Danila de Stefano, fondatrice di Unobravo: “La Gen Z sta abbattendo i tabù sullo psicologo”
Il nome è di quelli che difficilmente si dimenticano. E navigando su Unobravo, la ricerca di uno psicologo è resa semplice e intuitiva: basta compilare un questionario e rispondere ad alcune domande riguardandi il proprio vissuto, indicando le cause che portano a sentire il bisogno di un consulto psicologico. Successivamente le risposte vengono valutate da un algoritmo e associate allo psicologo più adatto alle proprie esigenze - dai problemi di ansia a quelli relativi al campo affettivo o lavorativo, i disturbi alimentari, le dipendenze, il rapporto con la sessualità, la gestione del lutto e tanti altri.
Ad aver inventato Unobravo è stata, nel 2019, Danila De Stefano, oggi imprenditrice di successo (nel 2021 è stata inserita da Forbes fra i 30 under30 più innovativi), che ha voluto rendere più facile la ricerca di uno psicologo con un obiettivo: sradicare i pregiudizi legati alla consulenza psicologica non solo normalizzandola, ma diffondendo consapevolezza sull'importanza di prendersi cura della propria salute mentale. Un progetto, quello di Unobravo, che ha vissuto un vero e proprio boom durante la pandemia, quando la psicoterapia, per forza di cose, si è dovuta spostare online.
E se adolescenti e studenti sono stati tra i più bisognosi di un supporto psicologico durante la pandemia - a causa della DAD e della smaterializzazione dei rapporti sociali - Unobravo risponde con un nuovo servizio in collaborazione con aparto, gestore di residenze universitarie che ha recentemente aperto la prima struttura a Milano in zona Bocconi in grado di ospitare circa 600 studenti.
L'obiettivo della partnership è quello di offrire agli studenti gli strumenti necessari per condurre una vita bilanciata, normalizzando il tema della mental health tra la GenZ per veicolare il messaggio che il benessere psicologico permette la crescita personale, migliora la qualità della vita e la convivenza civile tra le persone, specialmente in un contesto di residenza dove per definizione la condivisione di spazi e tempi può essere problematica. Lo scopo è quello di creare una community in cui gli studenti possano riconoscersi in un contesto di fiducia, ascolto e riconoscimento che sia per loro una spinta a esprimersi nella propria unicità, come base per il raggiungimento di una maggiore sicurezza di sé e delle proprie potenzialità.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Danila De Stefano.
Qual è il tuo background e da che intuizione è nato Unobravo?
Nel 2016 ho completato gli studi in Psicologia Clinica presso La Sapienza di Roma e poco dopo mi sono trasferita a Londra, dove ho iniziato a lavorare come educatrice in una casa di cura psichiatrica. Tra lavoro e inserimento in un nuovo Paese, ho sentito l’esigenza di rivolgermi a uno psicologo, ma ho dovuto far fronte a lunghe liste d’attesa e prezzi esorbitanti. È stato così che mi sono chiesta come gli italiani all’estero si comportassero nel momento in cui avevano bisogno di uno psicologo, ma non potevano accedere al servizio. Ho iniziato a propormi per dare supporto psicologico da remoto ad altri connazionali expat, autopromuovendomi su diversi gruppi Facebook: le richieste sono arrivate subito numerose, tanto da non poter accettare nuovi pazienti - che segnalavo ad altri colleghi. Ho creato un sito web molto semplice e, grazie al sostegno delle colleghe Corena Pezzella e Valeria Fiorenza Perris, oggi rispettivamente HR Manager e Supervisore Clinico di Unobravo, e Gregorio Maria Diodovich, oggi COO, il servizio Unobravo ha iniziato a prendere la forma di una vera e propria azienda in fase di startup.
Unobravo è nato nel 2019: come la pandemia ha cambiato la nostra concezione dello psicologo? C'è ancora lo stesso stigma?
VEDI ANCHE LifestyleCome funziona il bonus psicologo e cosa fare per averloIl periodo complesso che abbiamo affrontato ha sicuramente assunto un ruolo di acceleratore sotto diversi punti di vista e quello della salute mentale è diventato un tema di cui poter parlare più liberamente rispetto a qualche anno fa.
Tutto quello che abbiamo vissuto - tra lockdown, stravolgimento della routine quotidiana, timore di contagio, ecc -, ha fatto sì che molti affrontassero il proprio benessere mentale o quello dei propri cari in maniera totalmente differente rispetto a come avveniva prima della pandemia. Sebbene il benessere mentale e quello fisico siano ancora trattati con pesi e misure diverse, credo ci stiamo avvicinando alla rottura di un tabù secolare. In Italia, però, c'è ancora un problema culturale molto radicato: le persone hanno delle credenze errate nei confronti della psicoterapia. Spesso si aspetta di arrivare al limite e si soffre molto prima di andare da uno psicologo e non esiste il concetto di prevenzione e di prendersi cura della propria salute mentale sempre, a 360 gradi.
Oggi, a pandemia (si spera) quasi conclusa, la psicoterapia online viene ancora preferita?
