You are mine, l’installazione che capovolge la narrazione sui femminicidi
Raccontare i femminicidi ribaltandone la narrazione fuorviante che mette al centro il carnefice e delegittima la vittima: con l’opera YOU ARE MINE, in esposizione alla GNAM di Roma fino al 29 gennaio, Daniela Comani capovolge questa crudele realtà invertendo i ruoli di genere, rendendo gli uomini vittime di violenza all'interno delle loro stesse dimore. L'effetto di questo rovesciamento sovversivo è sorprendente proprio perché, come spiega la curatrice Miriam Schoofs, «siamo abituati a individuare il colpevole nella figura maschile».
Chi è Daniela Colemani
VEDI ANCHE CultureViolenza vicaria: quando anche i bambini soffrono per la violenza contro le donneNon solo YOU ARE MINE: tutto il lavoro di Daniela Comani si concentra sul tema della storia, dell’identità, del gender e degli stereotipi sociali, utilizzando il medesimo linguaggio di quei mezzi di comunicazione che si fanno interpreti, nel nostro quotidiano, di valori sociali e consuetudini culturali. L’artista studia all‘Accademia di Belle Arti di Bologna e, nel 1993 consegue, l’MFA all‘Università delle Arti di Berlino dove vive e lavora dal 1989.
Vincitrice di diversi premi e borse di studio, Comani partecipa a numerose mostre in Italia e all’estero: tra le sue opere principali ricordiamo Sono stata io. Diario 1900-1999, dove l’artista racconta in prima persona dal primo gennaio al 31 dicembre avvenimenti storici, politici, culturali avvenuti nel XX secolo. Nella serie fotografica Un matrimonio felice, work in progress dal 2003, mette in scena, giocando con gli stereotipi di genere, la vita quotidiana di una coppia interpretando entrambi i soggetti. Ancora: nella serie Novità editoriali a cura di Daniela Comani, trasforma pietre miliari della storia della letteratura attraverso un’operazione artistica che manipola le copertine invertendo il maschile con il femminile e viceversa.
Con YOU ARE MINE Comani riconferma il suo potere trasformativo e ribalta la realtà e la narrazione sui femminicidi.
Da vittime le donne diventano carnefici: in questo passaggio, tutte le riflessioni attraverso cui decostruire stereotipi di genere e pregiudizi
YOU ARE MINE, ribaltare le narrazioni sul femminicidio
La violenza di genere connota la nostra storia da millenni, soprattutto quando le donne hanno la forza e il coraggio di ribellarsi e uscire dai propri ruoli.
Tuttavia, nell’immaginario comune e nella conseguente narrazione dei casi di femminicidio, l'aggressività degli uomini è ancora considerata “ormonale” e, entro un certo limite, viene accettata come normale. Nonostante non esista un profilo standard per chi compie violenza domestica, ci sono schemi che si ripetono
Nei cosiddetti “delitti d’onore” sono infatti la gelosia, la vendetta, la possessività e l'odio verso le donne i motivi comuni che portano al sopruso. Al contrario, delle vittime si hanno sempre poche informazioni. Di solito i media riportano solo il nome di battesimo e l'età delle donne, nonché la tipologia dell’omicidio. Le circostanze esatte rimangono quindi oscure, nascoste dietro quei muri dove si è svolto il dramma.
L’esperimento che Comani mette in campo con YOU ARE MINE è rivoluzionario nella sua intenzione di capovolgimento:
ho invertito la cronaca dei nostri quotidiani (l’uomo diventa donna, la vittima carnefice e viceversa), invitando così a riflettere sul fenomeno del femminicidio e sulle sue assurdità
Il potere di ridefinirsi, da vittime a carnefici
Le quindici grandi stampe, realizzate su un supporto di cotone e alluminio, sono state sottoposte a un processo di alterazione da parte dell’artista, che le ha accartocciate e poi appese sul muro.
La stonatura tra la sobrietà dell’informazione mediatica e il dramma della violenza domestica inverte i generi e trasforma le donne da vittime a carnefici: in questo potente processo la stessa cronaca nera rivela il senso di straniamento e alienazione di cui si caratterizza nel suo formale distacco rispetto alla tragedia umanamente vissuta.
Camminando lungo il corridoio Bazzani della GNAM, la sensazione che arriva a chi osserva è chiara e diretta: i ritagli di giornale, privi di struttura portante, sembrano sganciarsi dalla parete per colpire frontalmente chi guarda.
Nessuna mediazione: l’urgenza è quella di comunicare chiaramente la forza dei fatti capace, da sola, di denunciare le distorsioni e i paradossi di una narrazione stereotipata che delega le donne al ruolo di vittime
La violenza sulle donne diventa la violenza delle donne, che provoca e sconvolge: Artemisia Gentileschi, con Giuditta decapita Oloferne, ha inaugurato per prima la strada mostrando un atto di violenza compiuto da una donna ai danni di un uomo e suscitando grande scalpore. Allo stesso modo oggi, attraverso la potenza dell’immagine, il lavoro di Daniela Comani sottolinea il ruolo di denuncia sociale che l’arte può assolvere. Riscrivendo la storia e i ruoli.