Good news/bad news: notizie dal mondo sul fronte dei diritti civili

Parliamo tanto di ciò che accade in Italia, a volte scordandoci del mondo che ci ruota attorno. Per questo abbiamo deciso di raccogliere ogni mese le notizie più importanti sul fronte dei diritti civili che ci arrivano dall'estero. Buone o cattive che siano, proviamo a gettare uno sguardo su cosa accade fuori dal nostro piccolo universo quotidiano

La Colombia ha depenalizzato l’aborto

Manifestazioni pro-choice in Colombia
Manifestazioni pro-choice in Colombia

Dopo l’Argentina, anche la Colombia si aggiunge alla lista dei Paesi dell’America Latina che festeggiano la depenalizzazione dell’aborto.

Il 21 febbraio i movimenti femministi e per i diritti civili e delle donne, che da decenni lottavano per la libertà di scelta, hanno accolto con enorme gioia e soddisfazione la decisione della Corte Costituzionale colombiana che ha stabilito che l’aborto è consentito entro le 24 settimane dal concepimento

In precedenza l’aborto in Colombia era permesso solo in caso di rischio per la vita o la salute della donna incinta, in caso di accertate malformazioni fetali pericolose o se la gravidanza era conseguenza di stupro, incesto o inseminazione artificiale non consensuale.

«È una vittoria storica per i movimenti delle donne che per decenni hanno lottato per il riconoscimento dei loro diritti, siamo con voi», ha detto Amnesty International complimentandosi con la cosiddetta “marea verde”, il movimento che ha tinto dii verde, appunto, le strade della Colombia per chiedere il riconoscimento di diritti basilari come quello di poter decidere sul e del proprio corpo.

In Argentina la lotta era stata portata avanti, e vinta nel dicembre del 2020, dalla “marea viola”. Il primo Paese dell’America Latina a depenalizzare l’aborto era stato Cuba nel 1965, seguito dalla Guyana nel 1995. Nel 2007 era arrivato il Messico, nel 2012 l’Uruguay: «La marea verde è inarrestabile - ha detto Erika Guevara-Rosas, avvocatessa e direttrice per le Americhe di Amnesty international - continueremo ad accompagnare vari movimenti femministi e femminili in tutta la regione».

In Inghilterra e Galles il cyber flashing diventa un reato

A nuovi mezzi e modalità di comunicazione e di relazione corrispondono necessariamente nuovi reati, che non sempre vengono però regolamentati e puniti.

Inghilterra e Galles, però, hanno voluto prendere provvedimenti concreti contro le nuove forme di violenza sessuale perpetrate online, stabilendo che il cyber flashing è un reato penale a tutti gli effetti, punibile con il carcere sino a due anni

Il cyber flashing è la condivisione di espliciti contenuti sessuali - foto o video di parti intime e genitali - con sconosciuti o persone che non ne hanno fatto richiesta né dato il consenso. Accade tramite AirDrop, Bluetooth o Wi-Fi, in forma anonima, e l’unico elemento che rende il mittente identificabile è il nome del dispositivo da cui l’immagine è partita, che poco o nulla fornisce a una prima occhiata sull’identità del molestatore. 

Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 2015, quando una donna inglese denunciò di avere ricevuto immagini oscene tramite AirDrop in treno. E secondo i dati raccolti sino a ora sono proprio i mezzi di trasporto pubblico i luoghi dove il cyber flashing viene registrato più spesso: i molestatori “pescano” nella massa di persone che usano gli smartphone per controllare notizie e social per inviare le loro immagini, una versione online del maniaco che per strada o al parco mostra i genitali ai passanti.

Alla luce del numero crescente di casi di questo genere che si sono verificati nel Regno Unito, il governo ha deciso di rendere il cyber flashing un reato inserendolo nel Sexual Offences Act e stabilendo come pena fino a due anni di reclusione. Una decisione cui la Scozia era già arrivata nel 2010 con un provvedimento molto simile. 

La Norvegia pronta a introdurre ufficialmente il pronome neutro

Anche in Norvegia il linguaggio di adegua all’evolversi della società e alle necessità di chi la costituisce.

Lo Språkråd, il consiglio per la lingua norvegese, ha proposto infatti di introdurre ufficialmente un pronome neutro rispetto al genere, sempre più utilizzato sia nella lingua parlata sia sui media e nei testi accademici

Si tratta del pronome “hen”, evoluzione linguistica che supera il concetto binario dell’identità di genere (uomo/donna) e che potrebbe essere riconosciuto ufficialmente come alternativa ai pronomi di terza persona singolari “hun” e “han”, rendendo la lingua scritta e parlata più inclusiva e meno stereotipata. 

