Ripensare l’arte oltre il paradigma maschile: perché l’opera di Carla Accardi è libertà e rivoluzione
Carla Accardi è l’artista siciliana che ha scritto la storia dell’astrattismo italiano. Decana della pittura italiana, Accardi iniziò da giovanissima dall’autoritratto per poi passare all’esplosione geometrica delle forme in libertà. Un passaggio naturale e insieme politico che si incrocia con il suo impegno per il femminismo italiano: nel 1970 Lonzi e Accardi - insieme ad altre donne - danno vita a Rivolta femminile, uno dei primi gruppi femministi in Italia, fondato sul separatismo e sulla pratica dell’autocoscienza.
Libertà e rivoluzione, l’arte per Carla Accardi
Nei suoi occhi ci sono sempre state le luci delle saline di Trapani, dove nacque nel 1924. Per Accardi l’arte è un luogo di contrasti dolci, in cui è impossibile scorgere una verità unica: l’armonia si raggiunge solo sperimentando e rompendo con le tesi pregiudiziali. Sarà questa stessa apertura filosofica a condurre l’artista sulla strada internazionale dell’astrattismo, una volta trasferitasi a Roma.
La sua intensa produzione artistica si contraddistingue per essere fondata su una ricerca incessante, scandita da scelte radicali e sperimentali che hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo di nuovi modi di intendere l’opera d’arte in Italia.
A Roma Accardi entra a far parte del gruppo Forma 1 (formato da artisti come Attardi, Turcato e Sanfilippo che sposerà nel 1949), un collettivo che sfidò le convenzioni ponendo le basi per un’arte nuova fondata sul linguaggio astratto. «Nel nostro lavoro adoperiamo le forme della realtà oggettiva come mezzi per giungere a forme astratte oggettive, ci interessa la forma del limone, e non il limone» affermavano i paladini di Forma 1.
Se fino al 1949 Accardi espone insieme al gruppo, nel 1950 tiene la prima mostra personale alla Libreria Age d'Or a Roma. Fino al 1952, la sua arte si muove sulla linea della pittura figurativa, ma nel corso degli anni '50 il suo linguaggio cambia verso un'astrazione ridotta, caratterizzata dai colori bianco e nero.
Come affermato da Turcato, il critico d'arte che presentò la sua prima personale, Accardi ha sdradicato l'idea che una pittrice donna debba essere delicata sempre e comunque, ma che anzi «possa benissimo esprimere un pensiero con forza e un giudizio sulla forma più di un qualsiasi altro pittore»
Accardi, infatti, sceglie di lavorare su forme non immediatamente decifrabili e parte del suo impegno femminista si basa proprio sulla sua volontà di annullare l'associazione tra la delicatezza e il femminile nell'arte.
Negli anni '60 Carla Accardi torna a lavorare con il colore, intendendolo come significativo della verità della pittura. L’opera Moltiplicazione verdeargento del 1964 ne costituisce un esempio. Sempre negli anni '60 realizza gli "alfabeti immaginari", arrivando a valorizzare fortemente il colore, complice l'influenza della pop art.
In questi anni la ricerca pittorica della Accardi si muove in modo del tutto autonomo, partendo da una riflessione astrattista sulla pittura e incrociando la sua arte al messaggio politico: l’artista, infatti, apparteneva a una generazione che vedeva l'arte come uno strumento fortemente politicizzato, coerentemente con il clima degli anni '70. E lei non fu da meno.
“Rivolta femminile” e l’amicizia con Carla Lonzi
VEDI ANCHE CultureIl cyberfemminismo di Donna Haraway: la tecnologia “oltre” il genere che libera le minoranzeNel luglio del 1970 sui muri di Roma appare il manifesto della rivista Rivolta femminile, basato su un testo elaborato da Carla Lonzi, Carla Accardi ed Elvira Banotti. L’incontro tra Accardi e Lonzi è fondamentale per la stesura del manifesto, come ricorda Lonzi nel suo diario: «Rivolta Femminile è nata appunto da due persone, (Carla) e io, che si erano interrogate sulla soggettività maschile proprio perché ci eravamo poste come soggetti: (Carla) in quanto artista, io in quanto coscienza di un’identità ‘diversa’».
