Reiventare la città a partire dalle donne: come Romadiffusa sta spostando lo sguardo su Roma
Un luogo, scrive la giornalista americana Joan Didon, appartiene a chi lo reclama, lo forma e lo plasma fino a farne la sua stessa immagine. Ancora, indica Caroline Criado Perez nel saggio “Invisibili”, le città sono state storicamente costruite dagli uomini per rispondere alle esigenze di altri uomini.
Cosa cambia quando lo sguardo predominante diventa un altro? Romadiffusa concretizza la possibilità di uno sguardo “altro”, in cui la cultura diventa centrale nel suo significato etimologico: coltivare. Nel senso di prendersi cura di un terreno articolato e vulnerabile come quello di Roma, decostruendolo nei suoi significati “eterni” per renderlo vicino alle persone: i quartieri diventano protagonisti con le loro realtà creative, artist*, musicist*, collettivi e associazioni.
Ad aver ideato e a realizzare il progetto in tutti i suoi elementi - dalla curatela, alla selezione di location e contenuti, ai rapporti con istituzioni, artisti ed esercenti, alla produzione e messa a terra – sono due giovani professioniste, Sara D’Agati e Maddalena Salerno: appena trentenni durante la prima edizione nel 2022, sono accompagnate da un team composto quasi interamente da ragazze tra i 23 e i 28 anni. Il cambio di prospettiva non è solo “numerico” ma sostanziale, perché implica uno sguardo preciso rispetto a tutto il processo creativo del progetto: la visione non è neutra ma arriva da due donne con background differenti e simili negli obiettivi.
Stare in connessione, ibridare la differenza: è questo il filo rosso che attraverso la scelta di artist*, musicist* e artigiani*, la costruzione di reti tra cittadin* e realtà, la valorizzazione della comunità - dalle piazze alle social street e programma per bambini - sino all’attenzione particolare dedicata alle attività intergenerazionali e alla sostenibilità sociale e ambientale.
«Ci preme ribaltare la retorica cui la nostra generazione è stata abituata, per giustificare la televisione e la musica spazzatura e l’imbruttimento delle città. Ci siamo sentiti raccontare che questo è quello che vuole la gente, e perciò gli si dà ciò che è profittevole. Al contrario, noi vogliamo dimostrare che se alle persone si offre il bello, il poetico, la qualità, saranno pronte ad accoglierlo e così si può generare un circolo virtuoso», spiegano le founders di Bla Studio, agenzia creativa dietro Romadiffusa.
Ma come si porta il proprio sguardo in un processo così capillare e sfidante come Romadiffusa e, soprattutto, che cosa significa farlo da giovani e donne? D’Agati e Salerno lo raccontano a The Wom, a poche settimane dalla fine della quarta edizione di Romadiffusa.
La curatela di Romadiffusa ha il vostro punto di vista. Due giovani professioniste, diverse eppure simili negli obiettivi. In cosa differisce il vostro sguardo rispetto a quello che reputate “mainstream”?
Siamo diverse sotto tanti punti di vista, ma nella curatela e nella scelta di artist* e contenuti siamo fortemente allineate. Facciamo molta ricerca sia musicale - anche grazie al supporto di Emilio Lucchetti che, all’interno del team cura soprattutto il filone musicale - che artistica e performativa.
Prediligiamo musicist*, artist* e collettivi sperimentali, che portino tematiche legate al territorio, all’ambiente, al multiculturalismo, alla rappresentazione del corpo
Quest’anno abbiamo chiesto al collettivo spagnolo di Clara Cebrian di “occupare” uno spazio in disuso in un palazzo storico, con il loro progetto Amason, che riflette sul tema degli oggetti prodotti in serie. Abbiamo invitato l’artista greca Sofia Kouloukouri con una performance sulla rappresentazione del corpo della donna inteso come corpo collettivo. Il collettivo Summa Alu, partendo dalla statua di Giordano Bruno, ha indagato il tema della libertà identitaria oggi. Con un intervento di arte pubblica in strada, abbiamo chiesto a tre artiste di reinterpretare gli stendardi dei rioni del centro in chiave contemporanea.
Molto del nostro lavoro parte dal territorio in cui operiamo. Nel caso del centro storico abbiamo giocato sui contrasti tra location storiche e contenuti contemporanei/sperimentali.
Dalla valorizzazione degli spazi a un nuovo modo di viverli e progettarli: Roma è una città accogliente per le donne? In che modo potrebbe esserlo di più?
