Il “processo del Millennio”: sei ragazzi portoghesi citano 32 stati per inazione climatica

Si è tenuto mercoledì 25 settembre 2023 a Strasburgo, presso la Corte Europea dei Diritti Umani, quello che è stato definito il "processo del Millennio". Sei ragazzi portoghesi hanno citato a giudizio 32 Stati, europei e non, per il mancato rispetto degli accordi della Conferenza di Parigi sul Clima del 2015. Ecco perché è importante conoscere (e supportare) questa causa

Nel 2020 sei giovani ragazzi portoghesi tra i 10 ed i 23 anni sono scesi in campo trascinando ben 32 Stati di fronte alla corte di Strasburgo per inazione climatica. La causa costituisce una pietra miliare nella storia dei processi ed è stata definita come il “processo del Millennio”. Questo appellativo è dovuto sia alla sua importanza e sia all’età dei protagonisti che hanno intentato l’azione legale.

La Corte Europea dei Diritti Umani ha accettato di discutere il caso di fronte ai diciassette magistrati della “Gran Camera”, luogo in cui vengono dibattuti solo i ricorsi più importanti

L'inedita azione legale è iniziata nel giugno 2017, quando nel centro del Portogallo un incendio dalle proporzioni inaudite ha raso al suolo il bosco di Pedrógrão Grande. Pochi mesi dopo, il secondo episodio di roghi ha fatto salire il numero finale dei morti a quota 100. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e da lì la decisione di trascinare in tribunale gli Stati dell'UE insieme a Russia, Svizzera, Gran Bretagna e Turchia.

Non era mai stato citato in giudizio un numero tale di stati, soprattutto in materia d’ambiente

L’accusa? Non fare abbastanza contro il cambiamento climatico, ma non solo. Infatti, i suddetti Stati, pur avendo firmato la Convenzione sui Diritti Umani nella quale rientra il diritto a “vivere una vita degna”, sembrano non farsene carico a sufficienza.

Sappiamo tutti che le conseguenze dei cambiamenti climatici sono portatrici di tutto, tranne che di una vita degna

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Ma qual è l’ostacolo principale del processo? Purtroppo, il fatto che i ricorrenti non possono dimostrare alcun danno diretto causato dagli incendi o dal cambiamento climatico. Questo è un punto molto controverso. Infatti, per portare in tribunale uno Stato o un’azienda che sta inquinando e far sì che il proprio caso sia accettato, bisogna dimostrare di essere vittime di un danno diretto.

Ad aprire la strada in questo tipo di battaglie è stato un gruppo di giovani filippini che, nel 1993, riuscì a portare avanti un’azione contro il governo. L’accusa era che lo Stato non stava prendendo misure adeguate per proteggere le foreste, recando quindi danno ai ragazzi ma anche alle future generazioni. Questo fu l’unico caso in cui la corte espresse il principio di equità intergenerazionale.

Se i ragazzi portoghesi dovessero vincere, la sentenza equivarrebbe ad un trattato giuridicamente vincolante per i 32 Stati, e in più questo aprirebbe e faciliterebbe la strada ad altri attivisti! Secondo l’Environment Program dell’ONU del 2022, sono state intentate ben 2.180 “Cause Climatiche” in 65 giurisdizioni, tra cui corti internazionali e regionali. Ciò rappresenta un aumento costante dal 2017 in poi.

Purtroppo, per conoscere gli esiti del processo dovranno passare ancora molti mesi, ma la strada è stata tracciata.


Federica Gasbarro collabora con The Wom in modo indipendente e non è in alcun modo collegata alle inserzioni pubblicitarie che possono apparire all'interno di questo contenuto.

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