Fino all’inizio dell’emergenza sanitaria, sia i professionisti che i pazienti erano molto scettici nei confronti della terapia online. La pandemia ha costretto tutti al distanziamento sociale e sperimentare questa modalità è stata una vera e propria necessità che ha portato entrambe le categorie a ripensare la terapia online considerando i timori iniziali come infondati. Non è un caso che numerosi studi, soprattutto statunitensi, dimostrino da più di dieci anni l’efficacia della terapia online per affrontare un alto numero di difficoltà psicologiche, non constatando alcuna differenza in termini di efficacia rispetto alla terapia tradizionale, in presenza.
In fatto di pregiudizi, sembra che la Gen Z sia molto più a suo agio nel ricorrere alla psicoterapia rispetto alle generazioni precedenti. Da cosa dipende secondo te?
Di recente l’attenzione sulle tematiche psicologiche è maggiore. Lo stigma culturale che veniva associato a chi in passato chiedeva il supporto di un esperto sta via via lasciando il posto all’accoglienza dell’emotività in tutte le sue sfaccettature. I giovani si confrontano su come si sentono, si confidano, si espongono di più senza vergognarsi della propria fragilità, senza sentire il bisogno di nasconderla. Se questo è vero, siamo sulla strada giusta!
Mi parli della collaborazione con aparto?
L’accordo che abbiamo siglato con la residenza universitaria di aparto milan Giovenale rappresenta un unicum per la storia della nostra azienda, dal momento che si inserisce a supporto di un’intera community di giovani coetanei. Siamo stati colpiti dal progetto perché aparto non è solamente un luogo, una residenza per studenti appunto, ma vuole identificarsi come un’esperienza in cui abitare significa anche far parte di una community, per arricchirsi reciprocamente e poter coltivare il proprio potenziale.
L’idea della partnership è scaturita dalla constatazione di aparto su quanto sia necessario offrire un’attenzione concreta al benessere psicologico dei propri ospiti, poiché questo costituisce un’enorme porzione di ciò che rende gli esseri umani tali e quindi elemento abilitatore per una crescita personale. I responsabili della residenza ci hanno così contattati, affinché il nostro servizio possa offrire agli studenti gli strumenti necessari per condurre una vita equilibrata, affrontando correttamente ostacoli e difficoltà in un momento così delicato di transizione verso l’età adulta e dopo due anni di DAD causa pandemia.
Quanto è importante che ci sia una formazione specifica adeguata tra gli adulti che entrano in contatto con i giovani all’interno della residenza universitaria per individuare segni di disagio psicologico e intervenire offrendo loro un aiuto prima che si manifestino disagi più persistenti?
La richiesta ricevuta da aparto si identifica in modo perfetto nei valori e nella filosofia di Unobravo. Una formazione specifica e adeguata per gli adulti è essenziale e aparto ne ha compreso l’importanza sin dal principio. Per questo abbiamo programmato due seminari all’anno duranti i quali, grazie all’aiuto dei nostri professionisti, lo staff di aparto potrà identificare atteggiamenti che possono essere interpretati come campanelli di allarme per condizioni di disagio psicologico.
In un'intervista hai detto che andrebbe abbattuto il machismo sulla salute mentale. In che senso c'è machismo, secondo te?
Io definisco così l’atteggiamento tipico di quelle persone che non ammettono la possibilità di avere difficoltà, mettendo in atto resistenze nei confronti della psicoterapia, che viene considerata “l’ultima spiaggia”. Tutto ciò non fa altro che aumentare il rischio di un malessere psicologico già cronicizzato nel momento in cui si decide di rivolgersi a uno specialista. Nei paesi anglosassoni, al contrario, l’approccio è diverso, grazie anche a campagne pubbliche che mostrano alle persone quanto non ci sia alcuna vergogna da provare nel chiedere aiuto, come invece accade in Italia.
Bonus psicologo: è una misura che può aiutare concretamente, secondo te? Cosa andrebbe fatto in più?
L’approvazione del bonus psicologo rappresenta sicuramente un segnale positivo per la società e, allo stesso tempo, potrà essere un incentivo per tante persone - pur tagliandone fuori moltissime altre che realmente necessitano di un sostegno psicologico.
A livello di fondi, l’attuale formula prevede infatti lo stanziamento totale di 10 milioni di euro a cui ne verranno aggiunti altri 10 per potenziare i servizi di salute mentale. In base al reddito ISEE (che non può superare i 50.000 euro), ogni persona potrà ricevere fino a un massimo di 600 euro per svolgere sedute di psicoterapia. Si calcola quindi che potrebbero usufruire del bonus un totale di appena 16.000 persone su una popolazione di circa 60 milioni di abitanti.
La manovra è sicuramente un primo passo ma, per come è stata pensata e per il budget investito, ha decisamente ampi margini di miglioramento; tuttavia, il cambiamento reale si potrà osservare nel lungo termine e solo attraverso un serio e concreto potenziamento della sanità pubblica.