Diritto all’aborto: l’Italia è a rischio? Intervista all’attivista Alice Merlo

Alice Merlo, 28 anni, è la testimonial della campagna nazionale promossa dall’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) in favore della RU486, la pillola abortiva. Ed è una delle più potenti voci tra le nuove generazioni sulla necessità impellente di garantire a tutti il diritto all'autodeterminazione e alla scelta: con lei abbiamo parlato dell'attuale scenario in tema di diritto all'aborto

Una task-force per tutelare il diritto all’aborto: è l’ultimo passo che negli Stati Uniti la Casa Bianca ha intrapreso per correre ai ripari dopo che la Corte Suprema, a fine giugno, ha ribaltato la storica sentenza “Roe vs Wade”, quella che di fatto garantiva a livello federale il diritto di abortire per milioni di donne.

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Il presidente degli Usa, Joe Biden, ha annunciato che la task-force sarà guidata dalla vice procuratrice generale Vanita Gupta, e che si occuperà di vigilare su governi e leggi locali che minacciano i diritti delle donne. Nel frattempo diversi giudici stanno facendo la loro parte, bloccando o sospendendo le leggi dei singoli Stati che i governatori più conservatori hanno firmato per limitare, o negare del tutto, l’accesso all’aborto: l’ultimo in ordine di tempo è stato un giudice del tribunale di Baton Rouge che ha bloccato di nuovo la legge che in Louisiana avrebbe impedito alle cliniche che praticano l'aborto di poter operare.

La situazione Oltreoceano è insomma in continua evoluzione, ma in attesa di capire cosa succederà nei prossimi mesi il contraccolpo inizia a farsi sentire - e potrebbe farlo in modo sempre più pesante - anche in Europa, Italia compresa. Ne abbiamo parlato con Alice Merlo, attivista e testimonial della campagna nazionale promossa dall’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) in favore della RU486, la pillola abortiva che evita il ricovero ospedaliero e l’operazione chirurgica.

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È quello di Alice il volto che campeggia su manifesti e i cartelloni affissi in numerose città italiane, ed è sempre di Alice una delle voci più potenti che si sono levate negli ultimi anni in favore dell’accesso libero, sicuro e soprattutto privo di giudizio all’aborto. Ventotto anni, genovese, Merlo non ha alcun timore di esprimere il suo punto di vista e di lottare per farlo, nonostante la pioggia di critiche, insulti e attacchi che spesso si trova ad affrontare per il modo in cui, senza tabù, racconta la sua esperienza. Proprio con lei abbiamo parlato dello scenario nazionale e internazionale di questo periodo, e del tipo di ripercussioni che quanto sta accadendo negli Stati Uniti potrebbe avere nel nostro Paese.

Alice, che cosa pensi di quanto sta accadendo negli Stati Uniti?

La situazione è critica ed emergenziale, ma non del tutto stabile. Stiamo vedendo di giorno in giorno quanto stia peggiorando. Va ricordato cosa sta succedendo, perché non tutti lo sanno o lo comprendono in pieno. Negli Stati Uniti c’è un ordinamento diverso rispetto al nostro, ci sono sentenze che creano precedenti giuridici, ed è il caso della Roe vs Wade, che dal 1973 garantiva il diritto all’aborto a livello federale, unitario. La sentenza lo tutelava almeno sino alla 24esima settimana: senza questa sentenza il diritto all’aborto in alcuni Stati non c’è più, in altri si sta valutano se toglierlo o meno, in altri sono state emanate leggi che limitano moltissimo l’accesso. Questo andrà a discriminare le fasce di popolazione con meno potenzialità economiche, perché non tutte le persone avranno gli strumenti per poter contattare le associazioni che possono supportarle ed essere seguite adeguatamente, né avranno i mezzi per raggiungere gli Stati in cui ancora l’aborto è consentito. Il che

produrrà rischi concreti, di vita, per milioni di donne che non rinunceranno all’aborto ma ricorreranno a metodi clandestini

A guardare gli Stati Uniti viene da pensare che la situazione, pur drammatica, non ci tocchi direttamente. Il problema invece è molto più vicino di quanto si possa pensare.

Certamente. Tanto per fare un esempio, nella cattolicissima e vicinissima Malta è illegale, e la situazione in Polonia e Ungheria è un assoluto disastro. Ciò che è preoccupante per l’Europa è che da anni c’è una parte di movimento politico che sta cercando di creare e consolidare una sorta di “Stati Uniti d’Europa”: il fatto che in America una sentenza così importante sull’autodeterminazione dei corpi sia stata ribaltata dà forza all’estrema destra per chiedere che venga seguita la stessa strada, ovvero che l’Europa come sistema unitario perda ulteriore potere politico, e che in tema di aborto la discrezionalità di scelta venga lasciata ai singoli Stati. Oggi in realtà è così, ma ogni anno l’Unione Europea vigila affinché questo diritto venga garantito. Si potrebbe arrivare quindi al punto di chiedere che non vi sia più ingerenza, che l’Unione Europea non intervenga più, lasciando agli Stati, e ai relativi detentori del potere politico, la facoltà di adottare le leggi che preferiscono sul tema dell’accesso all’aborto. E questo non accadrà ora, nel pieno della bufera sollevata dagli Stati Uniti, ma quando saremo più distratti.

Cosa pensi della situazione italiana? Nel nostro Paese è la legge 194 che tutela il diritto all’aborto, una legge che risale ormai al 1978, promulgata cinque anni dopo la sentenza Roe vs Wade. Resta uno strumento adatto? 

