A che punto siamo nella lotta ai “manels”, i panel tutti al maschile?
A parità di grado accademico, è prassi comune che ai congressi partecipino per la maggioranza relatori di sesso maschile. Il fenomeno è trasversale a qualsiasi evento pubblico e di ogni tipologia: dagli Stati Generali dell’Economia, ai festival culturali. Il Festival della Bellezza di Verona organizzato a giugno 2020, ad esempio, chiamava a discutere di eros e bellezza 22 ospiti, tra cui solo due donne: in tutta risposta, in piazza Bra è andato in scena Erosive, organizzato in contro tendenza dal collettivo Non una di meno per dare spazio a scrittrici, artiste e intellettuali italiane (tra cui Giulia Blasi, intervistata qui). Un modo di riprendersi lo spazio ripartendo dalle voci delle donne.
Non solo negli eventi pubblici, ma anche nella stampa: a spiccare sulle prime pagine dei quotidiani sono molto spesso le firme maschili. Aveva iniziato a denunciarlo nel 2018 Michela Murgia con l’hashtag #tuttimaschi, diventato oggi il più usato sui social in questo contesto. Non esattamente un caso: secondo una formula elaborata dal matematico Greg Martin, se organizzassimo panel da 20 esperti senza conoscere il genere degli invitati, la probabilità che questi siano composti da 19 uomini e una donna sarebbe molto più bassa di quella che invece verifichiamo nella realtà. Ma quali sono le motivazioni alla base di ciò?
“Non abbiamo trovato donne competenti”: un database per distruggere l’alibi
Quando si fa notare il divario di rappresentazione e di spazi riservati alle donne rispetto agli uomini, la risposta comune è che sia difficile trovare donne da chiamare e coinvolgere. L’anno scorso, la giornalista e scrittrice palestinese Rula Jebreal avrebbe dovuto esprimersi in merito alla crisi israelo-palestinese durante la trasmissione di La7 Propaganda Live: ha rinunciato a farlo dopo aver visto che, nel consueto tweet del programma dove vengono anticipati temi e partecipanti della puntata, il suo nome era inserito in una lista comprendente altri 7 ospiti, tutti di sesso maschile.
Lei stessa ha voluto affidare a Twitter la sua opinione:
7 ospiti… solo una donna. Come mai? Con rammarico devo declinare l’invito, come scelta professionale non partecipo a nessun evento che non implementa la parità e l’inclusione
Diego Bianchi, conduttore ed ideatore del programma, ha risposto difendendo la trasmissione:
Abbiamo capito, una volta per tutte, che lei non conosce questa trasmissione che, con tutte le difficoltà e gli errori fatti negli anni, ha vinto il ‘Diversity award’ proprio perché rappresenta tutte le diversità. La nostra forma mentis consiste nell’invitare una donna o un uomo perché competenti, per la loro storia, perché scegliamo i migliori per parlare di quella determinata cosa
Ma è davvero così difficile trovare donne competenti? Gli uomini lo sono più delle donne? Risulta questo solo leggendo superficialmente i dati: le donne non sono meno competenti, sono meno presenti in cima alle scale gerarchiche, i bacini nei quali si è soliti cercare i relatori.
I manels sono la punta dell’iceberg. Le donne che, a parità di titolo, raggiungono i vertici della carriera sono meno degli uomini: all’università, nel giornalismo, nella politica
Per ovviare alle difficoltà di trovare donne competenti, l'Osservatorio di Pavia e l'associazione Gi.U.Li.A., con lo sviluppo di Fondazione Bracco e con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, hanno lanciato www.100esperte.it, una banca dati online, inaugurata nel 2016 con 100 nomi e CV di esperte di STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), un settore storicamente sotto-rappresentato dalle donne e strategico per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese.
