Azzurra Rinaldi, economista femminista: “Chiediamoli questi soldi!”

24-03-2023
Il darci valore come persone, come donne, ha a che vedere con il riconoscimento economico che riceviamo? Quanto ci viene difficile contrattare quando ci viene fatta un’offerta di lavoro? In famiglia, da piccole, abbiamo mai sentito parlare con serenità di denaro o qualcuno ci ha mai coinvolte in un confronto senza pregiudizi? Abbiamo posto queste domande ad Azzurra Rinaldi, economista e scrittrice

Ci hanno insegnato ad essere desiderabili e a essere desiderate, ma non a desiderare

Questa è solo una delle considerazioni emerse dall’intervista con Azzurra Rinaldi, economista femminista e fondatrice di Equonomics, realtà che aiuta le imprese a raggiungere la gender equality. Partendo dai dati, presenti con forza nel suo nuovo libro Le signore non parlano di soldi – Quanto ci costa la disparità di genere? (Fabbri), ha risposto alle numerose domande che avevo per lei sul tema del rapporto femminile con il denaro.

Il Libro " Le signore non parlano di soldi" di Azzurra Rinaldi
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Da dove è nato desiderio di scrivere questo libro? E perché ti definisci economista femminista?

Ho scritto questo libro perché avevo l’urgenza di rendere democratici certi concetti, in modo che fossero accessibili a tutte le persone. Se si usa un linguaggio difficilmente accessibile, il rischio è quello che poi i contenuti arrivino solo a una stretta cerchia di persone.

Avevo il forte desiderio di diffondere quello che avevo imparato con i miei studi e la mia esperienza lavorativa, così da poter dare alle persone un mezzo per il proprio empowerment. Inoltre, grazie alla conoscenza dei dati, controbattere in una conversazione è più efficace e il libro si propone di essere utile anche in questo senso.

L’economia femminista va in contrapposizione all’economia classica e neoclassica. In quella classica le donne non esistono come valorizzazione del capitale umano, tantomeno come concezione. Non esiste neanche l’empatia, che rende la vita degna di essere vissuta. L’empatia viene portata al centro dall’economia femminista, che è più vicina alla realtà.

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Perché è così difficile creare consapevolezza sulle conseguenze negative del patriarcato e del capitalismo? E perché c’è la falsa credenza che il femminismo riguardi solo le donne?

Come le donne, anche gli uomini sono ingabbiati da questo sistema che li vuole forti a tutti i costi, senza la possibilità di mostrare cedimenti. Alla società non interessano i loro reali bisogni. Dovremmo riuscire a far passare questo messaggio, ovvero che il femminismo non vuole togliere niente a nessuno, ma, anzi, chiede: “Per favore non discriminateci per il fatto che siamo donne e capite che in questo sistema stanno male anche gli uomini”. Non siamo tanto felici quanto potremmo essere. L’unico modo per superare questo ostacolo è smetterla di farci la guerra.

La divisione uomini e donne, così come la divisione donne e donne, è uno strumento del patriarcato. È fondamentale riuscire a scardinare questa prospettiva e ammettere che così non stiamo realmente bene

Il mondo in cui viviamo, a partire dai social, ci porta alla necessità di convalida esterna per vedere riconosciuto il nostro valore. In realtà per noi donne è così fin da quando siamo molto giovani. Veniamo giudicate per il nostro aspetto e vengono prese decisioni sul nostro corpo. Perché secondo te? Come si può interrompere questa narrazione?

Liberarsi dello sguardo in generale, non solo maschile, è la direzione da seguire. Va bene come siamo. Non abbiamo bisogno della pacca sulla spalla da parte di nessuno. Dobbiamo partire da noi, dal nostro agire quotidiano. Io a 45 anni, femminista ed economista, faccio questo nella mia vita e ogni tanto ancora ce l’ho quella tendenza a giudicare le altre donne. Quando capisco che sto per farlo, mi zittisco e metto una controtendenza, ricordandomi che questo è uno strumento del patriarcato. Lo scopo di questa presunta competizione quale sarebbe? Conquistare qualche uomo? Invece di cadere in queste trappole, cominciamo a portare il denaro nelle nostre conversazioni quotidiane, senza vergognarci. La normalizzazione di considerare il dialogo sul denaro un tabù, soprattutto per le donne, è strumentale a tenerci lontane dal potere.

