Le storie di cinque attiviste che stanno cambiando il mondo

In tutto il mondo esistono donne che si battono quotidianamente per i diritti umani, sacrificando anche la propria libertà e sicurezza per il bene comune. In questo articolo abbiamo raccolto le ispiranti storie di cinque di loro: sono Aleksandra Skochilenko, Masih Alinejad, Ameira Osman Hamid, Li Qiaochu e Eddi Marcucci

Le storie di Aleksandra Skochilenko, Masih Alinejad, Ameira Osman Hamid, Li Qiaochu e di Eddi Marcucci si intrecciano nella condivisa battaglia per i diritti umani.

Le cinque donne, seppur in contesti diversi, si trovano a combattere per i diritti civili e talvolta contro governi che per mettere a tacere le loro voci ricorrono alla reclusione, ma che non riescono a fermare il loro inarrestabile attivismo e voglia di cambiare il mondo.

Aleksandra Skochilenko: attivismo ai tempi di Putin

Aleksandra Skochilenko è un’artista e musicista russa. Molto attiva nella comunità artistica di San Pietroburgo, nel 2014 pubblica Libro sulla depressione per sensibilizzare sulla tematica della salute mentale, ancora un tabù nella società russa.

Con lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, Skochilenko si schiera apertamente contro la politica aggressiva perpetuata dal governo Putin

Il 24 febbraio 2022 partecipa ad una protesta pacifica, per cui viene multata di diecimila rubli ma l’ammenda pecuniaria non ferma l’attivismo di Skochilenko. Dopo un interrogatorio durato una notte intera, viene arrestata l’11 aprile dello stesso anno con l’accusa di aver sostituito i cartellini dei prezzi in un supermercato con informazioni contro la guerra e con i nomi delle persone uccise durante i bombardamenti del Teatro d’arte drammatica di Mariupol.

Aleksandra Skochilenko
Aleksandra Skochilenko

Viene posta in custodia cautelare fino al 1 giugno 2022 dal tribunale distrettuale di Vasileostrovsky. Qualche giorno dopo viene traferita in un centro di detenzione preventiva, dove le sue condizioni di salute peggiorano. Aleksandra Skochilenko è infatti celiaca e deve seguire una dieta adeguata ma in cella non le viene fornito cibo senza glutine.

A seguito di una lettera del Center for Combating Extremism in cui si affermava che Aleksandra Skochilenko fa parte di un gruppo femminista di protesta radicale, senza alcuna prova, la detenzione preventiva viene prorogata, nonostante Skochilenko dichiari di non aver mai sentito parlare del gruppo in questione.

L’artista rischia dieci anni di carcere, di fatto con l’unica colpa di rappresentare tutto ciò che il governo Putin non tollera: femminismo, pacifismo e omosessualità.

Masih alinejad e la libertà di scegliere

Masih Alinejad è una giornalista, scrittrice e attivista iraniana. È solo una bambina quando lo scià di Persia Reza Pahlavi viene deposto e ha inizio il regime dell'Ayatollah Khomeyni.
Ben presto acquisisce consapevolezza politica e dà inizio al suo attivismo: a soli diciotto anni viene arrestata per aver diffuso volantini contro il governo. Dal 2009 è costretta all’esilio, in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove continua la lotta in difesa della libertà. Nel 2014 apre una pagina Facebook, My Stealthy Freedom, dove pubblica foto inviatele da coraggiose donne iraniane a capo scoperto, per dar loro voce nella lotta contro l’oppressione del governo.

Masih Alinejad si batte affinché l'hijab diventi una scelta personale e non un’imposizione, l’ennesima contro le sue connazionali

L’attivismo di Masih Alinejad non passa inosservato, infatti, nel 2015 il Summit di Ginevra per i diritti umani e la democrazia le conferisce il Women's Rights Award.

Alinejad crea un altro progetto per la causa: si tratta di Tablet for Voice of America's Persian Language Service, un programma con le interviste di cittadini iraniani che raccontano la difficoltà di vivere sotto un regime teocratico. Anche in questo l’attivista viene osteggiata dal governo iraniano, che minaccia fino a dieci anni di reclusione per alto tradimento per tutti coloro che partecipano all’iniziativa della Alinejad.

Le azioni del regime contro Masih Alinejad vanno però ben oltre: nell’estate del 2021 l’FBI ha sventato un tentativo di rapimento per riportarla in Iran, l’anno seguente invece viene arrestato un uomo armato che cercava di introdursi nella sua abitazione a New York.

Masih Alinejad ha deciso di raccontare la sua battaglia per le donne iraniane in un documentario, Be my voice, diretto dalla regista Nahid Persson e uscito nelle sale a marzo 2022

«Questo film vuole dimostrare alla mia gente che una rivoluzione è possibile. Il cambiamento è possibile, ma abbiamo bisogno dell'attenzione del mondo, della politica e dell'opinione pubblica dei paesi occidentali. Vediamo che il regime va avanti grazie alla politica occidentale. Le donne iraniane hanno il coraggio di opporsi al regime, ma devono sentire il sostegno delle loro sorelle occidentali»

Ameira osman hamid: “No to women oppression”

Ameira Osman Hamid è un’attivista e ingegnera civile sudanese che da anni si batte per i diritti delle donne. Ha sempre sostenuto la democrazia e i diritti umani, in particolare quelli delle donne e nel 2009 ha dato vita al progetto “No to women oppression”, volto a difendere i diritti delle donne e a sostenere una riforma legale e giudiziaria.