Il sito è stato ideato e costruito per crescere nel tempo, incrementando il numero di esperte e ampliando anche i settori disciplinari. Alle prime 100 esperte di STEM, si sono aggiunte numerose esperte di Economia e Finanza (dal 2017) e Politica Internazionale (dal 2019). Nel 2021 la banca dati si estende al settore della Storia e della Filosofia
"No Women No panel": in RAI senza donne non se ne parla
Secondo il Rapporto RAI 2019, le politiche invitate ai dibattiti tv nell’anno precedente sono state il 18,1% del totale, mentre le professioniste esperte nel proprio settore (ricercatrici, docenti universitarie, imprenditrici, giornaliste) sono state il 24,8%. Da quest’anno, in RAI, niente più talk show, dibattiti, trasmissioni radio e tv con gli uomini a farla da padroni: non più una promessa o un raccomandazione, ma un vincolo preciso sottoscritto dalla ministra per le Pari Opportunità e la famiglia Elena Bonetti e dalla presidente della RAI Marinella Soldi. Il Memorandum d'Intesa No Women No Panel - Senza donne non se ne parla è stato siglato a viale Mazzini lo scorso gennaio e, come spiega la presidente della RAI Soldi,
prevede un impegno abbastanza semplice: che in ogni dibattito ci sia un'equa rappresentanza di genere
La firma arriva al termine della campagna di comunicazione 2020/2021 di RAI Radio1, che ha rilanciato il progetto No Women No Panel nato nel 2018 in seno alla Commissione europea.
La portata del documento - promosso dalla RAI e sottoscritto dalla Presidenza del Consiglio - è rivoluzionaria. A prendere quell'impegno, siglando l'intesa, oltre ai vertici nella tv pubblica, diversi rappresentanti di altre istituzioni: Tiziano Treu, presidente del Cnel, Antonio Parenti, capo della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, Michele Emiliano, vicepresidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Michele De Pascale, presidente UPI, Maria Terranova, vicepresidente ANCI, Antonella Polimeni, rettrice della Sapienza per la Conferenza dei Rettori, Sveva Avveduto, dirigente CNR, Roberto Antonelli, presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Questa volta si cambia, afferma la ministra Bonetti: una democrazia non può essere definita tale se non vengono raccontate le storie delle donne.
Si tratta di porre fine a un automatismo, facendo lo sforzo di chiedersi qual è la donna più adatta e più competente per parlare di una certa tematica, accanto all'uomo più adatto e più competente. E la scoperta straordinaria è che le donne ci sono, non vanno inventate
Una necessità la cui urgenza si palesa ogni giorno: dopo il "Sofagate" di Ankara dell'aprile 2021, un altro episodio di imbarazzante sessismo ha coinvolto, suo malgrado, la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen. Lo scorso 17 febbraio, durante l'arrivo dei leader africani a Bruxelles per il vertice UE-Africa, il ministro degli esteri ugandese Odongo Jeje ha saltato la stretta di mano con von der Leyen dopo la foto di rito, rivolgendosi direttamente verso Charles Michel ed Emmanuel Macron.
Il presidente francese, prima di congedarlo lo invita a salutare anche von der Leyen, ma il ministro, pur salutando, si guarda bene dallo stringere la mano a von der Leyen
Come scrive sui social la deputata Laura Boldrini, postando il video dell'episodio:
Ignorare una figura istituzionale perché donna è un grave atto di sessismo
Imparare a dire no
Come dimostrano la lista 100 Esperte e il lungo elenco delle Unstoppable Women di StartupItalia, non occorre inventare le donne competenti. Esistono. Per questo, sono nate molte iniziative in tutto il mondo per raccogliere segnalazioni sui manels, da Congrats, you have an all male panel! ai vari canali social #ManelsWatch.
In Italia è attivo il gruppo Facebook #BoycottManels, che chiede a chiunque venga invitato a eventi solo maschili di non parteciparvi in segno di protesta. Lo hanno fatto l’ex ministro per il Sud Giuseppe Provenzano e lo scrittore Sandro Veronesi, che su Twitter ha dichiarato:
Ho deciso che, prima di accettare un invito a qualunque festival, mi sincererò che nel programma sia garantito un numero adeguato di donne
La lotta ai manels si conduce insieme, donne e uomini.