Scrivere (e regalare libri) di donne è un atto politico: le idee per Natale
Nel 1926 la scrittrice sarda Grazia Deledda è la prima donna italiana (e fino a oggi l’unica) a vincere il premio Nobel per la Letteratura. L’Accademia di Svezia la sceglie «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano». Eppure oggi il suo nome compare solo marginalmente nelle antologie. Un destino comune a tante altre scrittrici e poete, italiane e non.
Escluse dai canoni letterari, dalle antologie e dai premi (dal 1947 a oggi, ad esempio, il premio Strega è stato vinto solo da 11 donne) ancora oggi assistiamo a quella che la scrittrice Michela Murgia chiama «sottorappresentazione del pensiero delle donne nei media e negli spazi culturali», dovuta a una svalutazione delle loro idee.
I racconti in cui a parlare sono le donne vengono definiti “femminili”, nel senso di “secondario”: come se quello che dicessero le donne dia in automatico un colorito esclusivamente sentimentale al testo e non sia capace di parlare di altro. Esiste una scrittura “femminile” diversa se non contrapposta a quella “maschile”? A rispondere senza esitazione è la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli nel suo Scrivere con l’inchiostro bianco (Iacobelli editore, 2018):
Femminile e maschile sono degli aggettivi qualificativi, cioè indicano delle qualità. Queste qualità sono variabili nel tempo e nello spazio, valgono per noi e non per altri popoli, valgono oggi e non domani, oppure non erano valide ieri. Molto diverso è invece parlare di scrittura delle donne, questo rimanda al soggetto, al corpo
Essere una donna, un uomo, significa avere un corpo e questo corpo porta inevitabilmente nel racconto il suo punto di vista: «La mano di chi scrive non è mai una mano neutra: ha un sesso, una classe, una razza. È una mano che si porta dietro una storia, che è la storia di chi scrive. E che lo voglia o meno, chi scrive è influenzato in quello che scrive dal suo essere bianco o nero, ricco o povero, uomo o donna».
Ecco, allora, perché regalare un libro è un gesto politico: idee e proposte.
Patrizia Cavalli, "Con passi giapponesi"
«Vita meravigliosa/ sempre mi meravigli/ che pure senza figli/ mi resti ancora sposa.» Con queste parole si apre la raccolta di poesie Vita Meravigliosa (Einaudi, 2020) di Patrizia Cavalli: un piccolo inno indirizzato alla vita, grato e pungente, e che la poeta – così ha voluto essere chiamata e così la chiamò Elsa Morante negli anni ’70, quando scoprì il suo talento – non ha abbandonato nemmeno con la sua scomparsa. Da anni, ad armi impari, combatteva contro un cancro e i suoi versi sono rimasti intatti nella verità, eleganza e spietatezza.
Nelle pagine di Con passi giapponesi (Einaudi, 2019), Patrizia Cavalli sembra abbandonare i versi ma, ancora una volta, sfugge alle definizioni. Cavalli potente e indefinibile: difficile dire con certezza se si tratti di prosa o di poesia. Nel ritmo che la poeta infligge alle sue parole, definire non è importante. Le parole vivono di vita propria e si fanno spazio in una struttura anarchica, dando forma ai singoli testi: all’inizio racconti brevi, poi riflessioni, analisi introspettive, descrizioni dilatate di momenti inafferrabili.
Il corpo, la malattia, l’amore, l’ipocondria: Con passi giapponesi intreccia tutto procedendo con un’andatura delicata e sfumata, eppure immediata e diretta
«Credevamo di sapere tutto di Patrizia Cavalli dopo aver letto i suoi libri di versi, ma questo libro di prosa è una rivelazione.» - scrive il critico letterario Alfonso Berardinelli – «Eppure sembra che questo libro di abbagliante virtuosismo letterario sia nato fuori dalla letteratura, per ubbidire a un solo personale imperativo: "Devo capire"».
bell hooks, "Tutto sull'amore. Nuove visioni"
L’amore: il motore che incide sulle nostre coscienze, la forza politica che orienta le decisioni sempre secondo sentimenti di incontro e di costruzione, e mai di dissoluzione e distruzione. E allora perché abbiamo paura di parlare d'amore?
Da questa domanda parte la riflessione della filosofa e femminista bell hooks, la cui scelta di utilizzare il carattere minuscolo nel nome rimarca la volontà di rinunciare alla strutturazione di un soggetto identitario e dare priorità alle cause che portava avanti. Tra queste, un’idea semplice e potente: l’amore è un’azione.