Il denaro è potere, nel senso che ti permette di decidere sulla tua vita e ti fa dire “io posso”

Quanto guadagno? Quanto vorrei guadagnare? Quanto vorrei spendere per la mia formazione? Sono tutte domande giuste da porsi. Fra amiche ci raccontiamo tutto, comprese i dettagli delle nostre relazioni, non credo sia un problema parlare di quanto guadagniamo al mese o all’anno.

Questo è uno sforzo da fare, capendo che il denaro non deve essere l’obiettivo delle nostre vite, ma lo strumento principale, uno degli strumenti principali.

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Guadagnare i propri soldi rende autonome economicamente e anche dal punto di vista affettivo. L’ossessione per l’aspetto fisico fa perdere di vista aspetti fondamentali, come il raggiungere la propria indipendenza, partendo dall’ascolto di se stesse e delle proprie necessità. Il rischio, in questo modo, è quello di non sentirsi mai pienamente realizzate come persone. Ci si può convivere con questa condizione?

È così. Guadagnare i propri soldi significa avere la libertà di decidere sulla propria vita. Ti tiene al riparo da potenziali situazioni di violenza fisica ed economica. Di recente ho tenuto la presentazione del libro a Roma e il momento del firmacopie ci sono sempre almeno una, due o tre donne che ti raccontano della loro relazione violenta, di padri psicologicamente abusanti o situazioni similari. C’è stato il caso di una ragazza che è venuta apposta dalla Sicilia in aereo per vedere la presentazione del libro e una volta arrivata è scoppiata a piangere. Quello che mi sono sentita di dirle è stato di partire dalla sua indipendenza economica, così da andarsene nella direzione della sua vita, non quella di qualcun altro.

Parlare di soldi è spesso considerato un tabù per noi donne, perché?

Possiamo essere super critiche nei confronti del capitalismo, però siamo immerse in questo sistema. Se non ci alzassimo ogni mattina in un mondo in cui per mangiare devi lavorare, sarebbe un’altra cosa. In questo contesto, l’unico strumento di potere che abbiamo sono i soldi. Ci sono tante cose da cui le donne sono tenute distanti: il piacere sessuale - tutto, infatti, è pensato per il piacere maschile - il desiderio, il potere, il denaro. Sono tutti temi interconnessi. Quando parlo con le giovani donne e le donne in generale sento che si giustificano quando devono chiedere dei soldi, come se l’ambizione nelle donne non andasse bene. Negli uomini invece va bene perché è sinonimo di virilità. Come donna, invece, vieni considerata una “boss bitch”.

Il diventare soggetti attivi di desiderio, che sia relativo alla sfera sessuale o al denaro, è qualcosa a cui dobbiamo allenarci

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Quando parli di infantilizzazione delle donne che dura anche nell’età adulta, cosa intendi?

Dobbiamo fare fatica per uscire dall’infanzia, non siamo bambine, non dobbiamo compiacere o piacere a nessuno, siamo esseri umani complessi, nonostante da noi si pretenda semplicità. Dobbiamo essere perfette e semplici. Il femminismo, invece, è auto-determinazione. C’è, inoltre, la pretesa di purezza nei nostri confronti. Chi è puro? I bambini e le bambine. Crescendo ci siamo sporcate e siamo orgogliose dei nostri lividi, delle rughe e di quello che ci è successo nella vita. Anche nell’estetica la società ci impone di rimanere bambine, ma non corrisponde alla realtà.

L’imperfezione va bene, va bene tutto ciò che siamo. Siamo qui per vivere la nostra vita, non per piacere agli altri. Questo attaccamento al corpo ideale e alla ricerca della perfezione ci distrae dall’essere presenti e dal porre l’attenzione su cosa è veramente importante: vivere pienamente la vita per quelle che siamo.

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