Perché autostima e bellezza non vanno a braccetto
Quando ero piccola però, nella mia famiglia, mi dicevano che avrei potuto fare qualsiasi cosa io desiderassi, senza porre alcun limite ai miei sogni. E io ci credevo davvero.
Ma quando, alla fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande?” io rispondevo con un sorriso “la modella o la ballerina”, gli sguardi degli altri si tramutavano in un unico sguardo di compassione e dispiacere.
Sottovoce, sentivo quella parola: "poverina". Gli sguardi di quelle persone diventavano per me una gabbia, volevo nascondermi e le voci, così sottili, diventavano per me assordanti, facendomi sentire sbagliata
I miei pensieri negativi e le mie insicurezze presero forza tra i banchi di scuola ed ebbi risposta ai tanti miei dubbi quando in classe organizzarono una gara di ballo e una sfilata di moda. Io ero convinta di poter finalmente dimostrare agli altri che ero come loro, che il mio sogno di essere una modella poteva diventare realtà. Ma non è andata proprio così, perché l'unica cosa che riuscii a fare fu quella di star seduta sulla mia sedia a rotelle e vedere gli altri sfilare.
Fu quella la prima volta in cui mi sentii diversa dagli altri bambini e, tornando a casa in lacrime, chiesi a mia madre il perché fossi nata così. Perché? Difficile accettarlo per una bambina
Mia madre non rispose, mi abbracciò e pianse con me, ricordo questa scena come se fosse ieri.
Mi sentivo una bambina "diversa" quando gli altri bambini organizzavano una festa di carnevale mascherati e io ero bloccata a casa perché ingessata o perché la mia salute non mi permetteva di stare in giro con loro e mi limitavo, al massimo, a salutarli dalla mia finestra, mascherata anche io ma, rigorosamente in casa.
Vivevo una vita "dietro le quinte" ma ero solo una bambina e, dunque, non potevo capire il perché di tanta sofferenza. Sono cresciuta con questa frase: "tra il poco e niente, meglio il poco". Quel poco me lo sono fatta bastare tante, troppe volte, desiderando però il massimo da adulta.
A distanza di anni infatti, anziché sentirmi diversa o sbagliata, ho la certezza di sapere che la mia disabilità non è una condizione negativa, né tantomeno positiva, ma è una semplice parte di me, come l’essere bionda e avere gli occhi verdi.
Una consapevolezza che però non è sinonimo di sicurezza e soprattutto che non si acquisisce da un giorno all'altro. Ho fatto tante volte i conti con la mia autostima, soprattutto davanti allo specchio. Vedevo il mio corpo segnato da cicatrici e imperfezioni, mi sentivo ancora diversa e inadeguata e scappavo così dalle mie insicurezze.
Per tanti anni, ad esempio, vietavo a me stessa l’acquisto di specchi da terra, quelli capaci di riflettere la tua figura intera.
Vedermi seduta in carrozzina mi provocava dolore, preferivo nascondere la mia disabilità ai miei occhi, immaginando così una Benedetta con un bel paio di gambe, senza cicatrici e senza difetti
Questa stessa immagine non la costruivo solo nella mia mente ma anche sui miei canali social. Appena approdata su Instagram infatti, non pubblicavo alcuna mia foto a figura intera, solo viso e mezzobusto. Ogni foto senza disabilità era per me un modo di avvicinarmi alla normalità, mi sentivo uguale a tante altre ragazze, creando, così, un’immagine di me inesistente, Benedetta senza sedia a rotelle e stampelle.
In cuor mio però sapevo che questo mondo velato, ovattato e perfetto dei social dove mi ero rifugiata si sarebbe sgretolato e avrebbe fatto venir fuori la realtà, ovvero Benedetta con la sua disabilità. Sapevo però che questa realtà avrebbe generato un processo di demolizione della mia autostima nata da un’immagine di me del tutto inesistente. Mi sentivo persa, trascinandomi in un vortice di “non posso”, “non sono all’altezza”, “non voglio”.
L’autostima spesso viene sottovalutata, si ritiene che sia qualcosa di marginale anziché di necessario e fondamentale, eppure è la scintilla capace di farti raggiungere i tuoi obiettivi, di reagire ai tuoi fallimenti, di farti affrontare a testa alta una sfida: l'autostima è capace di trasformare i pensieri in azioni.
Ma per arrivare a questa consapevolezza, come prima ho accennato, ci è voluto un lungo percorso di crescita personale, a tratti tortuoso a tratti scorrevole, il viaggio più importante della mia vita, un viaggio che, onestamente sto ancora percorrendo, alcune volte da sola, altre prendendo per mano chi vive una situazione simile alla mia.
Quante volte abbiamo messo un freno ai nostri progetti e sogni perché non ci sentiamo all'altezza e dunque privi della giusta dose di autostima?
Per sua natura, l’essere umano tende sempre a ricercare il confronto: quando questo confronto è costruttivo, ben venga, ma se questo diventa ossessione o insicurezza, allora è sbagliato. Ci sentiamo dunque perennemente in competizione, sbagliati.