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No to women oppression ha lanciato diverse campagne contro la Legge sull’ordine pubblico, che di fatto stabilisce cosa sia consono indossare per una donna e quale sia il comportamento da adottare nella vita pubblica.

La stessa Osman Hamid nel 2002 viene condannata e multata per aver indossato i pantaloni, violando così la legge che in Sudan vieta di indossare abiti considerati indecenti o immorali. La medesima accusa le viene mossa anche nel 2012, in quest’occasione però, per non aver indossato il velo, rischiando la fustigazione pubblica. La legge viene ufficialmente e definitivamente abrogata nel 2019: questo traguardo è stato raggiunto anche grazie al prezioso contributo di Ameira Osman Hamid e di No to women oppression.

A seguito delle coraggiose battaglie, Osman Hamid è stata insignita del Front Line Defenders Award, importante riconoscimento internazionale che viene riservato a coloro che difendono strenuamente i diritti umani

Il duro lavoro dell’attivista, però, è stato causa di arresti ingiusti da parte del governo sudanese: nel gennaio di quest’anno, infatti, Ameira Osman Hamid è stata portata via dalla sua casa di Khartoum per poi essere rilasciata su cauzione una settimana dopo. Nonostante gli atti intimidatori del governo, Osman Hamid continua a portare avanti la sua lotta in difesa dei diritti.

Li Qiaochu, per una Cina più giusta

Li Qiaochuè un’attivista cinese che si batte per i diritti delle donne e dei lavoratori.

Nel 2017 Qiaochu si è schierata con i lavoratori migranti costretti ad abbandonare le proprie case a seguito dello sgombero massivo ad opera del governo pechinese. Insieme ad altri volontari, l’attivista si è adoperata per trovare loro lavoro e nuovi alloggi, con prezzi contenuti e accessibili.

Accanto alla battaglia per i lavoratori, Li Qiaochu ha portato avanti quella a sostegno del movimento #MeToo, pubblicando online racconti per denunciare abusi

Li Qiaochu
Li Qiaochu

L’attivismo di Li Qiaochu viene mal tollerato dal governo cinese che, a partire dal dicembre 2019, inizia a prendere provvedimenti: alcuni agenti di pubblica sicurezza iniziano ad appostarsi fuori dalla sua abitazione e qualche settimana dopo la trattengono per oltre ventiquattro ore.

Nel febbraio 2020 Xu Zhiyong, il fidanzato di Qiaochu, anche lui attivista, viene arrestato e duramente maltrattato. Qiaochu denuncia l’accaduto: la cosa non piace al regime che, in risposta, la arresta con l’accusa di incitamento alla sovversione del potere statale.

Ad oggi Li Qiaochu è trattenuta dal governo cinese, ma di fatto mancano prove tangibili che abbia commesso un reato riconosciuto a livello internazionale. Secondo alcuni il fatto che abbia preso posizione contro il governo cinese che a dicembre 2019 insabbiava la realtà diffusione del Coronavirus, potrebbe aver contribuito ad aggravare la sua posizione.

Eddi Marcucci: l’Italiana che ha combattuto contro l’Isis

La storia di Maria Edgarda Marcucci (meglio conosciuta come Eddi Marcucci) potrà suonare più familiare: si tratta infatti di un’attivista italiana. Marcucci tra il 2017 e il 2018 entra a far parte dell’Unità di protezione delle donne curde (YPJ) per combattere l’Isis in Siria.

Insieme ad una delegazione civile composta da dieci donne e altrettanti uomini, arriva in Rojava per sostenere la rivoluzione e partecipa anche alla sua parte armata

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Dopo circa un anno, il rientro in Italia: ad accoglierla nessuna accoglienza, nessun omaggio. Al contrario, da marzo 2020 Marcucci viene sottoposta a sorveglianza speciale, perché ritenuta socialmente pericolosa: viene privata di alcuni diritti civili fondamentali per aver combattuto al fianco dei curdi in difesa del confederalismo democratico e, di fatto, per il suo storico attivismo, in primis nel movimento No Tav.

La sorveglianza - che non ha mai fermato l’attività politica dell’attivista - si è ufficialmente conclusa da pochi mesi nel 2022 e in concomitanza con la fine del provvedimento è stato pubblicato il suo libro. Marcucci ha infatti deciso di raccontare la sua esperienza giudiziaria per raggiungere più persone possibili nel volume Rabbia Proteggimi, Dalla Val di Susa al Kurdistan. Storia di una condanna inspiegabile (Rizzoli Lizard, 2022).

A chiunque capita di inciampare e a tutti fa paura anche solo l’idea che capiti, io non faccio eccezione, anzi. Proprio per questo credo che non esista libertà senza comunità. Perché in una società in cui le persone si prendono cura le une delle altre questa cosa fa meno paura, o almeno si affronta insieme e si vive meglio

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