Al Festival di Venezia il trionfo della regista ebrea americana Sarah Friedland: «Sono al fianco del popolo palestinese»
Non era in corsa per il Leone d’Oro, ma ha comunque conquistato il Festival di Venezia portandosi a casa il premio per la miglior regia nella categoria Orizzonti e il prestigioso premio Luigi de Laurentiis per il miglior debutto. Sarah Friedland, 32enne losangelina, è uno dei volti emergenti più noti della 81esima edizione del Festival del Cinema di Venezia grazie a Familiar Touch, il film con cui ha voluto raccontare il tema della demenza e dell’anzianità attraverso la storia di Ruth, ottantenne che affronta questa difficile fase della vita trasferendosi in una struttura di assistenza.
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Il messaggio dalla Laguna: «Sono al fianco del popolo palestinese nella lotta per la liberazione»
Da sempre impegnata nel racconto di temi politici e sociali attraverso la sua opera, Friedland ha accettato il premio “Leone del Futuro” per il miglior film d'esordio sabato sera, e ha approfittato dell’occasione per lanciare un potente messaggio sulla guerra in corso ormai da quasi un anno tra Israele e Hamas e sulle pesantissime ricadute su Gaza. Ebrea americana, è salita sul palco prendendo una posizione netta, la prima a farlo nel corso della kermesse.
«Accetto questo premio nel 336esimo giorno del genocidio di Israele a Gaza e nel 76esimo anno di occupazione. È nostra responsabilità, come registi, utilizzare le piattaforme istituzionali in cui lavoriamo per affrontare l’impunità di Israele sulla scena globale - ha detto la regista dal palco, mentre risuonavano gli applausi - Sono al fianco del popolo palestinese, solidale nella loro lotta per la liberazione».
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La laurea alla Brown e gli studi da coreografa: chi è Sarah Friedland
Nata a Los Angeles nel 1992, Friedland si descrive come “regista e coreografa che lavora all'intersezione tra immagini in movimento e corpi in movimento", definizione che rispecchia e riassume perfettamente quanto fatto nel corso della sua carriera: prima di Familiar Touch si è dedicata a corti sperimentali, performance live e installazioni video. Dal 2017 al 2022 ha lavorato alla trilogia Movement Exercises, composta da tre cortometraggi che esplorano i modi in cui il movimento in contesti specifici codifica significati personali, sociali e politici.
Friedland si è laureata in cultura moderna e media alla Brown University mentre studiava danza, un percorso che le ha consentito di studiare il modo in cui la danza può essere scomposta e raccontata attraverso immagini per dare vita a vere e proprie sceneggiature. La decisione di sviluppare Familiar Touch arriva però da un’esperienza molto personale: quando la nonna ha iniziato a dare segni di demenza è stata trasferita in una struttura di cura, ed è stato allora che la regista ha iniziato a lavorare al film.
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“Familiar Touch”, un film nato da esperienze e sensibilità personali
«Ho iniziato a scrivere Familiar Touch poco dopo la morte di mia nonna, che aveva vissuto per molti anni con la demenza senile - ha spiegato la regista - Alla fine della sua vita sono rimasta turbata dal fatto che la mia famiglia avesse pianto preventivamente la sua morte. L’erosione della sua precisione linguistica li aveva spinti ad affermare che “non c’era più”, tuttavia il suo senso di sé si esprimeva attraverso il corpo, per esempio picchiettando a ritmo e canticchiando».
A questa esperienza se n’è aggiunta un’altra, ovvero il lavoro come assistente di cura per artisti newyorkesi affetti da demenza: «Sei anni dopo la morte di mia nonna ho iniziato a lavorare come assistente per artisti newyorkesi con problemi di memoria. Ho imparato non solo a leggere il corpo dei miei clienti, ma anche a configurare il mio per sostenere la loro identità sociale. Certi giorni mi trattavano come badante, altri come una nipote o un’amica. Ho fornito loro l’intimità di cui avevano bisogno attraverso gesti e tocco - ha detto - e ciò ha radicalmente plasmato il mio modo di pensare all'invecchiamento, alla cognizione e all'identità personale. Sono rimasta affascinata dalla sfuggente identità dell'età, e queste esperienze mi hanno convinta a realizzare un film di formazione su una donna anziana che sta vivendo le grandi trasformazioni del trasferimento in una struttura di cura, sperimentando un cambiamento nella memoria e tuttavia trovando una continuità di sé».
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Per sviluppare il film la regista ha allestito un laboratorio in una comunità di pensionati con assistenza continua a Pasadena, in California. Friedman ha tratto ispirazione e lavorato con gli ospiti del reparto di assistenza indipendente e residenziale, per poi decidere di assegnare i ruoli chiave ad attori professionisti, tra cui la protagonista Kathleen Chalfant, applauditissima per la performance.
La storia di Ruth: i pregiudizi e gli stereotipi sull'invecchiamento
Il risultato è un film che racconta la storia di Ruth, ottantenne, nella transizione alla vita in una casa di cura, mentre affronta il rapporto conflittuale con sé stessa e le persone che la assistono, tra il mutare della sua memoria, dei suoi desideri e della percezione della propria età. Un’opera che rispecchia sia l’esperienza di Friedman sia i temi che le sono particolarmente cari, come appunto il modo in cui l’anzianità e l’invecchiamento vengono trattati e considerati nella società di oggi.
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«Non pensiamo abbastanza alla svalutazione degli anziani nel momento in cui non hanno più valore nel mercato del lavoro e all'impatto che ciò ha sul modo in cui consideriamo il lavoro di assistenza», ha spiegato. «Volevo realizzare un film che guardasse a una donna anziana non attraverso il declino, la malattia o la morte, ma semplicemente come uno studio della sua esperienza di sé al di fuori del lavoro, al di fuori dei nostri stereotipi su cosa sia un “donna anziana”, e guardare ai suoi desideri e al suo mutevole senso di sé in uno spazio di invecchiamento, partendo dall’assunto che quello spazio non definisce chi è».
«La nostra protagonista Ruth non solo rifiuta i ruoli che ci si aspettano da lei – Madre, Paziente, Vecchia Signora – ma anche l’identità legata alla sua età “corretta”, oscillando tra la sensazione di avere ottantacinque e venticinque anni», conclude Friedland. «Attingendo alla mia formazione di coreografa e regista di danza, Familiar Touch è raccontato attraverso la coreografia precisa e quotidiana di Ruth, la nostra protagonista, e il linguaggio fisico dell’assistenza».