Nella visione di hooks – ben chiara nel libro Tutto sull'amore. Nuove visioni (Feltrinelli, 2013), l’amore deve diventare un fenomeno sociale e superare i limiti della coppia di individui, della famiglia nucleare composta da genitori e figli, del gruppo sociale o culturale.
Adottare un’etica di amore vuol dire vivere la propria esistenza responsabilizzandosi in ogni atto, parola e pensiero
Come? Rivolgendoli all’esterno e tenendo presente la sostanziale interdipendenza delle nostre vite. Conoscere l’amore nei suoi attributi di cura, impegno, fiducia e responsabilità – scrive hooks - significa tenere presenti le persone e l’ambiente che ci circondano, poiché sono attributi che si riferiscono allo scambio e alla reciprocità. Inutile teorizzare di libertà utopiche, di liberazioni irrealizzabili - sottolinea la filosofa – se non si parte da una seria analisi del bisogno di amore e della capacità di amare.
La base di una politica che possa trasformare meccanismi di potere e oppressione attraverso la ricerca di un benessere comune e condiviso ha a che fare con l’amore. Tutto è sull’amore
Alba de Céspedes, "Quaderno proibito"
Alba de Céspedes è stata – e continua ad esserlo nelle sue pagine – una scrittrice italiana potente e dimenticata: troppo a lungo sottovalutata ed etichettata come letteratura femminile, la sua penna è in realtà affilata e tagliente. Estremamente capace di indagare pulsioni e contraddizioni.
«Ho fatto male a comperare questo quaderno, malissimo. Ma ormai è troppo tardi per rammaricarmene, il danno è fatto»: con queste parole inizia il suo diario Valeria Cossati, la protagonista del romanzo Quaderno proibito (Mondadori, 2022).
Una donna della classe media nell'Italia degli anni Cinquanta, poco più di quarant'anni, due figli grandi, un marito disattento, un lavoro d'ufficio che svolge senza apparente passione: Valeria è assorbita dal ritmo "naturale" della quotidianità piccolo-borghese, schiacciata tra i suoi ruoli di moglie, madre, impiegata. Un giorno però, colta da un impulso che a lei stessa appare irragionevole e inspiegabile, acquista un taccuino su cui comincia ad annotare fatti minuti e riflessioni.
Nello spazio "proibito" della scrittura, Valeria scopre i conflitti sotterranei che pervadono la sua esistenza, le aspirazioni frustrate, i risentimenti nascosti; dà voce a una vita interiore da anni sopita, esprime una propria individualità, una precisa coscienza rivelata dai gesti e dai pensieri della vita quotidiana
Pubblicato a puntate tra il 1950 e il 1951, Quaderno proibito è testimonianza storica di un'epoca e fondamenta per tutte le rivoluzioni successive: scrivere non è solo catartico, ma diventa rivelazione.
Sibilla Aleramo, "Una donna"
Nel corso di quell’interminabile amare che fu la sua esistenza, Sibilla Aleramo finì col costruire di sé un personaggio che offuscò l’immagine della scrittrice, restando nell’ombra per anni. Solo leggendo le sue pagine ci accorgiamo che nessuna etichetta funziona se si vuole capire il rapporto fra vita e scrittura in Sibilla Aleramo.
Femminista ante litteram, Aleramo anticipa già agli inizi del '900 la necessità di costruire la propria individualità fuori dai modelli tradizionali imposti dalla società
Un femminismo che nasce dalla narrazione di sé e che la scrittrice mette a fuoco nel suo Una donna (Feltrinelli, 2013). Pubblicato nel 1906, il romanzo diverrà un successo autobiografico: il racconto privato diventa pubblico e politico, una coscienza anticipatrice dei temi del movimento femminista italiano degli anni ‘70.
Le vicende della sua giovinezza segneranno la scrittrice per sempre. Trasferitasi con la famiglia dal Piemonte a Civitanova Marche, a 15 anni subì uno stupro da parte di un impiegato della fabbrica diretta dal padre: la famiglia la obbligò a sposare il violentatore.
Un matrimonio senza amore, una vita monotona imposta dal marito in cui fa da sfondo il provincialismo esasperato. Aleramo tentò il suicidio col laudano e trovò cura solo attraverso la scrittura.
Il suo romanzo è denuncia lucidissima della condizione di sottomissione e costrizione che un’ipocrita ideologia del sacrificio imponeva alle donne
La conquista della libertà di amare, dell’indipendenza e della propria diversità: la scrittrice lascerà alle generazioni successive pagine di rivoluzione e potere.