Perché parlare di soldi non può essere ancora un tabù per le donne

Quando si parla di donne, il denaro è il vero tabù da violare: il potere più grande storicamente affidato esclusivamente agli uomini. Rame è il progetto che vuole invertire la rotta, parlando di soldi per liberarli dal giudizio, dalla vergogna e dal senso di colpa di cui li rivestiamo
 

Ancora oggi per molte donne risulta difficile o volgare parlare di soldi: si continua a consigliare alle donne di sposare un uomo ricco e in molte famiglie tuttora non si insegna alle ragazze a gestire il denaro, persuadendole che farsi procurare da qualcun altro la sicurezza materiale sia un traguardo di vita.

Già all’inizio del XX secolo Virginia Woolf aveva centrato la questione dei soldi nel discorso sull’emancipazione femminile, pronunciando la celebre frase secondo cui «Una ragazza dovrebbe avere una stanza tutta per sé e una rendita di 500 sterline l’anno». Cosa è cambiato da allora?

Da dove nasce il tabù dei soldi per le donne

Perché una donna di successo nell’imprenditoria o nelle libere professioni è riservata nel dire quanto guadagna, mentre gli uomini di successo lo esibiscono senza problemi?
La ragione ha precise radici storiche: per un uomo il reddito ha sempre rappresentato una dimostrazione del suo potere.

Esibirlo ne comprovava lo status e affermava al mondo il proprio rango sociale: attraverso questo, gli uomini acquisivano la libertà di imporre ai propri inferiori - in reddito e status sociale -  tutta una serie di regole, dirette e indirette, in base a cui organizzare le dinamiche sociali, incluso il potere politico

Per le donne, invece, il denaro è sempre arrivato “nel nome di un uomo”: padre, marito, fratello o figlio. Anche nella cultura dell’antica Roma, che pure riconosceva alla donna una notevole autonomia amministrativa nei confronti del denaro di casa, si rileva una cerimonia matrimoniale particolarmente emblematica: la manus iniectio. Il padre poneva la propria mano sul capo della figlia, prendeva poi la mano del futuro genero e la sostituiva alla propria: con questo sanciva non solo l’importanza di una “protezione” maschile, ma anche di una sottomissione economica.

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In superficie molte cose sono cambiate da allora, ma l’inconscio personale e collettivo che determina i nostri comportamenti sociali ricalca lo stesso percorso: anche per questo, nonostante i passi avanti, il rapporto tra donne e denaro resta ancora circondato da un tabù in cui abitano inconsce e profonde paure.

Nel 1949, la scrittrice e partigiana italiana Alba de Céspedes, già raccontava con mirabile precisione il tacito patto coniugale che sottende il controllo economico delle donne da parte dei mariti. In Dalla parte di lei (Mondadori), scrive: «Quasi tutte, in casa, facevano lo stesso lavoro di una serva; ma alla serva non diciamo mai ti mantengo perché lei – in cambio del denaro che riceve, e del vitto, e del letto – ci dà il suo fidato lavoro. E la moglie, invece, fa lo stesso lavoro di una serva, e quello di una donna che si paga, e allatta i bambini, e li custodisce, e cuce i loro vesititi, e rammenda i panni del marito, senza pretendere neppure lo stipendio della serva. Eppure, nonostante questo, il marito può dirle: ti mantengo».

La scrittrice e partigiana Alba de Céspedes
La scrittrice e partigiana Alba de Céspedes

L’enorme elefante nella stanza rimane il lavoro di cura non retribuito. Secondo il rapporto Benessere Equo e Solidale stilato dall’Istat, nelle coppie di età compresa tra i 25 e i 44 anni, anche quando sono entrambi i partner a lavorare, l’uomo si fa carico solo del 37,4% del lavoro domestico e di cura. E al Sud? Ancor meno: gli uomini si fanno carico del 30,1% di queste attività: le donne diventano (prevalentemente) madri, gli uomini proseguono la loro vita professionale quasi come prima. Un dato importante che aiuta a contestualizzare il proibito binomio donne-soldi: come sdoganarlo?

Rame, il progetto che abbatte il tabù sui soldi

Avviare una rivoluzione culturale nella società, che trasformi la finanza personale da tabù a oggetto di conversazioni inaudite: Rame è una piattaforma che attiva conversazioni audaci sui soldi.

Perché Rame? Perché c’è un gesto che si ripete da centinaia di anni: lanciare una moneta di rame in uno specchio d’acqua esprimendo un desiderio. È il momento in cui connettiamo i soldi ai desideri, il punto da cui partire per costruire una nuova narrazione.

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Il progetto, lanciato da Montserrat Fernandez Blanco, Annalisa Monfreda e Paolo Galvani, si sviluppa su più canali: magazine, newsletter e podcast.

Il magazine cura approfondimenti tematici realizzati con esperti di settore, insieme a guide e indicazioni utili sul mondo della finanza. La newsletter, ogni mercoledì, divulga storie, consigli e notizie per aiutare chi legge a prendere le decisioni sui soldi più giuste: uno spazio aperto a contributi e domande.

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Il podcast, invece, avvia Le conversazioni sui soldi che non hai mai avuto: ogni puntata prende spunto da un'esperienza individuale non solo per toccare dei temi attinenti alla sfera monetaria, ma anche per mostrare fino a che punto i soldi siano legati alle nostre scelte, alle nostre paure, al nostro modo di pensare e perfino alla nostra identità.

Parlare di soldi può essere intimo e coinvolgente, rivelatorio ed eccitante, si legge nella presentazione del progetto

Tra le prossime iniziative, anche eventi dal vivo: l’8 settembre, a Milano, Nudismo finanziario darà luogo a una conversazione live con esponenti del mondo della cultura, dell’imprenditoria, dell’arte e dello spettacolo che hanno il coraggio di mettersi a nudo partendo dalla domanda Quanti soldi hai?

L’intento è costruire una nuova narrazione della ricchezza, un nuovo paradigma del valore. Perché per cambiare il nostro comportamento rispetto al denaro non occorrono nuove conoscenze, ma un nuovo modo di utilizzare le conoscenze

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