Un podcast sulla storia di Eleonora, sopravvissuta a una diagnosi di tumore al quarto stadio
Un diario in formato audio che racconta il cancro senza pietismi né stereotipi attraverso la voce diretta di chi il cancro lo ha avuto davvero. È partito così il progetto del podcast La strada davanti a sé realizzato da CHORA, la podcast company italiana fondata nel 2020 da Guido Maria Brera, Mario Gianani, Roberto Zanco e Mario Calabresi, e promosso da Gilead Sciences con il supporto di Honboard. Quattro episodi da 30 minuti l'uno (ascoltabili su Spotify, Apple Podcast, Spreaker, Google Podcast) in cui Eleonora Bruzzone ripercorre i due anni di lotta contro il tumore. Un percorso fatto di diagnosi, di attese ("i momenti peggiori"), di paura e infine di speranza grazie alla nuova terapia a base di cellule Car-T a cui si è sottoposta con successo Eleonora. Il tutto raccontato senza filtri, con il cuore aperto di chi ha affrontato le paure più profonde dell'animo umano. La paura della morte, arrivata come un fulmine.
A intervallare le parole di Eleonora è Carolina di Domenico, voce narrante del podcast. Insieme a lei prendono la parola alcuni membri della famiglia di Eleonora - la mamma Clara e la sorella Marcella - oltre a esperti come il professor Fabio Ciceri, primario di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo e Oncoematologia al IRCCS Ospedale San Raffaele, la professoressa Gabriella Pravettoni, psiconcologa dello IEO, il dottor Umberto Vitolo, ex primario della divisione di ematologia dell’ospedale Molinette di Torino e Francesca De Vecchi, professoressa di Filosofia all'Università San Raffaele di Milano. Le loro parole si fondono con i pensieri e le riflessioni di Eleonora sulla vita, sulle cose della quotidianità che cambiano forma, sulla rabbia che a tratti invade la mente, sulla gratitudine di essere vivi.
Abbiamo chiesto a Eleonora di raccontarci com'è stato registrare questo podcast e di come sia cambiata la sua vita dopo la malattia.
Com’ è nato questo tuo diario?
Tutto è nato nel momento in cui mi venne l’idea di ringraziare l’azienda che ha prodotto il farmaco grazie al quale il linfoma è andato in remissione, Gilead. Pensai che avevo ringraziato tutti, i medici e gli infermieri che mi avevano curata, ma non la casa farmaceutica responsabile della mia guarigione. Chiamai in azienda e ovviamente rispose la receptionist, incredula. Fu bravissima nel cogliere il mio messaggio e riportarlo alle pubbliche relazioni, che mi chiamarono dopo poco. Grazie a loro sono riuscita a ringraziare tutti di persona, l’amministratore delegato e le persone che hanno concretamente contribuito a questa terapia. È nato un rapporto bellissimo, sono venuti a trovarmi a Genova e sono diventati miei amici. In 40 anni mai nessuno aveva chiamato per ringraziare. Da qui la loro idea di sviluppare un podcast insieme a CHORA sulla mia storia.
Hai iniziato a registrare il podcast nell’estate di quest’anno. Che esperienza è stata ripercorrere la malattia in un momento in cui desideravi lasciarla alle spalle?
Inizialmente ne avevo sottovalutato la carica emotiva. Il tumore è stato per due anni il centro della mia vita, pensavo che sarebbe stato semplice parlarne. E invece no. È stato devastante. Per la prima volta ero davanti alla malattia da sola, per di più con un microfono, con la consapevolezza che quelle registrazioni sarebbero rimaste per sempre. Non ho mai pensato di prepararmi prima di iniziare a registrare, mai. Quello che dico nel podcast sgorga direttamente dal cuore. Registrare questo podcast è stato un viaggio attraverso me stessa in cui ho tirato fuori tutto quello che avevo dentro. Fino a quel momento non lo avevo mai fatto. Parlavo delle terapie che facevo, ma non di ciò che provavo.
Il tumore è stato per due anni il centro della mia vita, pensavo che sarebbe stato semplice parlarne. E invece no. È stato devastante
Nel podcast spieghi come la malattia abbia cambiato il tuo modo di vedere le cose. In che modo l’ha fatto?
