Pale eoliche in Sardegna, ecco perché scatenano le proteste degli attivisti
La politica energetica alla base dell'installazione delle pale eoliche in Sardegna
Tutto ha avuto inizio sotto il governo Draghi (2021-2022), quando l'allora Presidente del Consiglio e il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani hanno adottato una politica energetica che mirava a trasformare l'isola in un hub per la produzione di energia rinnovabile. Questo approccio, noto come "commissariamento energetico", incentrato sugli obiettivi europei di transizione green, ha comportato l'adozione di strumenti normativi straordinari, bypassando tuttavia le consuete procedure di autorizzazione locale allo scopo di accelerare la costruzione di impianti eolici e fotovoltaici. Le società coinvolte in questi progetti, tra cui Vestas Wind Systems, Enel, Erg e Acciona, hanno visto nella Sardegna un'opportunità per la produzione di energia eolica avviando così la realizzazione di parchi eolici sia onshore che offshore.
LEGGI ANCHE - Un turismo sostenibile è possibile?
A questo punto, si potrebbe pensare che l'Italia stia finalmente compiendo passi concreti verso l'energia pulita. Tuttavia, il massiccio investimento in Sardegna ha portato con sé delle criticità rilevanti. Le richieste di allaccio alla rete elettrica per impianti di energia rinnovabile sono esplose, con ben 809 progetti presentati.
Se tutti gli impianti venissero approvati, raggiungerebbero una capacità totale di 57,67 gigawatt, circa 30 volte il fabbisogno energetico della Sardegna che per coprire le proprie necessità ha bisogno solo di circa 2 GW. A ciò si aggiunge che lo Stato italiano ha imposto alla regione un tetto minimo di potenza installata da fonti rinnovabili di 6,2 GW entro il 2030, circa 3 volte il suo fabbisogno. Una richiesta che sembra alquanto eccessiva:
se tutti i progetti venissero approvati, ciò comporterebbe la necessità di spazi enormi, impattando negativamente su aree protette e patrimonio dell'umanità e porterebbe a una massiccia cementificazione del territorio
Senza contare che diverse strade e aree dell’isola risultano non idonee al passaggio e al trasporto di queste enormi strutture.
LEGGI ANCHE: Quali sono i sette Paesi che producono il 100% dell'elettricità da fonti rinnovabili
La "colonizzazione energetica" della Sardegna
Ad aggravare lo scenario, c’è il fenomeno ribattezzato da molti come "colonizzazione energetica". Questo fenomeno si manifesta con la vendita di terreni a grandi aziende straniere. Un esempio significativo è l'acquisizione da parte della Chint, il maggior produttore di pannelli fotovoltaici della Cina, di un grande progetto solare che si estende su mille ettari nel nord della Sardegna.
Come risposta alle lecite preoccupazioni, migliaia di persone, comitati locali ed esperti hanno manifestato. Gli attivisti non si oppongono totalmente all'installazione di questi impianti ma vorrebbero un maggior coinvolgimento dei territori e delle comunità locali nel processo decisionale, insieme a norme più stringenti per proteggere le aree ad elevato valore paesaggistico e culturale, sottolineando che la Sardegna non può farsi carico della produzione energetica dell’intero territorio italiano.
Al momento la presidente della Regione Todde ha preso tempo e ha approvato un disegno di legge che introduce un divieto di 18 mesi per la realizzazione di nuovi impianti.
La sfida adesso sarà trovare un equilibrio tra produzione di energia pulita e la tutela di siti protetti
Forse, la soluzione potrebbe essere quella di una produzione di energia verde che sia sufficiente a coprire i bisogni dell’isola senza colonizzare tutto il suo territorio e andare a strappare addirittura terreni protetti e patrimonio dell’umanità, oltre all’investimento in ricerca e in tecnologie eoliche più efficienti.
Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie che possono apparire all'interno di questo contenuto.