Dai nomignoli alle “donne in ritardo perché si truccano”: la narrazione sessista delle Olimpiadi sui media
Dovevano essere le Olimpiadi della parità di genere, quelle che vedono in gara lo stesso numero di atleti e atlete e che prestano particolare attenzione al modo in cui le competizioni vengono raccontate. Eppure i Giochi di Parigi non hanno risparmiato polemiche per la narrazione sessista con cui alcune competizioni, e molti trionfi, sono stati narrati. Soprattutto in Italia, dove due sono diventati i casi “scuola”.
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Le "fatine" che riportano la medaglia in Italia dopo 96 anni
Il primo caso di narrazione sessista alle Olimpiadi riguarda la squadra di ginnastica artistica, che è riuscita a riportare in Italia, dopo 96 anni, la medaglia olimpica. Un argento, nello specifico: l’ultima volta sul podio, per le ginnaste italiane, risaliva al 1928 ad Amsterdam. Da allora l’Italia ha conquistato una sola altra medaglia in questa disciplina, un argento alle Olimpiadi di Tokyo del 2020 vinto da Vanessa Ferraro in singolo, nel corpo libero.
Manila Esposito, Alice D’Amato, Angela Andreoli, Elisa Iorio e Giorgia Villa invece hanno fatto l’impresa: insieme hanno sfidato le formidabili statunitensi trainate da Simone Biles e hanno battuto il Brasile, conquistandosi il secondo gradino del podio con esercizi impeccabili a tutti gli attrezzi. Addirittura Alice D’Amato, 21 anni (a Parigi senza la sorella Asia, anche lei campionessa ma infortunata), ha battuto Biles alle parallele ottenendo un punteggio più alto. E Angela Esposito, 18 anni, ha chiuso la competizione con un esercizio al corpo libero impeccabile, che ha emozionato e l’ha emozionata. Eppure qualche polemica c’è stata, principalmente per il vizio dei media italiani di dare soprannomi agli atleti. E così dopo le “Farfalle” della ritmica ecco le “Fate” della ginnastica artistica.
“Fate” che dopo poco sono diventate “Fatine”, nomignolo assegnato a una squadra di campionesse olimpiche. Per alcuni un omaggio alla magia in grado di portare in pedana, per altri invece un modo svilente e riduttivo di descrivere atlete dalla tempra d’acciaio, che affrontano allenamenti sfiancanti e rispettano una disciplina ferrea, spingendo corpo e mente al limite, per raggiungere il traguardo prefissato. Molto poco delicate, insomma, nonostante l’allure “iper femminile” che circonda (meglio: circondava) la ginnastica artistica. “Atlete, non fatine”, è il sunto della maggior parte dei commenti piovuti sui social.
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La campionessa di spada “amica di Diletta Leotta”
Che dire poi di alcuni titoli che hanno descritto il trionfo della squadra di spada dopo la finalissima con la Francia? Rossella Fiamingo, Alberta Santuccio, Giulia Rizzi e Mara Navarria martedì 30 luglio hanno vinto l’oro, ma un quotidiano ha deciso di tributare loro un titolo in cui le loro capacità sportive (e umane) sono state spazzate via da caratteristiche ben diverse: “L’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma”.
Tante le proteste per le parole scelte per celebrare il trionfo delle quattro novelle campionesse olimpiche. A farsene portavoce Margherita Granbassi, ex schermitrice, due bronzi olimpici vinti ai Giochi del 2008 sia nell'individuale che a squadre, oggi commentatrice.
Durante una diretta su Eurosport Granbassi ha infatti voluto togliersi un macigno dalle scarpe, e ha puntualizzato: «Volevo fare un piccolo accenno a una cosa che ho visto appena finita la gara. Il primo titolo che mi è venuto sott’occhio è quello che le descrive come “l’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma”. No, loro si chiamano Rossella Fiamingo, Alberta Santuccio, Giulia Rizzi e Mara Navarria. Punto». Un altro caso molto grave di narrazione sessista alle Olimpiadi.
Le campionesse australiane «in giro a truccarsi»
La narrazione sessista alle Olimpiadi non caratterizza però soltanto l'Italia, anzi. A pochi giorni dall'inizio dei Giochi Bob Ballard, storico commentatore sportivo inglese, è stato cacciato dalla squadra di Eurosport per una battuta sessista sulle nuotatrici australiane vincitrici dell'oro nella staffetta 4x100 stile libero.
Nella diretta di sabato sera Ballard aveva infatti commentato sull'assenza della squadra composta da Mollie O'Callaghan, Shayna Jack, Emma McKeon e Meg Harris sul podio. Le atlete erano impegnate a salutare il pubblico, ma Ballard, in diretta, ha deciso di commentare così il ritardo: «Si staranno dando una ritoccata al trucco, lo sapete come sono le donne…». Immediata la reazione della collega commentratrice, l'ex nuotatrice Lizzie Simmonds, che ha definito il commento «oltraggioso». Eurosport ha quindi preso immediati provvedimenti, e all'indomani sono arrivate le scuse di Ballard.
«A causa dei commenti che ho fatto durante la cerimonia di premiazione della staffetta stile libero australiana sabato, molte persone si sono sentire offese - ha dichiarato - Non è mai stata mia intenzione turbare o sminuire nessuno e se l'ho fatto, mi scuso. Sono un grande sostenitore dello sport femminile. Mi mancherà tantissimo il team di Eurosport e auguro loro tutto il meglio per il resto delle Olimpiadi».
Le linee guida del Cio per una narrazione "rispettosa e inclusiva"
E dire che il Cio, il Comitato Olimpico Internazionale, quest’anno ha voluto puntare moltissimo sul modo in cui vengono raccontate le competizioni, pubblicando linee guida dettagliate per assicurare «una rappresentazione equa e paritaria di genere di tutti gli atleti in tutte le forme di media e comunicazione. Le due settimane di copertura olimpica sono un'opportunità unica per generare nuovi modelli di ruolo forti, positivi e diversificati - spiegavano dal Comitato - e per promuovere una copertura equilibrata e una rappresentazione equa degli sportivi in tutta la loro diversità, indipendentemente da genere, razza, religione, orientamento sessuale o stato socioeconomico».
Le linee guida sono state pensate dunque per promuovere una copertura più inclusiva e rispettosa delle gare, e includono esempi e riferimenti aggiornati che riflettono le ultime pratiche di rappresentazione di genere paritario: basta riferimenti all’aspetto fisico delle atlete o alla loro vita personale, con l’assicurazione che lo sport femminile riceva pari visibilità di quello maschile e che le atlete siano celebrate esclusivamente per i loro risultati agonistici.