Good News/Bad News: le notizie sui diritti civili di giugno 2024

Nuovo appuntamento con la nostra ormai consueta rubrica sui diritti civili. A giugno parliamo di diritto all'aborto, Pride e educazione sessuale, dando uno sguardo a cosa accade fuori dai confini del nostro mondo

La Danimarca ha reso legale l’aborto fino a 18 settimane

Il Parlamento danese ha approvato una storica modifica alla legge sull'aborto che estende da dodici a diciotto settimane di gravidanza il termine legale per ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza (IVG).

Lo ha annunciato il Ministero della Salute, spiegando che la modifica alla legge prevede anche che le ragazze danesi tra i 15 e i 17 anni avranno il diritto di abortire senza il consenso dei genitori.

«Dopo cinquant'anni, è tempo che le regole sull'aborto si evolvano e che noi rafforziamo il diritto delle donne all'autodeterminazione», ha detto in una nota la ministra danese dell'Interno e della Sanità, Sophie Lohde.

In Danimarca l’aborto è stato introdotto nel 1973. Dopo 50 anni, lo scorso autunno, è arrivata la proposta di modifica della legge da parte della maggioranza dei membri del Consiglio etico, che ha raccomandato di estendere il termine per il ricorso all’IVG a diciotto settimane, come in Svezia.

Le nuove norme sono entrate in vigore a partire dal primo giugno 2025: «È un momento storico per le donne», ha detto Marie Bjerre, ministra per la Digitalizzazione e l'Uguaglianza di Genere.

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L’Italia non firma la dichiarazione dell’Unione Europea contro l’omolesbobitransfobia

L'Italia è uno dei 9 paesi che il 17 maggio scorso non hanno firmato la  dichiarazione dell’Unione Europea contro l’omolesbobitransfobia, il documento per la promozione dei diritti delle persone LGBTQIA+. 

La firma era prevista nella Giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia, e oltre all'Italia a rifiutarsi di firmare sono state Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. E questo nonostante il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in persona abbia sottolineato che «omofobia, bifobia e transfobia costituiscono un'insopportabile piaga sociale ancora presente e causa di inaccettabili discriminazioni e violenze, in alcune aree del mondo persino legittimate da norme che calpestano i diritti della persona», sottolineando come «sia compito delle istituzioni elaborare efficaci strategie di prevenzione che educhino al rispetto della diversità e dell'altro, all'inclusione».

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Apporre la firma sul documento ha significato, per gli stati che hanno siglato, un impegno ad attuare strategie nazionali per le persone LGBTQIA+ e a sostenere la nomina di un nuovo commissario per l'uguaglianza, così da migliorare e tutelare i diritti della comunità. La ministra alle Pari Opportunità, Eugenia Roccella, rispondendo alle critiche dell'opposizione, ha chiarito senza mezzi termini che alla base del rifiuto c'è il tema così spesso citato dal centrodestra, ovvero quello del gender: «Non abbiamo firmato e non firmeremo nulla che riguardi la negazione dell'identità maschile e femminile, che tante ingiustizie ha già prodotto nel mondo in particolare ai danni delle donne. Se la sinistra ed Elly Schlein vogliono riproporre la legge Zan, il gender e la possibilità di dichiararsi maschio o femmina al di là della realtà biologica, abbiano il coraggio di dirlo con chiarezza. Se è il gender che vogliono, lo propongano apertamente». 

«Questa decisione rappresenta l’ennesimo attacco di questo governo alla dignità delle persone LGBTQIA+ - sottolineano da Arcigay - dopo l’annullamento dei certificati di nascita de* figl* delle famiglie omogenitoriali e l’azione persecutoria nei confronti degli adolescenti con varianza di genere seguiti dall’Ospedale Careggi, un altro clamoroso passo indietro».

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La Lombardia nega di nuovo il patrocinio al Pride

Restando sullo stesso tema, la Regione Lombardia ha nuovamente negato il patrocinio al Pride di Milano. Quest’anno la manifestazione per i diritti LGBTQIA+, la Milano Pride Parade, è fissata per sabato 29 giugno, e gli organizzatori hanno nuovamente chiesto alla Regione guidata da Attilio Fontana di patrocinarla. La risposta, proprio come nel 2023, è stata un deciso “no”.

La decisione è stata comunicata dall’ufficio di presidenza del consiglio regionale, composto da cinque consiglieri: il presidente Federico Romani (Fratelli d’Italia), Giacomo Cosentino (Lombardia Ideale), Alessandra Cappellari (Lega) per la maggioranza, ed Emilio Delbono (PD) e Iacopo Scandella (PD) per le opposizioni. 

 «Condividiamo ovviamente la necessità di contrastare ogni forma di discriminazione - hanno scritto in una nota Cosentino e Cappellari per motivare la bocciatura - ma riteniamo che non ci siano le condizioni per supportare e patrocinare, come consiglio regionale della Lombardia, una manifestazione che si è dimostrata spesso divisiva, provocatoria e discriminante verso il nucleo generatore della vita umana, formato da una donna e da un uomo».

Parole cui gli organizzatori del Pride hanno replicato ricordando che «il Milano Pride è una manifestazione di libertà. Il ruolo di un'istituzione dovrebbe essere quello del promuovere il rispetto, di garantire pari diritti, dignità e tutele alle persone cittadine - a tuttɜ le persone cittadine, anche quelle LGBTQIA+. Per questo avevamo chiesto il patrocinio a Regione Lombardia anche quest'anno: ci è stato nuovamente negato».

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Un commento ancora più secco è arrivato dal sindaco di Milano, Beppe Sala, che ha sempre sostenuto il Pride concedendo il patrocinio del Comune: «Milano è tra le prime città italiane ad accogliere in maniera strutturale la comunità LGBTQIA+, al fine di permettere ai loro rappresentanti uno sviluppo sociale e professionale senza discriminazioni. Come sindaco e come uomo ho sempre dato il mio supporto alle loro battaglie. Il 29 giugno sarò sul palco a ribadire il mio e il nostro impegno, e a sostenere le tante iniziative che, come Comune, anche quest’anno, patrocineremo… a differenza di altre istituzioni».

La Gran Bretagna torna indietro sull’educazione sessuale nelle scuole

In Gran Bretagna il governo conservatore di Rishi Sunak ha deciso di dare una stretta all’educazione sessuale nelle scuole primarie prevedendola solo per i bambini dai nove anni in su e stabilendo che i confronti su argomenti come la contraccezione non devono essere affrontati prima dei 13 anni. Il personale docente dovrà inoltre evitare di approfondire con gli alunni gli argomenti relativi al cambio di sesso, limitandosi a insegnare aspetti puramente "biologici".

Le nuove linee guida sono al vaglio dell’esecutivo britannico, che punta a ridimensionare la libertà di insegnamento dei diversi istituti sul tema dell’educazione sessuale e affettiva. La ministra dell'Istruzione Gillian Keegan ha avviato un periodo di consultazione, ma soprattutto da parte degli insegnanti sono arrivate proteste legate a quella che è stata definita «una scelta politicamente motivata» e non necessaria. La revisione era stata annunciata dal premier Sunak in seguito alle preoccupazioni espresse sull'esposizione dei bambini a "contenuti inappropriati" all'interno delle scuole.

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