Mangiare l’agnello a Pasqua è stato giusto o sbagliato?

È tradizione ormai consolidata consumare carne di agnello ogni anno a Pasqua. Si tratta di una consuetudine che affonda le radici nella storia e nella religione ebraico-cristiana, fino ad arrivare alla promessa che Dio fece al popolo di Mosè. Ma è eticamente giusto farlo? A mio parere no. Ecco come la religione potrebbe fermare questa mattanza

Come si legge nel libro dell’Esodo (Esodo, 12, 1-9) i primogeniti delle famiglie si sarebbero salvati solo se le porte delle case in Egitto fossero state segnate di rosso con il sangue di un agnello. Successivamente anche per la religione cristiana divenne simbolo di sacrificio. Troviamo infatti moltissimi riferimenti ad esso nell’Antico Testamento. Sacrificando l’animale, le famiglie donavano a Dio ciò che di più prezioso e puro era in loro possesso.

Con il passare degli anni, creando molta confusione, è sempre stato dibattuto il sacrificio dell’agnello e l’idea che incarnasse Gesù stesso. Tutto ciò fino a 2007, anno in cui Papa Benedetto XVI chiarì: «Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio».

Allora perché continuiamo a mangiarlo? La risposta per molti è semplice: “perché è buono”. Ma ci siamo chiesti quale reale prezzo si paga per quei 20-30 secondi in cui la sua carne passa attraverso il nostro cavo orale?

Purtroppo, gli agnelli vengono uccisi a circa 2 o 3 mesi di vita, e spesso ciò avviene a valle di viaggi estenuanti dall’Est Europa come dall’Estonia e Romania, oppure da Grecia e Spagna. Cia – Agricoltori Italiani riferisce che l’import degli ovini, ad oggi, è pari al 75%.

Si tratta di una vera mattanza, nel 2018 sono stati uccisi più di 350mila agnelli

Ciò senza considerare le emissioni di gas climalteranti per garantire i trasporti e l’energia sufficiente a mandare avanti un’imponente industria come quella legata al consumo di agnello a Pasqua.

Dalla BBC Earth a 1millionwomen, in tanti si sono chiesti che ruolo dovrebbe svolgere la religione nell’affrontare la crisi ambientale a 360 gradi. Secondo Gary Gardner, direttore delle pubblicazioni del Worldwatch Institute, la religione ha vari punti di forza in quanto a leadership. Considerando che secondo uno studio del 2012 condotto da Pew Research Center più di 8 persone su 10 al mondo si identificano con un gruppo religioso. La religione dunque, qualunque essa sia, può aiutarci molto nel diffondere la consapevolezza sulla crisi ambientale.

I punti individuati da G.Gardner sono i seguenti:Utilizzare l’autorità per dare linee guida etiche quando si tratta di vita sostenibile

  • Coinvolgere i vari gruppi religiosi per discutere e agire per il clima
  • Collegare le tradizioni a questioni attuali come l'inquinamento da plastica e la deforestazione
  • Fare importanti investimenti in pratiche sostenibili
  • Costruire comunità per supportare le pratiche di sostenibilità
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Quindi da un lato ci vorrebbe il supporto della religione, dall’altro un cambio totale di produzione. Ma questo avverrà? Personalmente ho qualche riserva. Molti pastori sostengono che lasciar crescere gli agnelli maschi facendoli arrivare in età adulta sia quasi impossibile, dato che per mantenere un gregge in pace il rapporto deve essere 1 a 30. Lasciarli liberi in natura significherebbe comunque che prima o poi morirebbero.

Tutto questo discorso molto convincente però, ha delle falle a mio avviso. Prima tra tutte, come accennavo sopra, il sistema di produzione. In natura non esisterebbero così tanti animali, e i pochi maschi verrebbero allevati dalle madri. A tenere il loro numero sotto controllo ci penserebbero poi la selezione naturale o il meccanismo preda-predatore, e tutto sarebbe risolto.

Strappare dei cuccioli di venti giorni di vita alle loro madri, portarli al mattatoio dove arrivano camion carichi di altri agnelli da ogni parte d’Europa e sentire il loro pianto, per me, nonostante le mie radici, resta qualcosa che mi spezza il cuore


Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie che possono apparire all'interno di questo contenuto.

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