Il mercato dei semi in mano alle multinazionali: perché dovremmo preoccuparci
Partiamo da un dato di fatto: la corsa al seme perfetto e la protezione da brevetto hanno contribuito a concentrare nelle mani di pochi il potere di giocare con il cibo, o più specificatamente di giocare con l’offerta alimentare mondiale e, conseguentemente, di controllare gli equilibri del nostro pianeta.
VEDI ANCHE CultureFood Waste: la crisi ci sta rendendo più virtuosi?Secondo la FAO, oggi sono solo 4 le multinazionali ad avere il monopolio delle sementi: Bayer, Corteva, ChemChina e Limagrain controllano più del 50% delle sementi mondiali. Queste stesse aziende si occupano anche di produrre fertilizzanti, pesticidi e diserbanti.
Per migliaia di anni, la natura intrinseca dei semi e l’imprevedibilità della genetica hanno protetto naturalmente il patrimonio delle sementi. Gli agricoltori non facevano altro che coltivare e riseminare le piante, i cui semi erano liberamente condivisi e scambiati. Ciò però è successo fino agli anni ‘90. A partire da questa data, e a valle di anni di ricerca che hanno portato alla bioingegnerizzazione delle colture, sono state introdotte delle leggi e dei brevetti che ne tutelano la proprietà.
Quali sono le conseguenze?
In primo luogo si verifica una grandissima perdita di diversità genetica. In altre parole, i semi si standardizzano! Per capirlo meglio potremmo paragonare le magliette che troviamo nella grande distribuzione a quelle create artigianalmente da un sarto.
Sempre secondo la FAO, tra il 1900 e il 2000 è scomparso il 75% delle varietà agricole mondiali
Quali sono le ripercussioni su di noi? Molto semplicemente: la mancanza di sicurezza alimentare! Infatti, se abbiamo una sola varietà di fagioli con tutti i suoi punti di forza e di debolezza, nel momento in cui dovesse verificarsi un evento qualsiasi come l'innalzamento delle temperature, un parassita o qualsiasi altra cosa, rischiamo di perdere per sempre i fagioli. Se al contrario abbiamo piante geneticamente diverse tra loro, avremmo comunque la possibilità di avere ancora dei fagioli.
A questo proposito, Katrine Peschard, ricercatrice al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra, ha affermato: “più è uniforme il nostro pool genetico (l'insieme di geni di una pianta), più siamo vulnerabili a tutti i tipi di stress ambientali, e sappiamo che con il cambiamento climatico ci saranno più di questi stress”.
Al grande rischio appena citato, vanno aggiunti tutti i fattori legati ai brevetti. Fino a prova contraria essi esistono per proteggere un’invenzione… come fa dunque una pianta o una sequenza genetica specifica ad essere privatizzata e a diventare proprietà di qualcuno? E poi, come la mettiamo con l’esistenza del polline che si sposta con il vento? E ancora: in natura esistono mutazioni spontanee, le abbiamo considerate?
Cioè, del polline di una pianta brevettata potrebbe arrivare sulla mia che è di tipo selvatico oppure spontaneamente potrei avere delle pesche a pallini gialli identiche a quelle brevettate per pura mutazione casuale e ritrovarmi citato in tribunale da una multinazionale per violazione della sua proprietà.
Insomma, pur essendo una tematica controversa, la privatizzazione di queste risorse è comunque avvenuta. Tutto ha avuto inizio negli anni ‘80, quando venne introdotta per la prima volta l’idea di brevettare i materiali viventi. Un'idea che si è diffusa a macchia d’olio. Infatti, siamo passati dai 120 brevetti del 1990 ai 12.000 odierni!
Per approfondire questo argomento e per leggere un triste episodio (non isolato ma solo più noto) accaduto in India vi lascio questo link.
Purtroppo, un contadino è stato citato in giudizio da una multinazionale che lo accusava di aver coltivato la sua variante di patate.
Assurdo, non è vero?
Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie che possono apparire all'interno di questo contenuto.