

Quali sono le soluzioni?

Tra quelle proposte, oltre ai metodi di rimozione dell’anidride carbonica basati su processi biologici (foreste e oceani), entrano in campo anche le tecnologie di cattura e stoccaggio di CO2 (CSS). Infatti, per raggiungere l’obiettivo degli Accordi di Parigi dovremmo avere emissioni negative e questo è difficile da immaginare dato che ci sono alcune industrie chiamate “hard to abate”, in cui cioè è difficile abbattere le emissioni. Alcuni esempi sono il settore dell’aviazione, quello del trasporto marittimo, oppure l’industria pesante.

Di fatto, come ci dicono gli scienziati, abbiamo ancora speranza ma dobbiamo ripensare completamente il sistema di approvvigionamento energetico, decarbonizzare ed efficientare le tecnologie che ci garantiscono energia da fonti rinnovabili. Dare il massimo insomma! E alla fine così facendo, di sicuro eviteremo lo scenario peggiore dei +3 gradi!


Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie che possono apparire all'interno di questo contenuto.

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