Parole e identità: la linguista Beatrice Cristalli spiega il loro legame

Coming out o outing? Travestito o cross-dresser? "Una parola non vale l’altra", recita la campagna di promozione del libro "Parla bene pensa bene. Piccolo dizionario delle identità" di Beatrice Cristalli, consulente in editoria scolastica, formatrice e linguista. A The Wom spiega come parlare un linguaggio inclusivo e sdradicare i pregiudizi e le categorizzazioni. La risposta è che «non c’è una ricetta che si può applicare sempre», ma attraverso lo studio e l’ascolto si può migliorare il modo di esprimersi

«Ho capito che la stessa cosa può essere detta in mille modi diversi, e che ciascuno di quei modi identifica mille persone diverse: perché noi siamo quello che scegliamo di dire, siamo quello che diciamo», scrive Francesco Cicconetti nella prefazione del dizionario delle identità.

Attraverso la sua esperienza Cicconetti afferma che anche lui, a volte, è caduto nel tranello del linguaggio discriminatorio. «Questo per dire che nessuno è esente dalla discriminazione, perché il linguaggio discriminatorio è intrinseco, instaurato da chissà quanto tempo, difficile non solo da sradicare ma anche solo da notare, da riconoscere», precisa Cicconetti.

A colmare il vuoto e a porre rimedio agli stereotipi radicati attraverso la lingua arriva "Parla bene pensa bene. Piccolo dizionario delle identità" (Bompiani). Quello di Cristalli è un dizionario diverso: sebbene mantenga la divisione alfabetica, è un vademecum che «prova a spiegare le parole che ci servono per parlare bene di sesso, orientamento sessuale, orientamento romantico, identità, espressione e ruoli di genere».

Come spiega Cristalli, il progetto nasce in un’ottica di servizio:

La forma del dizionario mi sembrava la più adatta per spiegare delle parole che fino ad ora mi erano parse utilizzate con poca consapevolezza

La relazione millenaria tra uomo e parola

Il legame tra l’uomo e la parola «è una relazione che dura da millenni. Le parole contribuiscono alla creazione della società. Questo rapporto porta a uno scambio continuo». Quindi per capire l’evoluzione del rapporto tra l’uomo e la parola bisogna prendere in considerazione anche il contesto socio-culturale. Questo significa che «se nella nostra società questi temi legati all’identità diventano sensibili ora, probabilmente è adesso il momento».

https://www.instagram.com/p/CkeQ_YLg_OU/

Queste considerazioni secondo Cristalli rimandano al tema delle etichette, infatti «L'uomo ha da sempre bisogno di usare le parole, quindi anche di etichette per orientarsi nel mondo».

Perché l'uomo senza la parola non riesce a dare una spiegazione a quello che ha davanti e si illude che nella parola ci sia tutto, senza considerare che le parole mutano nel tempo, nello spazio e appunto anche nei momenti di crisi, dove vengono risemantizzate

Pensare per categorie non è inclusivo

Si usano le parole per conoscere il mondo e dare un nome alle cose, ma questa necessità di etichettare porta a pensare per categorie, ma come si può fare a superare questa narrazione distorta?

«L'uomo vuole una ricetta per parlare il linguaggio inclusivo, ma questa ricetta non esiste. Il linguaggio inclusivo è una ricerca. Se si pensa che si devono usare determinati termini perché in caso contrario non va bene, questa non è inclusione, questa è un'imposizione. Le parole vanno utilizzate se hanno una loro utilità, se hanno la funzione di far comunicare meglio le persone, di essere più accoglienti e di rispettare».

Cristalli si focalizza su un’osservazione che viene fatta spesso dai parlanti: "Io non posso ricordarmi tutti questi termini". Infatti, la risposta della linguista è che non bisogna memorizzare: «non devi ricordare tutto, la stessa sigla LGBTQIA+ implica un più nel senso che potrà accogliere nel futuro nuove definizioni. Allena a un’ottica di cambiamento a cui noi non siamo assolutamente abituati. Così quel più potrà cogliere altre identità se ce ne sarà bisogno».

Lemmi del dizionario: la linguista racconta l'esperienza di scrittura

Nella scrittura dei vari termini che compongono il dizionario, diversi sono stati difficili da mettere nero su bianco per Beatrice Cristalli. Dietro ogni parola ci sono studio, ricerca ma anche il confronto dialettico fatto di spiegazioni e argomentazioni con persone che si identificano in quegli stessi termini che la linguista spiega.

Il termine che ho trovato più difficile è "transizione". L'ho riscritto più volte perché confrontandomi con alcune persone della comunità mi sono accorta che avevo una grande distanza, non solo emotiva. È una parola che mi ha messo in crisi

Una crisi positiva che, come spiega Cristalli, «mi ha fatto cambiare il modo di vedere le cose».
Cristalli racconta che continuava a riscrivere e modificare «perché la forma non era mai giusta, non mi piaceva, non la sentivo chiara, non sentivo che avevo approfondito a fondo».

Definire "transizione" non è stato per Cristalli parlare soltanto degli  «aspetti esteriori ed estetici, ma prendere in considerazione anche la parte intima e di percezione che si ha di se stessi».

"Intersezionalità", invece, è la parola a cui Cristalli si è più legata: «L’intersezionalità è un incrocio stradale. Per interpretare la realtà serve una lente che ci faccia vedere i vari livelli di intervento e questo vale anche per come interpretiamo la nostra identità. Ci troviamo in una sorta di crocevia dove ci sono tante linee che si intersecano e non basta vederne solo due, ma bisogna vedere un insieme».

Il dizionario delle identità è un'opera aperta

Beatrice Cristalli vede il suo libro come un cantiere: «quello che mostro adesso è il lavoro fatto fino a questo momento ma ci stiamo lavorando, nel senso che le esperienze che mi portano e mi porteranno ad avere confronti con le persone saranno una linfa vitale per un aggiornamento».

La moltiplicazione di termini non la trovo un problema. Neanch'io ricordo tutti i termini, ma è come consultare diritto privato. Tu non lo sai a memoria, ma sai dove cercare. E per sapere dove cercare bisogna avere la curiosità e l'apertura mentale di considerare il proprio punto di vista non come il punto di vista più giusto, ma nemmeno come l'unico

Inoltre, aggiunge Cristalli, c’è la necessità di far comprendere che «la lingua, proprio perché racconta la storia dell'umanità, racconta anche i mutamenti e cerca di cristallizzarli in una forma limitante, per questo esistono all'interno dei dizionari tanti esempi, per indicare uno spettro di possibilità».

In tutto questo, i termini desueti non vanno eliminati, anzi bisogna tenere in considerazione il contesto di enunciazione, eliminare delle parole significherebbe, in ottica trasmissiva, non raccontare una parte di storia

Riproduzione riservata