Se solo imparassimo a capire che è sbagliatissimo paragonarci agli altri, e che ognuno ha i suoi tempi, il suo corpo, i suoi limiti, ma soprattutto che l’unico metro di valutazione dovrebbe essere come eravamo nel passato
Dovremmo tenere in considerazione i nostri piccoli o grandi traguardi e non solo quelli degli altri e, soprattutto, avere fiducia nelle nostre capacità, accettarci con tutti i nostri difetti e imperfezioni.
Non dobbiamo pensare che gli altri siano più belli, perfetti e intelligenti di noi.
L’autostima non va a braccetto con la bellezza, ma è un muscolo e, come tale, va allenata giorno per giorno e farlo è davvero semplice. Un piccolo grande passo è quello di amarci davanti allo specchio, di guardarci con occhi meno critici e abbracciare le nostre insicurezze
Io ho fatto i conti con il mio corpo, così lontano dai canoni estetici imposti dalla società, così lontano dalla vita patinata dei social, così lontano dalle copertine delle riviste di moda. Ma ho capito che ogni corpo merita amore, che una disabilità, delle cicatrici, le smagliature o la cellulite non condizionano la nostra bellezza e la nostra autostima.
Ma se adesso vi chiedessi, “cos’è per voi la bellezza?”, cosa mi rispondereste?
Potremmo dare una risposta frettolosa, senza pensarci troppo e dire che potrebbe essere rappresentata in un bel paio di gambe, due occhi color ceruleo, un nasino all’insù e un fisico perfetto o, perlomeno, è quello che ci hanno voluto far credere per tanti anni: una bellezza effimera, fatta di caratteristiche solo fisiche, spesso irraggiungibili e inesistenti.
Mi rattrista pensare che si associ il concetto di bellezza esclusivamente nella descrizione dell’aspetto esteriore di una persona, come se tale termine si riferisse esclusivamente alla “facciata”, lasciando fuori tutto il resto. Tendiamo a rincorrere così affannosamente una bellezza inesistente, ci paragoniamo a canoni estetici irraggiungibili e è per questo che non ci sentiamo all’altezza.
Se per giunta sei nato con una disabilità come me, sentendo spesso addosso gli sguardi commiserevoli, sentirmi dire di continuo “poverina” senza conoscere nulla di me, avere diciotto cicatrici sparse sul corpo difficili da camuffare, il non poter esprimere la propria femminilità con un tacco a spillo, il non avere un portamento elegante, muoversi in sedia a rotelle o stampelle, tutto questo inevitabilmente incide sulla propria autostima e sul proprio rapporto con gli altri. Sentire il peso degli stereotipi da sempre (per giunta, oltre ad essere una donna disabile, sono anche bionda!) è davvero una doppia - anzi tripla - sfida.
Un effetto moltiplicatore delle disuguaglianze è stato l’avvento dei social che, se da un lato si fanno promotori di messaggi di body-positive e body-acceptance, dall’altro ci mostrano solo vite e foto patinate irraggiungibili.
Volendoci ancora una volta soffermare in particolare sulle donne con disabilità, sono spesso vittime di diversi pregiudizi, come questo:"non si può essere belle e femminili, perché il corpo di una persona con disabilità non rispecchia i canoni estetici".
Allora mi viene da chiedere, dov'è l’errore? Nell’uso non corretto delle parole, nel mandare messaggi sbagliati, nella narrazione del mondo della disabilità in chiave paternalistica, creando così ancor più disuguaglianze e stereotipi, nell'illustrare la disabilità come una categoria e non semplice condizione
Sarebbe indispensabile costruire un mondo pensato per tutti, che non lasci nessuno indietro, dove non ci siano disuguaglianze, un mondo dove si possa essere liberi dentro e fuori noi stessi, un mondo che non si senta intimidito quando si presenta una donna con disabilità o con qualsiasi altra caratteristica diversa dal nostro modello - sbagliato - di leadership e perfezione.
Ma per farlo c’è bisogno di essere ascoltati e compresi, c’è bisogno di rispetto e normalità, c’è bisogno di dar voce a tematiche tanto discusse quanto spesso inascoltate e c'è bisogno, principalmente, di farlo con le parole giuste per applicare la maggior attenzione possibile quando si tratta di alcuni argomenti per non contribuire più alla riproduzione di stereotipi o discriminazioni.
Ed è per questo che accolgo con immensa gratitudine il mio ruolo di Gender & Inclusion Editor per The Wom, per promuovere una cultura che afferma la libera espressione della personalità e valorizza le unicità, per affrontare quel passo in più, quell'atto coraggioso e rivoluzionario capace finalmente di accorciare le distanze, di eliminare ogni forma di discriminazione e disuguaglianza.
E adesso, a fine articolo, voglio proporvi nuovamente la domanda posta poco prima, sperando che voi possiate leggerla con un approccio diverso:
"Cos'è per voi la bellezza?"
Sono certa che la vostra risposta sarà profonda, capace di guardare oltre le etichette, per provare a costruire un futuro migliore, a partire da noi stessi e dalle nostre scelte, perché nessuno potrà dirti cosa fare o non fare. Un esempio? Io, oltre a essermi laureata in Giurisprudenza, modella poi lo sono diventata per davvero!