Drag Race Italia, Priscilla: «Il mio riscatto, tra emozione e grande responsabilità»

Intervista alla padrona di casa dello show già cult di Discovery: una chiacchierata sulle scelte del passato, la vita presente e gli obiettivi futuri, e sull'importanza di mandare sempre un messaggio di accettazione, inclusività e libertà

Su Instagram, dove è seguita da oltre 28mila persone, si definisce “regina di Mykonos e attivista LGBTQIA”. Davanti alle telecamere sorride, ironica e pungente, abbagliante in look ad alto tasso glamour, tirando le fila di un programma che è già diventato un cult: la drag Priscilla, alter ego di Mariano Gallo, è una dei tre giudici di Drag Race Italia, la versione italiana dell’iconico show di RuPaul, e in una settimana ha ottenuto quel riscatto che per anni ha atteso, sin da quando ha lasciato l’Italia per la Grecia «per sfuggire a un contesto culturale e sociale in cui non venivo capita». L’abbiamo intervistata a pochi giorni dal debutto di Drag Race Italia su Discovery+ (a gennaio in chiaro), e la chiacchierata si è trasformata in un’analisi leggera e allo stesso tempo profonda, in un piccolo bilancio di ciò che è accaduto negli ultimi anni e delle aspettative per il futuro.

Priscilla, nel primo weekend di release il programma sui social ha fatto registrare il 30% in più di accessi alla piattaforma e quasi 170.000 interazioni sui social. È stato tra gli show più commentati del weekend, e pubblico e critica sembrano concordi nel dare un giudizio più che positivo. Come ti senti, ora che “la prima” è alle spalle?

Prima della messa in onda l’emozione era alle stelle, questo è anche il mio debutto televisivo. E come Priscilla e Mariano sento molto forte il carico di responsabilità, perché il messaggio che voglio passare è quello che essere drag è un’arte e un lavoro vero. Sento forte questa responsabilità nei confronti di tutte le altre drag italiane, ma anche in quanto omosessuale, fiero e attivista: una drag deve portare sul palco bellezza e ironia, ma anche lanciare un messaggio di libertà e inclusività. Quindi prima delle messa in onda ero emozionata e agitata, dopo è passata l’agitazione ed è rimasta la forte emozione e questo senso di responsabilità. Non mi aspettavo una tale reazione del pubblico, un tale sostegno e un tale affetto, quello che mi ha stupito è che tutte le persone che prima avevano espresso timore e dubbi sul programma pensando che non fosse all’altezza della versione americana si sono ricredute, hanno apprezzato la qualità del progetto e il modo di condurre.

Lo scettro raccolto è in effetti pesante: RuPaul è stato il primo a rendere l’arte drag “mainstream”, a sdoganarla e a spogliarla di pregiudizi e stereotipi.

Lui è inarrivabile e inimitabile, e il mio modo di condurre non è e non può essere una copia del suo. Priscilla è rimasta Priscilla, la stessa che le persone hanno incontrato a Mykonos, e mi ha reso felice vedere che esiste tutta una parte di pubblico italiano che non conosceva affatto il fenomeno drag e che per pura curiosità si è voluto abbonare e ha voluto vedere il programma. Queste stesse persone che partivano da zero sono rimaste stupite e hanno apprezzato moltissimo il programma, hanno capito quanto lavoro c’è dietro lo spettacolo drag. E hanno capito che oltre al personaggio esiste la persona che ha una storia di vita vera e importante. Drag Race è un programma tv ma non è solo quello, è un fenomeno sociale, perché ti fa vivere lo spettacolo e la realtà, ti mette a nudo: queste ragazze hanno delle storie di vita non indifferenti, abbiamo già visto il carico di sofferenza che si portano dietro. Si sono aperte già all’inizio della prima puntata, ed era una cosa non da copione, appena si sono incontrate hanno sentito l’esigenza di confidarsi e confidare la parte più sofferente, hanno raccontato storie drammatiche relative al coming-out. Tutto questo dà al programma una dimensione più umana, non è solo lo spettacolo e il puro intrattenimento, raccontiamo storie di vita vera, storie di vita molto comuni. Del resto chi nella vita non si è mai sentito almeno una volta inadatto o non accettato?

