Presidenza della Repubblica: perché al Quirinale non basta «una donna a caso»
Ogni settennato viene suggerito che Una Donna possa essere perfetta per il Quirinale: non ha nome e cognome ed è la stessa che presiede parlamenti, è a capo di aziende, guida organi istituzionali e commissioni. Le donne italiane qualificate e in possesso di un profilo adatto a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica perdono nome e cognome e, in un marasma indistinto di discorsi e commenti, vedono annullarsi le proprie specificità, carriere politiche, posizioni e percorsi.
Se ogni uomo rappresenta una storia a sé, le donne sono tutte Una Donna, intercambiabili e con il compito preciso di impossessarsi della carica di prestigio che si sono sempre viste negare
È il momento di fare nomi e cognomi
L’appello lanciato da un gruppo di scrittrici, attiviste e intellettuali italiane chiede un profilo femminile al Quirinale e, la giovane testata “La Svolta”, guidata da Cristina Sivieri Tagliabue, propone concretamente nomi e cognomi con la campagna “svolta President*”.
L’obiettivo è quello di raccontare quante donne di merito abbiamo, pronte per essere elette President* della Repubblica: tra i profili presentati, la vicepresidente della regione Emilia-Romagna Elly Schlein, la senatrice Liliana Segre, la Presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi, la virologa e direttrice del centro di eccellenza One Health Ilaria Capua, la direttrice del CERN di Ginevra Fabiola Gianotti, la scienziata Elena Cattaneo, la giornalista Milena Gabanelli, la sindacalista Susanna Camusso.
Si tratta di donne decisamente “non a caso”, con nomi e cognomi precisi. Le cui personalità, tuttavia, vengono analizzate dall’opinione pubblica e dal mondo politico con minuzia e criteri ben diversi da quelli con cui normalmente vengono valutate le candidature maschili.
Donna sì, dunque, ma che sia moderata e accontenti più o meno tutti: che non disturbi, non crei scompiglio, stia al suo posto.
Non basta una donna
Tra i profili femminili più accreditati per la presidenza della Repubblica, c’è quello della Ministra della Giustizia Marta Cartabia: costituzionalista, giurista e accademica molto stimata.
Ma sono proprio i movimenti femministi e la comunità LGBTQI+ a evidenziare che non basta che ci sia una donna alla presidenza per vedere garantiti i diritti delle donne e delle minoranze. Come dimostra del resto la recente elezione di Roberta Metsola, la nuova presidente del Parlamento europeo criticata per le sue posizioni anti-abortiste.
Anche Cartabia si è più volte espressa contro l’aborto, l’eutanasia, e il matrimonio egualitario. La sua eventuale elezione rimarrebbe semplicemente simbolica, senza alcun impatto significativo sul piano dei diritti.
Come sostengono le attiviste della Casa internazionale delle Donne:
non possiamo annacquare la singolarità delle storie e delle personalità politiche femminili nell’indistinto della categoria di genere. Non può essere che una donna valga l’altra
La differenza fra eleggere una donna ed eleggere una donna femminista è sostanziale: quest’ultima porterebbe ai vertici valori più liberali, più egualitari e meno tradizionali. Non basta dirsi femminista per esserlo.
Il femminismo è un’identità e una pratica che usa la sua forza per cambiare il sistema che tiene in sacco le minoranze.
Il doppio standard in politica e lo scenario esotico di una donna al Quirinale
Tra gli argomenti più gettonati contro l’idea di una donna al Colle c’è quello per cui non ci sarebbero abbastanza donne con esperienza di potere, considerate “marginali” e non sottoposte alla più forte selezione che tocca ai candidati maschi.
Ma quali sono i criteri con cui la selezione avviene? Dignità, competenza e passione civile sembrano essere parametri maggiormente utilizzati per la valutazione delle candidature femminili, scoprendo l’applicazione del doppio standard di genere anche in politica, ovvero il meccanismo cognitivo secondo cui valutiamo distintamente le stesse azioni di persone diverse anche in base al loro genere.
La Donna candidata dev’essere non solo la più brava, ma la più preparata, indiscutibile, indistruttibile.
La stessa austerità non viene applicata agli uomini e ne è conseguenza diretta lo stupore con cui viene salutata qualsiasi candidatura femminile ad ogni carica di rilievo. Lo spiegano bene le parole di Emma Bonino, la storica leader dei Radicali che ha garbatamente smentito la sua ipotesi di elezione indicando una via precisa:
Voglio solo sperare che tutto questo dibattito sul “presidente donna” serva a motivare e a convincere le ragazze e le donne italiane ad impegnarsi in Politica. Fatelo per le idee che avete, fatelo per lottare per quello in cui credete, fatelo non perché donne ma affinché a nessuna donna possa mai più esser detto di non poterlo fare
Dunque, c’è da sperare davvero che il nuovo presidente della Repubblica alla fine sarà una donna.
Ma, soprattutto, c’è da augurarsi che in un futuro più vicino possibile siano le stesse donne a scegliere una loro collega meritevole e che lo scenario di un presidente donna non venga più considerato sempre e solo come suggestiva novità o uno scenario esotico e di rottura rispetto alla tradizione maschile, autorizzata a elargire o meno gentili concessioni.