Il Parlamento europeo vuole l’aborto nella Carta dei diritti fondamentali (ma l’Italia resta indietro)
Le donne devono avere pieni diritti sulla loro salute sessuale e riproduttiva: con questo obiettivo, i deputati del Parlamento europeo chiedono al Consiglio dell'UE di aggiungere alla Carta dei diritti fondamentali dell'UE l'assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva e il diritto a un aborto sicuro e legale.
Si tratta di una risoluzione non vincolante ma dal forte impatto simbolico e politico, poiché si basa su specifiche richieste: riconoscere il diritto all'aborto come un diritto fondamentale, far sì che tutti gli Stati membri depenalizzino completamente l'aborto, bloccare i finanziamenti dell'UE ai gruppi anti-scelta e mettere a disposizione di tutti i servizi relativi alla salute sessuale e riproduttiva. Nonostante l’approvazione dell’Eurocamera, una modifica alla Carta prevede il voto favorevole di tutti i 27 Stati membri. Un percorso a ostacoli che, tuttavia, ha mosso il suo primo passo.
Che cosa prevede la risoluzione votata dal Parlamento europeo
Con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni il Parlamento Europeo si è espresso per il riconoscimento dell’aborto come diritto fondamentale. Nel testo della mozione gli eurodeputati chiedono che l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE sia modificato, affermando che: “ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero all’aborto sicuro e legale”. Ad aver votato compattamente la misura sono stati socialisti e democratici, Verdi/Ale, Renew e la Sinistra. Il partito Popolare Europeo si è spaccato con l’approvazione solo degli eurodeputati provenienti dal nord Europa. Il gruppo dei Conservatori e riformisti e Identità e Democrazia invece, salvo rare eccezioni, ha votato contro la mozione.
Che cosa prevede la risoluzione? In primis rappresenta una ferma condanna al regresso sui diritti delle donne e a tutti i tentativi di limitare o rimuovere gli ostacoli esistenti per diritti sessuali e riproduttivi e la parità di genere a livello globale, anche negli Stati membri dell'UE. Il focus della risoluzione punta a modificare l'articolo 3 della Carta per affermare che:
ognuno ha il diritto all'autonomia decisionale sul proprio corpo, all'accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari senza discriminazioni, compreso l'accesso all'aborto sicuro e legale
Il nuovo testo proposto dal Parlamento UE, così riformulato, esorterebbe i Paesi membri a depenalizzare completamente l'aborto in linea con le linee guida dell'OMS del 2022 e a rimuovere e combattere gli ostacoli all'aborto, invitando la Polonia e Malta ad abrogare le loro leggi e altre misure che lo vietano e lo limitano.
I deputati, infatti, condannano il fatto che in alcuni Stati membri l'aborto sia negato dai medici - e in alcuni casi da intere istituzioni mediche - sulla base della clausola di "coscienza” che, soprattutto in specifiche situazioni in cui è necessaria la tempestività, mette in pericolo la vita o la salute delle donne. Anche dove l’aborto è tutelato e salvaguardato, afferma l’Eurocamera, la presenza di medici obiettori di coscienza rischia di cancellare il diritto delle donne ad abortire. Per questo ha chiesto alla Commissione europea di garantire che «le organizzazioni che lavorano contro l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne, compresi quelli riproduttivi, non ricevano finanziamenti dall’UE».
La proposta di inserire l’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE era stata presentata già nel 2022 e poi abbandonata. Ritorna al centro del dibattito dopo che la Francia, lo scorso 4 marzo, ha inserito l’interruzione di gravidanza nella propria Costituzione. Così anche a Bruxelles si è ripreso a discuterne. «Decidere del proprio corpo è un diritto fondamentale, non c’è uguaglianza se le donne non possono farlo», aveva dichiarato l’eurodeputata danese Karen Melchior (Renew Europe), presentando l’iniziativa in sessione plenaria il 14 marzo.
Diritto all’aborto in Costituzione, la Francia “apripista”
Il primo Paese al mondo a inserire il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza nella propria Costituzione: il 4 marzo 2024 ha segnato un momento storico per la Francia. La modifica costituzionale è stata approvata con un ampio consenso da parte dei deputati e senatori riuniti a Versailles, con una votazione quasi unanime che ha sancito l’inclusione di questo diritto fondamentale nell’art. 34 della Costituzione.
Il nuovo testo costituzionale prevede che "la legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad un’interruzione volontaria della gravidanza". Ciò implica un riconoscimento del diritto delle donne francesi di scegliere sull’aborto in modo libero.
Il valore della decisione non è “solo” simbolico”: mentre il diritto all’aborto continua ad essere in pericolo in molti Paesi, la revisione costituzionale raggiunta in Francia diventa un riferimento per il resto del mondo
Pioniera nel riconoscimento del diritto all’aborto a livello internazionale, la decisione francese può influenzare potenzialmente altri stati a seguirne l’esempio. Non a caso, ha riacceso la discussione a livello europeo.
Italia, passi indietro sul diritto all’aborto
Se la Francia è esempio virtuoso, l’Italia è tra i Paesi che il Parlamento europeo attenziona negativamente: qui, afferma l’Eurocamera, l'accesso all'assistenza all'aborto sta subendo erosioni e un'ampia maggioranza di medici si dichiara obiettore di coscienza, cosa che rende estremamente difficile de facto l'assistenza all'aborto in alcune regioni.
Una situazione già ben testimoniata dall’inchiesta “Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere” - portata avanti dalle giornaliste Chiara Lalli e Sonia Montegiove – e confermata dagli ultimi provvedimenti sul tema.
Con un emendamento al decreto sui fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il governo Meloni stabilisce che nei consultori dovranno essere presenti associazioni «che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità».
Il rischio è quello di garantire libero accesso ai consultori alle organizzazioni contro l'aborto, erroneamente chiamate pro-vita o pro-life
Il testo dell’emendamento, infatti, garantisce alle regioni la possibilità di usare i fondi del Pnrr dedicati alla salute (Missione 6, componente 1 del Piano) per organizzare servizi nei consultori che possono avvalersi «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», oltre a quelli già previsti, «anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Una decisione che potrebbe sembrare quasi obsoleta poiché la stessa legge 194/78 - che norma l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza - prevede all'articolo 2 che i consultori possano avvalersi della "collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possano anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita".
Il provvedimento, dunque, nasconde un altro rischio: quello di garantire un finanziamento pubblico a una serie di realtà e associazioni che, invece di supportare le madri, portano avanti tesi e leggi antiabortiste.
È il caso per esempio della nota "Pro vita e famiglia", sostenitrice della proposta di legge che vorrebbe obbligare le donne che vogliano interrompere la gravidanza ad ascoltare il battito cardiaco e vedere un’ecografia del feto, o il "Movimento per la vita", autorizzato dalla regione Piemonte a gestire una “stanza dell’ascolto” del feto negli ospedali. Tipologie di realtà che esistono e che lo stesso Parlamento Europeo ha denunciato come lesive per il diritto all’aborto: quello italiano, dunque, rischia di essere un grosso passo indietro e in netta controtendenza rispetto alla traiettoria verso cui l’Unione europea vuole muoversi.