Perché i consultori sono una conquista femminista e vanno difesi
La richiesta da parte del Parlamento Europeo di inserire il diritto all'aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e, in Italia, il tentativo di dare libero accesso nei consultori ad associazioni «che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità» ha riacceso il dibattito sul ruolo dei consultori.
Luoghi di estrema importanza per la salute delle donne che, in quanto tali, devono rimanere un presidio protetto: nati come spazi di autodeterminazione dove si può scegliere di essere o non essere madri e per cui lo Stato – come da legge - dovrebbe fornire gli strumenti per supportare questa libera scelta, i consultori sono invece poco finanziati e sottovalutati. Per questo, conoscere la loro storia, significa comprendere perché è importante difenderli e averli a disposizione.
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Cosa sono e come nascono i consultori
I consultori, come indica l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), sono servizi di base «a tutela della salute della donna, del bambino e della coppia e famiglia»: nella loro definizione hanno introdotto principi innovativi che, sottolinea lo stesso Iss, «ancora oggi, nel quadro complessivo dell’assistenza sociosanitaria, li rendono un esempio unico di servizio connotato da un forte orientamento alla prevenzione e alla promozione della salute e basato sull’approccio olistico alla salute, la multidisciplinarietà, l’integrazione con gli altri servizi territoriali».
Sono stati istituiti nel 1975 con la Legge 405, come spazi femministi in cui salute e malattia sono prese in carico con un approccio trasversale che abbraccia la loro complessità somato-psichica, socio-economica e relazionale
Per questo motivo l’équipe dei consultori è multidisciplinare e prevede diverse figure professionali (ginecologa, ostetrica, psicologa, assistente sociale). A mettere al centro la questione della salute e del corpo sono stati i movimenti femministi, fin dagli anni Settanta: l’apertura dei consultori, a presidio della salute femminile, è stata una battaglia portata avanti mentre si lavorava alla riforma del diritto di famiglia, alla proposta di legge di iniziativa popolare in materia di violenza sessuale e all’apertura dei primi centri antiviolenza. Per rivendicare l’esigenza di luoghi dedicati alla loro salute psico-fisica e difendere la propria libertà di scelta e autodeterminazione, le donne si autodenunciavano per aborto e davano vita ai consultori autogestiti.
Il Centro Problemi Donna (CDP), ad esempio, è stato il primo consultorio privato, laico e autogestito di Milano: si affacciava sulla Galleria Vittorio Emanuele II, prima di trasferirsi, negli ultimi anni, in via della Guastalla. La sua fondazione risale al 1973 in un clima di fermento politico, sociale, culturale, intellettuale, in cui le donne – come scrive la docente e pedagogista Pina Sardella nel suo libro Il mondo delle donne. Storia del primo consultorio autogestito nel movimento di liberazione femminile – diventano protagoniste.
«Nel nostro centro si cerca di aiutare a capire il perché di un problema, a liberarsi dei tabù e dei pregiudizi che spesso lo provocano», si legge nel libro in relazione alla prima esperienza di consultorio autogestito: il centro, che si autofinanziava chiedendo un contributo di 5mila lire alle utenti, con questo obiettivo riuscì a raggiungere già nei primi mesi di vita 162 socie iscritte e 300 consulenze effettuate.
Numeri che testimoniavano già un’esigenza chiara da parte delle donne: un approccio alla loro salute che mettesse la loro volontà di autodeterminazione al centro
Nonostante diversi punti di contrasto tra ciò che il movimento femminista chiedeva e ciò che poi la legge ha sancito (come l’esclusione delle donne nella gestione di questi presidi in alcune regioni, le possibili sovvenzioni a consultori privati e religiosi, e un interesse più verso la coppia e la famiglia che verso la donna), i consultori familiari hanno rappresentato nel tempo un importante luogo di ascolto e cura.
La “doppia” funzione dei consultori: sanitaria e sociale
Come riportato dal loro obiettivo iniziale, i consultori operano in due ambiti diversi ma connessi: quello sociale e quello sanitario.
Definirli “presidi sanitari” sarebbe riduttivo poiché rappresentano anche dei punti di riferimento concreti nella prevenzione, nelle difficoltà familiari o nel contrasto del disagio psicologico.