Lonzi e Accardi si conoscono all’inizio degli anni Sessanta: mentre la prima cominciava la sua attività di critica d’arte, la seconda era già una pittrice affermata. La loro amicizia si consolida per tutti gli anni Sessanta fino alla rottura avvenuta attorno al 1973, quando il rapporto si spezza in seguito a una serie di conflitti incentrati proprio sulla difficile convivenza dell’arte con il femminismo.
Carla Lonzi aveva operato un taglio deciso con il mondo dell’arte, dedicandosi al femminismo ed elaborando il concetto di “soggetto imprevisto" per indicare la presa di coscienza delle donne come “soggetti” differenti rispetto agli uomini considerati “soggetti universali”. In questo contesto, Lonzi considerava l’attività artistica dell’amica come un’imperdonabile compromissione con la cultura patriarcale.
Il punto di vista di Carla Accardi sulla rottura, a differenza di quello di Lonzi, è meno conosciuto e più sfumato, affidato a poche dichiarazioni: Accardi preferiva esprimersi visivamente e molti dei suoi lavori realizzati in quel periodo portano le tracce del suo interesse per i temi femministi
Le opere Tenda (1965-66), Ambiente arancio (1966-68), Triplice tenda (1969-71) ne sono una testimonianza: l’artista dialoga con le esperienze più radicali e innovative del design per costruire spazi nomadi e anti-istituzionali. Delle «stanze tutte per sé» che fanno riferimento alla necessità di creare uno spazio separato, precondizione alla pratica femminista dell’autocoscienza.
Ripensare la creatività oltre il paradigma maschile
È possibile pensare la creatività femminile al di fuori del coinvolgimento con l’ordine patriarcale? Questo l’interrogativo che ha portato alla rottura tra Lonzi e Accardi: in Rivolta femminile, l’arte era infatti considerata come un’attività troppo compromessa con le strutture dell’oppressione femminile.
Se inizialmente le tematiche artistiche non erano le più urgenti, il problema del nesso tra l’arte e il femminismo si pose comunque: per Lonzi la creatività, almeno come intesa dalla storia dell’arte, trova il suo fondamento nell’esclusione della donna ed è per questo intrinsecamente patriarcale
Accardi, invece, rivendicava un’identificazione come artista all’interno di una pratica femminista. La sua uscita dal collettivo, insieme alle altre artiste che vi partecipavano – Suzanne Santoro e Anna Maria Colucci – segna un divario insanabile riguardo alla possibilità stessa di pensare l’arte come una pratica di liberazione. Le artiste che lasciano Rivolta daranno vita, assieme ad altre, alla Cooperativa di via del Beato Angelico, una delle più significative esperienze artistiche femministe in Italia.
Nel contesto di questo progetto collettivo Carla Accardi, nel 1976, allestisce la mostra Origine centrata sui temi della memoria personale e delle geneaologie femminili: una risposta a posteriori riguardo i temi discussi nelle pratiche di autocoscienza.
Attraverso l’installazione di una tenda di sicofoil trasparente - che serve da supporto ad una serie di fotografie - l’artista costruisce una narrazione non-lineare delle relazioni femminili all’interno della sua storia familiare: la soggettività femminile e le relazioni affettive rispondono all’esigenza di trovare una modalità che le consentisse di pensarsi come artista all’interno di un contesto che la escludeva a priori.
«L’arte è sempre stata il reame dell’uomo – afferma Accardi - Noi, nello stesso momento in cui entriamo in questo campo così maschile della creatività, il bisogno che abbiamo è di sfatare tutto il prestigio che lo circonda e che lo ha reso inaccessibile».