Cos’è e come si combatte la violenza economica

Tra le tante forme di violenza contro le donne, ce n’è una più sottile rispetto a quella fisica, ma ugualmente invalidante e in grado di lasciare segni profondi: è la violenza economica, una tattica cui molti partner abusanti ricorrono per cercare di isolare e dominare la donna sfruttando il denaro

La violenza economica si concretizza attraverso una serie di comportamenti finalizzati a rendere la donna totalmente dipendente dal partner abusante. Che spesso la costringe - millantando prove d’amore, o promettendo di occuparsi di lei anche da questo punto di vista - a lasciare il lavoro e a consegnargli libretti degli assegni, carte di credito, bancomat e credenziali bancarie.

Il partner controlla tutte le sue risorse finanziarie e chiede conto di qualsiasi spesa fatta, pretendendo ricevute e scontrini che giustifichino eventuali acquisti personali o anche per la casa e la famiglia e instaurando un clima di sfiducia e paura

La donna quasi sempre viene esclusa da ogni tipo di conversazione relativa al denaro e al modo in cui viene speso, ed è costretta a rivolgersi al partner anche per quelle piccole somme necessarie ad acquistare beni di prima necessità.

Si tratta di una tipologia di violenza finalizzata a creare e mantenere una relazione improntata sul controllo e la sopraffazione della donna, che in molti casi si ritrova completamente isolata e priva di risorse per allontanarsi da una situazione di abuso, che è poi esattamente ciò cui mira il partner abusante. La mancanza di indipendenza economica e il timore di non poter provvedere a se stessa ed eventualmente ai figli la costringe a restare nella relazione, con esiti purtroppo a volte fatali.

Una donna su 3 che si rivolge ai centri antiviolenza è a reddito zero

Secondo i dati forniti nel rapporto annuale di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, l'associazione che raccoglie oltre 80 centri antiviolenza in tutta Italia, nel 2020 una donna su tre (il 32,9%) che ha chiesto aiuto a un centro è a reddito zero, e meno del 40% può contare su un reddito sicuro.

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Quasi sempre la violenza fisica o quella psicologica sono accompagnate da violenza economica, che è però un fenomeno di cui non si conosce con esattezza la portata perché meno conosciuto e soprattutto meno denunciato alla luce di una concezione ormai arcaica e superata (oltre che pericolosa) per cui del denaro «si occupano gli uomini» e la gran parte delle risorse economiche, dal conto in banca ai contanti, viene concentrata nelle mani maschili.

Stando ai dati raccolti dallo sportello Mia Economia di Fondazione Pangea, di abusi economici sono vittime donne a ogni livello di reddito, e riguardano principalmente la fascia d'età tra i 40 e i 60 anni. Lo sportello, da ottobre 2018 a settembre 2020, ha preso in carico 94 donne, di cui soltanto 6 autonome.

L’esempio di “Maid”

Di violenza economica, oggi, si parla ancora troppo poco. Negli ultimi tempi però è stata una serie tv ad accendere i fari su questo pericoloso fenomeno, e a descrivere come spesso ci si ritrovi impantanati in una situazione di questo genere senza neanche rendersene conto: "Maid", la serie Netflix con protagonista Margareth Qualley, racconta la storia di Alex, una giovane donna mamma di una bambina che dopo mesi di violenze fisiche e psicologiche decide di lasciare il partner. Il primo scoglio è proprio quello economico: senza soldi, senza lavoro e senza l’istruzione che ha desiderato per tutta la vita, Alex parte da zero nel costruire una vita per lei e per la figlia accettando di fare le pulizie per uno stipendio da fame nelle case dei ricchi abitanti della sua città.

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La serie è ispirata al memoir di Stephanie Land intitolato Donna delle pulizie - Lavoro duro, Paga Bassa, e la voglia di sopravvivere di una Madre. La storia di Land è quella di Alex, e quella di moltissime altre donne in fuga da un partner violento: diventata madre da poco Stephanie riesce a fuggire, ma si ritrova in uno stato di povertà assoluta.

Accetta lavori durissimi e paghe minime, e mentre lustra bagni e cucine studia e scrive, la sua passione, restituendo uno spaccato della società americana divisa in due, della ricchezza e della povertà estreme, dell’infelicità di chi ha il conto in banca pieno ma la vita priva di affetti e della difficoltà di chi lotta per ricostruirsi una vita dopo anni di abusi. A spingerla ad andare avanti è il futuro che ha sempre immaginato, e che alla fine raggiunge: Stephanie si laurea, entra all’Economic Hardship Reporting Project, istituto che aiuta a pubblicare giornalismo di qualità concentrato sulle diseguaglianze, e inizia la sua vita insieme alla figlia. 

La serie ha avuto un grande successo di pubblico e critica e, come detto, ha acceso i riflettori sulla violenza economica. E anche sulle difficoltà che Alex, la protagonista (e Stephanie, l’autrice) hanno dovuto affrontare per cercare di ottenere qualche aiuto governativo. In Italia la situazione d’altronde non è poi così diversa: se una donna su tre è a reddito zero, con la disoccupazione femminile che galoppa, da dove deve partire chi fugge da una relazione violenta per ricostruirsi una vita se non da eventuali aiuti da parte dello Stato?

Il reddito di libertà, la misura a sostegno dell’indipendenza economica 

Di recente il governo Draghi ha approvato una nuova misura che ha proprio l’obiettivo di aiutare le donne vittima di violenza attraverso il sostegno economico. Si tratta del cosiddetto “Reddito di libertà”, un contributo da 400 euro mensili che viene riconosciuto per un anno massimo, e che è stato introdotto “con l'intenzione di favorire percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di difficoltà economica”, come ha spiegato la senatrice M5S Danila De Lucia, componente della commissione d'inchiesta sul Femminicidio.

Il fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza è finanziato con 3 milioni di euro, una cifra stanziata sulla base dei dati Istat al primo gennaio 2020 riferiti alla popolazione femminile residente in Italia con età compresa tra i 18 e 67 anni, e possono usufruirne donne che dimostrino di ritrovarsi in una situazione di difficoltà economica e sociale. L’assegno da 400 euro mensili è finalizzato a sostenere in primis le spese per raggiungere l’autonomia abitativa e l’autonomia personale, ma anche per assicurare il percorso scolastico e formativo dei figli e delle figlie minori. 

Dal 2021 nella legge di bilancio è previsto inoltre un investimento da 30 milioni di euro all'anno per i centri antiviolenza, i presidi che per primi si mobilitano per cercare di aiutare la donna a uscire da una relazione violenta fornendo anche strumenti utili a conquistare l’indipendenza economica.

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Sono spesso gli operatori e le operatrici dei centri ad aiutare le donne in fuga a trovare una prima sistemazione provvisoria, e poi a costruire (o ricostruire) le competenze necessarie ad analizzare la propria situazione finanziaria e a trovare un lavoro. Esistono poi alcune realtà pensate proprio per dare lavoro a donne appena uscite da una situazione di violenza, è il caso di “Io sono viva”, la pasticceria aperta dalla chef Viviana Varese a Milano, o ancora Cuoche Combattenti, il progetto di imprenditoria sociale ideato in Sicilia da Nicoletta Cosentino per incentivare l'emancipazione economica delle donne vittime di violenza di genere. La strada da farà però è ancora lunga, e passa anche dalla consapevolezza che la violenza economica esiste ed è più frequente, diffusa e pericolosa di quanto si possa pensare.

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