Hai lasciato l’Italia molto giovane per la Grecia. Dietro questa scelta c’è stata la stessa sensazione?

Essere drag mi ha salvato la vita, mi ha aiutato a sentirmi accettata, voluta bene, e il fatto di essere arrivata a un certo livello attraverso l’arte drag è un riscatto. Prima venivamo considerate fenomeni da baraccone, ci esibivamo solo in determinati locali e per un determinato pubblico, adesso non esistono più categorie di spettatori, il pubblico che ama le drag è un pubblico libero che vuole divertirsi e accetta ogni tipo di di diversità. Io nasco in italia come drag, ma 10 anni fa avevo già una sorta di insofferenza nei confronti del modo in cui veniva percepita l’arte drag, ero stanca di trovarmi in situazioni in cui il pubblico non aveva gli strumenti per apprezzare lo spettacolo, venivo insultata e presa in giro. Se non hai una determinata cultura, l’uomo con la parrucca viene visto come un uomo che deve sfogare la sua femminilità ma non è così, noi utilizziamo l’arte drag per vivere la nostra parte femminile, non perché ci sentiamo donne, ma perché abbiamo accettato che in noi ci sia questa parte e non vogliamo nasconderla, la viviamo esasperandola. Ero stanca, e sono andata a Mykonos.

Come mai proprio Mykonos?

Ci sono finita in vacanza e mi sono innamorata. Ci sono andata fuori stagione e non ero pronta per lo spettacolo. Per puro caso ho saputo che il Jackie O (il locale in cui Priscilla si esibisce, ndr) mi cercava, un cameriere mi ha detto che stavano cercando una drag italiana anche perché avevano molti turisti italiani, tutti parlavano di Priscilla, io stupita mostrai le mie foto: cercavano me. Mi chiesero di fare uno spettacolo di prova ogni due giorni, io non ero preparata, ho cercato di recuperare un po’ di cose, feci lo spettacolo, non lo dimenticherò mai, mi esibii sulle note di Let’s Get Loud di Jennifer Lopez. Sono passati 10 anni e sono la regina di Mykonos: ho portato un genere drag diverso, già esisteva una grande tradizione, ma ho portato l’interazione col pubblico, il coinvolgimento, l’essere auto ironica. Mi sono potuta esibire per un pubblico eterogeneo, dai bambini sino agli ultra novantenni, per famiglie e coppie sposate, per lesbiche, gay ed etero. Così ho capito che il pubblico italiano reagiva in modo aggressivo ai miei spettacoli perché non aveva gli strumenti adatti per comprenderlo: se non conosciamo una cosa spesso alziamo un muro per difenderci.

La possibilità di condurre Drag Race è stata la molla che ti ha convinto a tornare?

Sì. È l’occasione per eccellenza per dare al pubblico gli strumenti per capire cos’è l’arte drag e chi sono le drag queen. Sono stata invitata in altri programmi televisivi, ma tutti quelli che mi invitavano non lo facevano per istruire il pubblico, così ho sempre rifiutato. In questo caso, per una drag che fa questo per lavoro, partecipare a Drag Race è la massima aspirazione della propria carriera, immaginate presentarlo: il sogno di una vita.

In questo periodo l’Italia è finita sotto i riflettori per la vergognosa pagina al Senato relativa al Ddl Zan. Qual è il tuo punto di vista sulla vicenda? 

Alessandro Zan è un carissimo amico, lo invitai a Mykonos la scorsa estate per una diretta sui miei social, leggevo troppe fake news e troppa gente era disorientata e disinformata, chiesi a lui se voleva essere ospite per fare una chiacchierata e cercare di dare quante più notizie possibili al pubblico. Quell’occasione è stata illuminante per me e per i follower, perché è stato spiegato il Ddl Zan in modo molto semplice, si era dato sin troppo spazio a politici che portano avanti le loro campagne basandosi su fake news o fossilizzandosi su determinati punti del disegno di legge anziché guardarne la totalità. Quella scena vergognosa ci ha feritə e umiliatə, ma ha smosso qualcosa in chi ci sperava: c’è una voglia ancora più forte di rivincita e riscatto. Io penso che la politica sia fatta di dialogo, mediazioni e opposizioni, ed è normale che l’opposizione voglia mediare, non è quello il problema. Ma quella scena in particolare al Senato, composta da senatori che dovrebbero rappresentare il nostro Paese anche all’estero, vederli esultare come allo stadio per una legge affossata che significa diritti schiacciati, ha fatto male. La cosa che mi ha fatto più schifo è stata vedere anche donne festeggiare: il Ddl zan non è solo contro l’omolesbotransfobia, ma anche contro la misoginia, e vedere queste donne mi ha ferita. Però ha creato qualcosa nell’Italia bella, io sono un'ottimista e quello che abbiamo visto al Senato è solo una piccolissima parte dell’Italia.

