In Islanda le donne hanno scioperato per 24 ore contro gender gap e violenza di genere
Migliaia di donne, compresa la premier, Katrín Jakobsdóttir, in sciopero contro il gender gap e la violenza sessuale e di genere: succede in Islanda, dove la protesta ha un nome specifico, “kvennafrí” o “giorno libero delle donne”, e si è ripetuta per sette volte dal 1975 a oggi, sempre il 24 ottobre.
Questa volta lo sciopero è durato per l’intera giornata, con conseguente astensione dalle mansioni lavorative, in ogni comparto, da parte di tutte le donne che hanno aderito. Una protesta che non si è limitata all’ambito prettamente lavorativo, ma che ha riguardato anche quello domestico: «Ci asteniamo anche dal lavoro non retribuito per cui ci si aspetta che ci facciamo carico - spiega il collettivo kvennafrí - come la cura dei bambini, le faccende domestiche e il carico emotivo derivante dalla delega della gestione della casa. Chiediamo che la violenza di genere venga eliminata, e che il contributo delle donne e delle persone non binarie alla società venga riconosciuto e premiato. Ci aspettiamo che mariti, padri, fratelli e zii si assumano le responsabilità legate alla famiglia e alla casa, come per esempio preparare la colazione e il pranzo, ricordare i compleanni dei parenti, comprare un regalo per la suocera, fissare un appuntamento dal dentista per i figli».
Come conseguenza diretta, martedì 24 ottobre molte scuole e biblioteche del Paese sono rimaste chiuse, una sola filiale bancaria è rimasta aperta, i media hanno avuto copertura ridotta e le cliniche hanno gestito solo le emergenze, mentre su una collina di Reykjavik migliaia di donne si sono radunate in segno di protesta. Tutto questo a dimostrazione di come il lavoro delle donne nei vari comparti - sanità, istruzione, media, economia - sia determinante. E nonostante questo, valutato ancora meno importante rispetto a quello degli uomini.
«Non lavoro oggi, e mi aspetto che facciano lo stesso anche tutte le donne che fanno parte del governo», ha detto la premier Jakobsdóttir, che proprio per partecipare allo sciopero e manifestare solidarietà alle donne islandesi ha rinviato una riunione di gabinetto. Due terzi del personale dell’ufficio della premier è rappresentato da donne, e tutte hanno partecipato alla protesta e si sono astenute dal lavoro. Anche il presidente dell’Islanda, Gudni Johannesson, su X ha condiviso una foto del primo sciopero, datato 1975, ricordando che «le donne in Islanda scioperano oggi, per la settima volta dal famoso #womensdayoff del 1975. Il loro attivismo per l'uguaglianza ha cambiato in meglio la società islandese, e continua a farlo anche oggi».
Anche il Ministero degli Affari Esteri, con un tweet, ha voluto sottolineare come «oggi ripetiamo l’evento del primo sciopero delle donne di un’intera giornata dal 1975, che segna il giorno in cui il 90% delle donne islandesi si prese un giorno libero sia dal lavoro sia dai doveri domestici, portando a un cambiamento fondamentale, tra cui la prima donna eletta presidente di un paese al mondo».
Per 14 anni consecutivi, l’Islanda è stata classificata come la migliore nazione per l’uguaglianza di genere dal World Economic Forum (WEP), secondo cui il Paese ha colmato il 91,2% del gender gap. Il collettivo che organizza lo sciopero, però, quest’anno si è voluto concentrare sulla difficile situazione delle donne immigrate: «Costituiscono circa il 22% delle donne nel mercato del lavoro islandese, e il loro contributo è inestimabile - hanno sottolineato - ma, purtroppo, la loro importanza è raramente riconosciuta o riflessa nelle retribuzioni che ricevono».
I precedenti: il primo grande sciopero nel 1975
Come detto, quello del 24 ottobre 2023 è il settimo sciopero organizzato dalle donne in Islanda. Il “kvennafrí” è andato in scena per la prima volta il 24 ottobre 1975, giorno in cui le donne di tutta l’Islanda si sono astenute dal lavoro per dimostrare l’importanza del loro contributo al funzionamento della società. Dieci anni dopo, nel 1985, 25.000 donne incrociarono nuovamente le braccia contro la disparità di reddito, e ancora nel 2005, nel 2010, nel 2016 e nel 2018.
In tutti questi casi, chi ha aderito allo sciopero ha smesso di lavorare a una specifica ora della giornata, quella in cui il “monte ore” correttamente retribuito era stato raggiunto. Stavolta invece l’astensione è durata per l’intera giornata, proprio come nel 1975, un atto dimostrativo finalizzato ad aumentare la consapevolezza sulla discriminazione salariale “sistemica” e sulla violenza di genere che ogni giorno devono affrontare le donne in Islanda.