Per molte adolescenti, ad esempio, il consultorio rappresenta la prima esperienza di visita ginecologica poiché è un’alternativa gratuita e di più facile accesso rispetto allo studio privato di uno specialista
Oltre agli adolescenti, un altro gruppo per cui il consultorio è un punto di riferimento sono le donne migranti: sin dalla fondazione dei consultori le prestazioni sono gratuite anche per gli stranieri e le straniere presenti sul territorio italiano, anche se temporaneamente. Anche per questo motivo i consultori rappresentano la concretizzazione di un’idea precisa di sanità e cura, che sia accessibile a tutte le persone che ne hanno bisogno e sia fisicamente presente sul territorio
Depotenziati e poco finanziati: la situazione dei consultori in Italia
Proprio per questa loro natura ibrida, legata tanto all’approccio sanitario quanto a quello sociale, i consultori nel tempo sono stati penalizzati dalle riforme sanitarie degli anni Novanta che hanno invece imposto una visione aziendalistica e centralizzata della sanità.
Negli anni i consultori sono stati riorganizzati e depotenziati: oggi la loro presenza sul territorio risulta disomogenea e inadeguata alle reali necessità
Ad esempio, mentre la legge indica che ci sia una struttura ogni 20mila abitanti, in Italia in media ve n'è una ogni 32mila circa: questo a causa della progressiva riduzione negli anni delle sedi disponibili e attive. Per quanto riguarda il personale sanitario, ogni consultorio dovrebbe prevedere almeno quattro figure centrali - ginecologo, psicologo, ostetrica e assistente sociale - ma solo in una sede su due lavora un’equipe al completo. Inoltre, solo un’azienda sanitaria o distretto su due ricorre alla consulenza di un mediatore culturale, nonostante i consultori debbano garantire accesso libero e gratuito anche alle donne straniere e ai loro figli.
A livello geografico, analizzando i dati dell’Iss, in Basilicata, Molise e nella provincia autonoma di Trento le condizioni strutturali dei consultori sono tra quelle più critiche, mentre soprattutto al sud e nelle isole la presenza di barriere architettoniche limita o impedisce l’accesso ai consultori a una parte della popolazione.
Per rendere i consultori realmente accessibili sul territorio, il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) varato nel 2000 suggeriva che, per una migliore tutela della salute delle donne e dei loro figli, nelle zone rurali e semiurbane ci fosse un consultorio ogni 10mila abitanti.
Depotenziamento dei consultori, quali conseguenze?
Il declino dei consultori è dovuto anche allo scarso interesse da parte del Ministero della Salute nel loro potenziamento. Dal 1975 a oggi, i fondi per lo sviluppo dei consultori – come sottolinea la giornalista e scrittrice Jennifer Guerra - sono stati stanziati solo tre volte: nel 1996 con una legge sulla sanità e nel 2007 e 2008, ma solo per progetti specifici.
A causa degli scarsi investimenti, molti consultori si sono trasformati in meri erogatori di prestazioni ostetriche o ginecologiche. Ma limitare i servizi dei consultori, così come chiuderli o non garantire facile accesso a questi presidi, significa non tenere in considerazione le difficoltà di spostamento e di contesto che le residenti di una determinata area possono avere e quindi limitare il loro diritto alla salute e all’autodeterminazione.
I pochi finanziamenti impediscono anche a molti consultori di integrare i loro servizi con attività pensate per i più giovani e, circa la metà delle strutture, non si occupa di questioni relative alla comunità LGBTQIA+
Counselling e visite mediche a donne in menopausa vengono invece offerte in quasi tutti i centri, ma solo un consultorio su 4 al nord e al centro e meno della metà di quelli al sud e nelle isole propongono campagne informative su questa fase della vita. Nonostante la quasi totalità dei consultori familiari dichiarino di occuparsi del percorso nascita, l’adozione di un protocollo per la valutazione del rischio psicosociale e di un eventuale disagio psichico durante e dopo la gravidanza è in media piuttosto rara: questo significa correre il rischio di non prevenire eventuali fattori di rischio e segnali di depressione perinatale. Anche l’ecografo, strumento necessario per una serie di prestazioni sanitarie e diagnosi, non è disponibile in tutti i consultori.
Per quanto riguarda invece l’assistenza per interruzione volontaria di gravidanza, il 68,4% dei consultori italiani nel 2021 ha dichiarato di offrire counselling pre-IVG e di rilasciare i certificati per l’intervento.
Dal 2020 è possibile accedere all’aborto farmacologico anche nei consultori ma solo in alcune città italiane è possibile usufruire di questo servizio. Tra le motivazioni, vi è proprio la carenza di strutture e spazi adeguati, taglio del personale e aumento de numero di operatori sanitari obiettori negli stessi consultori. Difendere i consultori, esattamente come rivendicare maggiore finanziamenti per i loro servizi, significa quindi continuare a portare avanti una lotta già iniziata dai movimenti femministi: la tutela della salute delle donne e della loro libertà di scelta e autodeterminazione. Diritti che non possono mai essere dati per scontati o garantiti.