La 194 è una legge che tutela il valore sociale della maternità. È proprio impostata così, alla prima riga del primo articolo già si sta imponendo la gabbia della “incubatrice”, il che significa che oggi dobbiamo ancora giustificare i nostri aborti con motivi che siano considerati leciti: rischi per la salute, in primis. Altra questione da sottolineare:

io sono impegnata nell’accompagnamento all’aborto farmacologico, perché ho fatto esperienza con quello, e dico subito che al Sud e nelle Isole è praticamente impossibile avere accesso all’aborto farmacologico

Questo perché è a discrezione delle singole Regioni prendere decisioni in ambito sanitario, e la 194 non è mai stata toccata e non si parla esplicitamente dell’aborto farmacologico, diventato legge nel 2009. Ogni struttura sanitaria fa per sé, e molte regioni del Sud non ordinano proprio il farmaco, nonostante l’operazione chirurgica sia più pericolosa e anche più costosa. Il problema vero è che la farmacologica, oltre a essere più sicura e meno invasiva, dà il controllo dell’aborto a un’altra persona: sono io che gestisco il mio aborto in totale consapevolezza. Sono tantissimi i ginecologi per lo più uomini che disincentivano la terapia farmacologica, e intorno alla RU486 si fa moltissimo terrorismo psicologico, eppure ha un tasso di mortalità dello 0,001%. Se chi dà informazioni le dà in questo modo, chi si rivolge a un consultorio o a una struttura per un aborto vivrà l’esperienza con paura, con ansia e in modo fisicamente doloroso.

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Ora se ne discute tanto, ma di fatto l'aborto è ancora un tabù. Se non in circostanze eccezionali, non se ne parla, e se se ne parla va fatto con pentimento, senso di colpa e toni drammatici, che sono quelli considerati adeguati.

Di aborto non si parla, no. E certamente non se ne parla come di un’esperienza che si può vivere in modo sereno, la nostra società impone il senso di colpa e il dolore

Lo stiamo vedendo anche ora che sono venute alla luce un po’ più di testimonianze, una delle cose più ricorrenti che si leggono è “mi sono sentita in colpa per non essermi sentita in colpa. Mi hanno sempre parlato dell’aborto come di una cosa di cui ti devi sentire in colpa”. La donna si sente in dovere di giustificarsi, e le persone comunque chiedono sempre la motivazione di questa scelta. Inoltre si continua a ostacolare e a non ritenere necessaria l’istituzione dello psicologo di base, molto importante in ogni percorso della propria vita, ma ci sono donne e persone con utero che sono state costrette ad andare dallo psicologo per dimostrare di avere validi motivi per abortire: poi lo psicologo sparisce, ma le sedute prima vanno fatte. È capitato in Lazio, Sicilia, Veneto e Campania, Lombardia, dipende dal consultorio cui ti rivolgi, se incappi in un consultorio in cui c’è ausilio di associazioni anti abortiste è altamente probabile che accada. E attenzione: di recente la leader di Fdl, Giorgia Meloni, ha fatto dichiarazioni che possono all’apparenza sembrare pro 194, ma che in realtà vanno in un’altra direzione. Ha detto che andrebbe maggiormente “applicata nei primi articoli”. Nei primi articoli si legge, tra le altre cose, che “i consultori possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. Si apre insomma ulteriormente la strada alle associazioni pro-vita all’interno dei consultori, associazioni che esercitano pressioni sulle donne per convincerle a non abortire.

Ritieni che anche la narrazione dell’aborto da parte dei media contribuisca a creare confusione e trasmettere un messaggio controproducente?

Assolutamente. Tanto per fare un esempio, i quotidiani italiani nei giorni scorsi hanno riportato le parole del Papa, che in un’intervista a un giornale francese ha ribadito, rispetto alla sentenza americana, che per lui l'aborto è omicidio, che non si può uccidere e che chi aiuta le donne a farlo è un sicario. L’ingerenza del Vaticano è enorme, eppure nessun rappresentante delle istituzioni prende posizione su queste parole, sul diritto all’autodeterminazione dei corpi, che si tratti di aborto o riconoscimento del proprio orientamento sessuale. Non è mai una priorità. È stato dato ampio spazio alle parole del Papa, ma non a eventuali repliche, se mai ci sono state.

Sono anni che in tutti i Paesi principalmente occidentali si fanno passi indietro nella tutela dei diritti, e accade nei Paesi che davano per scontati questi diritti

Non si sta cercando di tornare indietro, ma di evitare che vengano fatti passi avanti, e verso l’aborto c’è certamente un accanimento.

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La comunicazione insomma ha un ruolo chiave. In senso positivo e in senso negativo. 

Guarda, se c’è qualcosa che non tollero è quando viene fatta la classifica degli aborti, quelli di serie A e di serie B. Si parla di casi limite per dire “almeno in questi casi sì, si deve garantire”. Invece deve bastarci che le persone vogliano esercitare un loro diritto. In questo modo si fa passare il messaggio che le dinamiche di un concepimento possano rendere più o meno legittimo l’accesso a un diritto. Un diritto nei confronti di un atto legale e depenalizzato da 44 anni, e dopo 44 anni mi aspetto che chi si occupa del tema ne sappia parlare correttamente.

Da dove si deve partire, secondo te, per cambiare questo paradigma culturale?

La strada è lunghissima e tortuosa. Una cosa mi sento però di dirla, e cioè di smettere di imporre un modo di sentirsi alle donne che decidono di abortire. Ogni modo di sentirsi rispetto a un aborto è valido, l’importante è che il dolore non venga mai imposto e che l’esperienza della persona non venga indotta né silenziata, è tutto valido, e tutto deve essere rispettato, senza ingerenze.

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