La campagna promozionale di Drag Race è arrivata proprio in quei giorni. Parlando di tempismo…

Assolutamente. È stata una risposta chiara, netta, precisa ma intelligente a quella scena al Senato. Loro volevano cancellare l’identità di genere dal Ddl Zan, e la campagna dei giorni successivi si è conclusa con le foto e la frase “Adesso sì che potete applaudire”: quale risposta migliore che non attraverso l’arte? Anche tutta quella parte di pubblico che non sapeva neanche dell’esistenza di Drag Race e lo ha guardato e apprezzato è stata una risposta. Tutto questo ci ha aiutato tanto, e mandare in onda il programma è stato uno schiaffo in faccia a chi ha esultato quel giorno.

Loro volevano cancellare l’identità di genere dal Ddl Zan, e la campagna di Drag Race si è conclusa con la frase “Adesso sì che potete applaudire”

Parlando di accettazione e inclusività, il coming-out è un momento molto delicato per una persona. Nella tua vita ci sono persone che hanno rivestito un ruolo fondamentale in questo passaggio?

Io ho sempre detto che avere accanto persone che ti sostengono è fondamentale, e quei punti di riferimento possono essere la famiglia o gli amici. Io sono fortunata perché ho sempre avuto la famiglia dalla mia parte dopo un primo periodo di difficoltà. Dopo il mio coming-out a 19 anni mi aspettavo di ricevere un “lo sapevo già”, ma sono comunque andata con un po’ di paura. Fare un coming-out ti fa sentire sempre il timore di non essere accettato o di deludere le aspettative, soprattutto dei genitori. Mia madre svenne, pronunciò quelle frasi che sembrano da film ma si dicono davvero, “che cosa abbiamo sbagliato, ti facciamo guarire”. Lì si è creata un po’ di distanza, ma solo perché mi sono resa conto che molti genitori non hanno la cultura adatta per capire cosa significa essere gay. Stava a me farmi vedere per quello che sono, ho mostrato che non ero cambiata, e mia madre si è aperta tantissimo. Oggi lei e papà sono i miei migliori amici e i miei più grandi fan: mia madre mi cuciva i vestiti in cucina, mio padre, che ha fatto da body guard nei locali, ha fatto security nel locale in cui mi esibivo. Quando viene a vedere i miei spettacoli dice a tutti “quello è mio figlio”. Il sostegno delle persone che amiamo è fondamentale perché ci dà la forza per affrontare tutti gli attacchi che riceviamo dall’esterno, per chi fa la drag è ancora più importante, perché fare la drag non significa come pensano tutti indossare una maschera e salire su un palco, ma mostrare una parte intima e vera: sul palco noi siamo nude.

Che consiglio daresti a chi vuole intraprendere una carriera da drag queen?

Pochi giorni fa ho ricevuto un messaggio da un ragazzo di 14 anni di un paesino della Calabria che diceva che voleva fare la drag queen, ma che sapeva che nessuno l’avrebbe appoggiato. A persone come lui direi che devono finire gli studi, crearsi una base per essere pronti e una cultura, e se il posto in cui vivono non dà loro la possibilità di essere loro stessə, al momento giusto di andare via. Sembra brutto, ma devi essere libero di sentirti te stesso. Alle nuove drag queen che hanno già la possibilità di fare esperienze, dico: fate questo lavoro con serietà e professionalità perché è un vero lavoro ed è duro, ma siate anche attiviste. Noi rappresentiamo la comunità LGBTQ+ e dobbiamo conoscere la storia del nostro movimento, solo conoscendolo possiamo parlarne e portare avanti la nostra causa.

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