«Con il passare del tempo abbiamo riscontrato che l’utilizzo di “hen” è aumentato e si è stabilizzato», ha detto Daniel Ims, dello Språkråd, primo promotore della proposta di adottare il pronome “hen”. Il tema della necessità di un linguaggio più inclusivo, in grado di andare oltre la tradizionale concezione del genere maschile e femminile, è d’altronde molto dibattuto negli ultimi mesi. In Francia il dizionario LeRobert ha deciso di aggiungere alla sua versione online la definizione del pronome neutro “iel”, in Italia si discute in modo sempre più animato (con una petizione) sull’adozione e la diffusione dello schwa. Indicata con il simbolo ə, è una vocale dell’alfabeto fonetico internazionale usata per dare una desinenza neutra alle parole, evitando così la forma maschile o femminile.

In Australia diventa obbligatoria l’educazione al consenso 

L'uscita di una scuola di Melbourne
L'uscita di una scuola di Melbourne

Tra gli obiettivi primari dell’Australia nella lotta alla violenza di genere e alla violenza sessuale c’è anche quella di rendere il concetto di “consenso” chiaro e limpido. Ed è anche per questo che il governo australiano ha deciso di farla diventare una materia scolastica:

educazione al consenso diventerà materia obbligatoria a scuola a partire dal 2023, per insegnare ai più giovani che il “no” può essere espresso in molte forme, e va rispettato, e che il “sì” a un rapporto deve essere chiaro ed esplicito. Un consenso, appunto, inconfutabile

L’Australia non è la prima a prendere questa iniziativa. La prima infatti è stata la Svezia, che ha reso l’educazione al consenso materia obbligatoria nella scuola pubblica nel 1956. La Germania vi è arrivata alla fine degli anni ’80. Un passo fondamentale per rendere reato il sesso senza consenso, cosa che accade già in molti Paesi ma non Italia, come fa notare Amnesty International, che ha lanciato una campagna per chiedere alla ministra della Giustizia una revisione dell’articolo 609-bis del codice penale, in linea con gli impegni presi nel 2013.

In Italia infatti il codice penale fa riferimento a una definizione di stupro basata esclusivamente sull’uso della violenza, della forza, della minaccia di uso della forza o della coercizione

Senza alcun riferimento al principio del consenso, così come previsto dall’articolo 36 della Convenzione di Istanbul, ratificata dal nostro paese nel 2014.

«Chiediamo l’adeguamento della nostra legislazione - sottolineano da Amnesty - e una forte spinta a un cambiamento culturale perché sia chiaro che il sesso senza consenso è uno stupro». Cambiamento culturale che avviene, come è ormai assodato, anche attraverso una corretta educazione.

In Arabia Saudita le donne guideranno i treni per la prima volta nella storia

Può sembrare scontato in Italia, ma quello che è scontato in tanti Paesi in altri è invece una conquista per le donne: è il caso delle cittadine dell’Arabia Saudita, che per la prima volta nella storia potranno guidare treni.

La compagnia spagnola Renfe ha infatti aperto una call per cercare macchinisti per i “treni proiettili” che uniscono la Mecca e Medina, una chiamata cui hanno risposto ben 28mila donne

Di queste soltanto 30 potranno essere assunte, ma il dato è importante perché fino a poco tempo fa le opportunità di lavoro per le donne saudite - che sino al 2018 non potevano neppure guidare - erano limitate a ruoli come insegnanti e operatori sanitari alla luce delle rigide regole di segregazione di genere.

Negli ultimi 5 anni invece la percentuale di donne nella forza lavoro del Paese è quasi raddoppiata, raggiungendo il 33%

A spingere per il cambiamento è il principe ereditario Mohammed bin Salman, deciso a diversificare l'economia. La filiale saudita di Renfe, per esempio, ha 484 lavoratori, 400 dei quali locali, e un terzo sono donne. La compagnia - che fa parte di un consorzio di 12 aziende che gestiscono la ferrovia ad alta velocità, e ne ha anche maggiore azionista - ha confermato di voler creare opportunità di lavoro per le donne in Arabia Saudita, da qui la decisione di aprire l’offerta di lavoro anche alle donne. 

Moltissimo comunque resta ancora da fare, visto che nel terzo trimestre del 2021, la percentuale di donne impiegate nel regno è ancora molto bassa rispetto a quella maschile, e che la disoccupazione femminile è molto, molto più alta.

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