Donne che scrivono: dagli pseudonimi maschili allo (straordinario) caso Ferrante
Spesso, dietro questa scelta c’era la comprovata impossibilità di pubblicare con un nome di donna. In questo caso, scegliere un nome diverso era un modo per aggirare un ostacolo.
Ancora oggi, darsi un nome che non sia il proprio può significare rifiutare un’imposizione, come dimostra il caso di Elena Ferrante.
Pseudonimi famosi
Oggi le conosciamo con i loro nomi e cognomi. Eppure, le sorelle Brontë, come altre scrittrici dell’epoca vittoriana,pubblicarono originariamente le loro opere sotto pseudonimo. Brontë divenne Bell; Charlotte divenne Currer; Anne divenne Acton; Emily divenne Ellis. Le sorelle erano perfettamente consapevoli che le autrici donne erano guardate con pregiudizio, e che si credeva esistesse un preciso modo femminile di scrivere e pensare.
Nel 1818, le prime edizioni di Frankenstein di Mary Shelley vengono pubblicate in forma anonima. Shelley non usava uno pseudonimo con gli editori, che per questa ragione continuavano a tagliarle gli anticipi o pagarla meno. Eppure, lei andava avanti: doveva, perché non aveva altri mezzi per mantenersi.
Anche Mary Ann Evans era ben conscia degli stereotipi letterari dell’Inghilterra del diciannovesimo secolo: utilizzò lo pseudonimo di George Eliot per il suo romanzo di debutto del 1859, Adam Bede, e poi, nonostante la sua identità anagrafica fosse stata scoperta, decise di usarlo anche per il suo capolavoro, Middlemarch, uscito nel 1871. Già nel 1956, Evans aveva pubblicato Romanzi sciocchi di signore romanziere, una invettiva contro le autrici di romance popolari che rivendica per la scrittura delle donne una dignità diversa.
Jane Austen non scelse uno pseudonimo maschile, ma protestò a modo suo contro il pregiudizio: in tutti i suoi romanzi si firma “A lady”, per sottolineare il valore che anche un’autrice donna poteva avere.
Con Piccole Donne, Louisa May Alcott ha creato un ritratto duraturo della sorellanza e della forza femminile nell'America del XIX secolo.
Prima della sua pubblicazione, tuttavia, Alcott scrisse una serie di thriller gotici sotto il nome di A.M. Barnard, uno pseudonimo neutro che le aveva permesso di esplorare tematiche oscure, ritenute poco adatte a una donna.
L'alter ego letterario della Alcott rimase un segreto per decenni, anche dopo la morte dell’autrice. È nel 1942 che Leona Rostenberg, studiosa di libri rari, scopre delle lettere scritte alla Alcott da un editore di Boston: «Vorremmo più storie da te. Se preferisci, puoi usare lo pseudonimo di A.M. Barnard, o il nome di qualsiasi altro uomo».
Firmarsi al femminile nel mondo contemporaneo
Non mancano gli esempi mondo contemporaneo: lo pseudonimo abbreviato e puntato di J.K Rowling, all’anagrafe Joanne, deriva da un deliberato suggerimento dell’editore di Harry Potter, nel tentativo di rendere il nome ambiguo e aggirare i possibili pregiudizi di lettori e lettrici di fantasy rispetto a un’autrice donna. Non avendo alcun secondo nome sul certificato di nascita, per completare lo pseudonimo Rowling adottò il nome di sua nonna Kathleen.
La scelta ha chiaramente influenzato Rowling, che nel 2013 decise di pubblicare un thriller poliziesco, The Cuckoo's Calling, sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith. Come spiegato dall’autrice stessa, voleva lavorare senza aspettative e ricevere un feedback privo di condizionamenti.
Voleva, di fatto, liberarsi dalla sua identità di scrittrice famosa: per farlo, sceglie il nome di un uomo
Autrice di romanzi gialli, Frédérique Audoin-Rouzeau ha scelto lo pseudonimo neutro di Fred Vargas. Il cognome è un omaggio alla sorella gemella Jo, una pittrice che nelle sue opere si firma Vargas, e a María Vargas, il personaggio interpretato da Ava Gardner nel film di Joseph L. Mankiewicz La contessa scalza.
Il caso Ferrante: un nome di donna
Interessante, in questo senso, è il caso Ferrante, a cui Michela Murgia e Chiara Tagliaferri hanno dedicato una puntata del loro podcast Morgana.
VEDI ANCHE CultureLa guerra non ha il volto di donna: dalla letteratura all’attualitàQuello che rende anomalo lo pseudonimo scelto da Elena Ferrante, è in primis il fatto che è un nome di femmina. L’autrice non cerca di sottrarre al pubblico la definizione del proprio genere (lo afferma!) quanto, piuttosto, di un corpo e di un’immagine. Si tratta di una scelta programmatica, che ha preceduto di molti anni l’arrivo del successo.
Ferrante non ha più bisogno di uno pseudonimo al maschile. Ammette che il suo immaginario, come quello di tutte noi, si è formato soprattutto su testi di autori uomini; tuttavia, cerca proprio una scrittura adeguata a raccontare il suo sesso e la sua differenza.
Mentre lo fa, però, si rifiuta di partecipare fisicamente a presentazioni, premi, apparizioni pubbliche di ogni tipo.
Elena Ferrante non è, come a volte viene definita, una scrittrice anonima, e la sua non è un’identità falsa. Si tratta, piuttosto, di un aspetto della sua identità: un alter ego.
La persona dietro Elena Ferrante altri non è che Elena Ferrante, e la scelta di un nuovo nome è mossa dal desiderio di affermare una identità più complessa. Semplicemente, Elena Ferrante è un’autrice che pretende di essere trattata come chi dice di essere
Chi sia all’anagrafe è, in realtà, una questione di poco conto: quando il 2 ottobre del 2016 il giornalista Claudio Gatti pubblica la sua teoria secondo cui Elena Ferrante sarebbe anche Anita Raja, traduttrice e moglie dello scrittore Domenico Starnone, si aspetta grande clamore. In realtà, la reazione del pubblico e del mondo letterario è piuttosto fredda.
Quando e come decidere chi sei
Viviamo in una società che ha condannato l’invisibilità come pericolosa e sospetta in nome della sicurezza.
La presa di posizione di Elena Ferrante desta confusione e scandalo. Ci si è chiesti chi fosse davvero Elena Ferrante, come se l’assenza di un tracciamento biografico rendesse questa identità inaccettabile.
Quello che non si è perdonato a Elena Ferrante è di aver sottratto il proprio corpo al giudizio dei mezzi di comunicazione di massa.
A rendere ancora più grave questa scelta è stato il rifiuto del silenzio mediatico: per essere credibile in quanto invisibile, Ferrante non dovrebbe esprimere allora alcuna opinione, non rilasciare dichiarazioni né interviste per iscritto. Né raccontare alcunché riguardo alla sua biografia. Dovrebbe, cioè, stare zitta.
Ferrante rinuncia alla pubblica immagine, eppure rivendica la parola pubblica, così come il diritto a decidere quando parlare a lettori e a lettrici
Una donna dovrà ancora scollarsi qualcosa di dosso: se per anni c’è stato bisogno di prendere le distanze dal proprio genere, Ferrante ha sentito il bisogno di prendere le distanze dal proprio corpo. Sia lei sia le altre scrittrici che abbiamo citato lo hanno fatto attraverso lo strumento di definizione per eccellenza: la decisione di darsi un nome.