L’ha fatto restituendomi quel pezzetto di umanità che per la fretta, per la società, per il materialismo dei nostri giorni, un po’ perdiamo tutti. Per questo considero il tumore un dono. Me ne sono resa conto quando iniziavano a mancarmi le cose semplici che prima davo per scontate. Il vento di Genova, che prima odiavo, durante la malattia mi mancava. Ho iniziato a riassaporare una serie di frammenti di vita che prima scivolavano nella quotidianità in modo scontato. Anche solo toccare una foglia. Ricordo che quando uscivo dal reparto di ematologia dell’ospedale di Genova c’era un piccolo terrazzo che aveva due piante. Le toccavo, sentivo la loro freschezza.
Il tumore mi ha restituito quel pezzetto di umanità che per la fretta, per la società, per il materialismo dei nostri giorni, un po’ perdiamo tutti. Per questo lo considero un dono
Il tumore è uno spartiacque, hai detto. Cos’è rimasto della tua vita di prima?
Ho cambiato tantissimo, in primis città: ora vivo a Parma. Non potrei più vivere la vita di prima. Ho imparato a fare tesoro del mio tempo, ma senza fare cose eccezionali. Oggi lo condivido solo con chi mi arricchisce, chi mi fa star bene dentro, ch mi emoziona. La qualità del tempo è quella: emozionarsi. Quando si dice che “devi toccare il fondo per risalire” sembra retorico, eppure è vero. Deve mancarti tutto per farti apprezzare ciò che hai.
Ho imparato a fare tesoro del mio tempo, ma senza fare cose eccezionali. Oggi lo condivido solo con chi so che mi arricchisce
Nel primo episodio racconti di come la paura abbia agito da spinta verso la vita. Hai stravolto il senso di questo termine, attribuendogli un’accezione positiva. Un messaggio bellissimo.
La paura della morte è arrivata immediatamente, la stessa notte in cui ho ricevuto la diagnosi. Pensavo a cosa avrei lasciato, a chi avrebbe sofferto. Poi la paura si è trasformata in uno stimolo a reagire: dovevo fare in modo che ciò non accadesse. Non ero sicura di riuscirci, ovviamente. Ero arrabbiata, e mi chiedevo: perché a me? E perché in quel momento della mia vita? Anche la rabbia ha agito come spinta verso la vita. Mi resi conto che io amo la vita. Volevo rimanere ancorata alla vita perché mi dispiaceva non poter fare tutte le cose che avrei voluto fare.
Cosa consiglieresti a chi è stato appena diagnosticato un cancro?
Innanzitutto di essere consapevole della gravità della situazione, senza diventare ipocondiaco. Gli direi anche di non esagerare nell’essere malato. Nel senso: lo si è già per definizione quando si riceve una diagnosi del genere. Non c’è bisogno di cavalcare la depressione post-diagnosi. Alcune persone ancora prima di iniziare la terapia si vedono morte. No. Bisogna avere la forza di aspettare di vedere davvero come andranno le cose, senza demoralizzarsi subito. Poi consiglio di sapersi affidare delle persone che ci curano. Noi non siamo medici, ma siamo conoscitori di noi stessi. Quindi è necessario saper capire cosa succede dentro di noi e riportarlo ai medici.
Alcune persone ancora prima di iniziare la terapia si vedono morte. No. Bisogna avere la forza di aspettare di vedere davvero come andranno le cose, senza demoralizzarsi subito
Com’è stato l’incontro con carolina di Domenico?
È stato come se ci conoscessimo da sempre. È nata una sintonia immediata. Io per lei ero una sconosciuta, ma lei per me era l'influencer preferita nei primi anni 2000, quando ero adolescente. La vedevo su Mtv e mi vestivo come lei. Per me è stato come vedere un mio mito adolescenziale nella versione di amica.
Com’è Eleonora oggi?
Sicuramente una persona che non è esente da dolori futuri, ma che ha la fortuna di saperli filtrare in modo diverso. Sono entrata nel tumore da ragazza e ne sono uscita da donna. Ho voglia di costruire, di andare come una Ferrari. E poi sono più consapevole dell’importanza degli affetti e dell’amore.