Roma non è una città accogliente per le donne, così come non lo è per i giovani e per le minoranze, a partire dai disabili. Non lo è negli spazi, non lo è nel linguaggio, non lo è nelle distanze.
Da giovani donne, che hanno intrapreso un progetto così grande e capillare sulla città, abbiamo dovuto imparare a essere estremamente assertive nell’interazione con i diversi interlocutori, dal pubblico al privato, con cui abbiamo a che fare per mettere a terra il progetto
L’approccio che vogliamo portare è quello della costruzione di reti, dell’aggregazione tra cittadin*, della valorizzazione della comunità: dalla programmazione gratuita nelle piazze, alle social street, al programma per bambini, al prediligere attività intergenerazionali e multi-target perché troppo spesso la città ghettizza: i giovani con i giovani, le famiglie con le famiglie, gli anziani con gli anziani (quando non in completa solitudine). Lo stesso accade con le varie realtà cui ci rivolgiamo: artigiani, istituzioni culturali, spazi creativi, ristoratori, esercenti: spesso condividono quartieri, strade o piazze senza entrare in alcuna relazione tra loro.
La sfida di Romadiffusa è connettere, offrire un contenitore dove ibridarsi. Noi proponiamo un modello di fruizione, dai tavoli sociali, ai workshop, alla musica nei musei, che siamo accessibili e godibili da tutti, insieme.
Il criterio dell’autenticità è quello che seguite nella selezione dei posti e degli spazi che fanno parte di Romadiffusa. Come lo riconoscete e cosa significa per voi autenticità?
Autentico è per noi ciò che ha mantenuto un’anima, una sua unicità. Che non si è piegato alla massificazione e al profitto come unico criterio. Trattandosi di un progetto territoriale itinerante, adattiamo di volta in volta la curatela al territorio di riferimento: l’edizione di Romadiffusa in centro storico vuole rispondere, da un lato, al fenomeno del turismo mordi e fuggi, contribuendo alla progressiva modifica dei flussi turistici e al ritorno dei romani a vivere il centro; dall’altro alla proliferazione di attività commerciali anonime e standardizzate a danno delle realtà più autentiche.
Una gran parte del palinsesto, infatti, punta sulla valorizzazione delle botteghe artigiane, le piccole librerie, gli spazi d’arte, gli spazi culturali, ma anche le osterie e i bar che non hanno ceduto all’impulso di invadere i vicoli con tavolini di plastica ed esporre immagini della matriciana o del cappuccino.
Con l’edizione di Natale, come è già accaduto lo scorso anno, e in estate, ci rivolgeremo invece alle periferie e ad altri quartieri della città, puntando sul concetto del fai da te e dell’acquisto consapevole.
Come Romadiffusa, anche la popolazione romana è assolutamente ibrida. Quali sono i quartieri di Roma che avete intenzione di toccare per le prossime edizioni e, soprattutto, qual è il contributo che la gente dei quartieri porta alla progettazione dell’evento?
Per le prossime edizioni, ci piacerebbe toccare Torpignattara e Esquilino e poi, progressivamente tutti gli altri. Rispetto al centro storico, entrambi questi quartieri, per ragioni diverse, hanno un tessuto sociale molto più attivo, lo dimostrano il numero di associazioni e collettivi che operano già sul territorio. Per questa ragione, mentre per il centro storico ci siamo rivolte maggiormente ad attori singoli, mettendoli poi in relazione tra loro, nel caso di Esquilino, siamo già entrate in rete con tutte le associazioni attive sul territorio, che operano principalmente sui temi del multiculturalismo, dell’educazione e del decoro urbano; mentre su Torpignattara stiamo cominciando adesso a mappare il territorio e le realtà presenti.
Quello che ci preme è che Romadiffusa non sia, e non venga percepita, come un progetto calato dall’alto ma, al contrario, come un aggregatore, un contenitore che porti valore e visibilità a ciò che già esiste, aggiungendo un tocco di ibridazione da fuori, in accordo con le esigenze e caratteristiche del territorio che si va a toccare
Ci interessa molto il principio di ibridazione tra territori e quartieri. Roma infatti, troppo spesso agisce in maniera eccessivamente quartierale. Nel caso del format Parioli Punk, ad esempio, abbiamo lavorato sul portare la “periferia” intesa anche in senso contenutistico e non soltanto territoriale, in un quartiere alto-borghese e conformista: dal collettivo queer afroamericano a Villa Balestra, alla mostra di una fotografa anarco-femminista dentro la stazione Euclide, dalla video installazione “Il Mio Filippino” di Lyric, alla a performance pro-Palestina di Timoperformativo.
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