Imprenditoria femminile: la gestione sostenibile della pesca è in mano alle donne
«Mi piace il mio lavoro e vado avanti così finchè riesco: è dura, però non lo cambio»: afferma con sicurezza Katiuscia Bellan che da decenni lavora nel settore della pesca. Poi continua descrivendo la sua routine: «vado via intorno alle 16:30 e rientro alle 9 del mattino dopo. Arrivata a casa mi aspetta tutto il resto del lavoro: devi fare la lavatrice, stendere il bucato, sistemare un po' in casa. Poi si riparte subito in mare».
Quando si parla di donne e di pesca spesso si sente la frase «è una donna che ha sposato il mestiere». A primo impatto, per una persona che non conosce i meccanismi che stanno dietro la filiera ittica, "sposare un mestiere" può essere inteso come la grande dedizione che viene riposta in un lavoro.
In parte è così, ma per chi da anni gravita nel mondo della pesca sa che questa espressione ha un’altra accezione: significa che una donna trovandosi nella condizione di madre, moglie, figlia o sorella di un pescatore diventa lei stessa pescatore. Ecco chi sono le donne della pesca.
La scuola di pesca
C'è una percezione sbagliata. Io lo dico sempre che gli unici personaggi famosi del mondo della pesca sono stati San Pietro e il vecchio di "Il vecchio e il mare" di Ernest Hemingway. Poi non è stata mai presa in considerazione la figura del pescatore in quanto tale, ma ancora di più è ridicolo l’atteggiamento verso le donne
A esordire così è Adriana Celestini che nel 2004 ha fondato l'associazione Penelope donne della pesca e ha svolto il ruolo di presidente di AKTEA-European Network of Women in Fisheries, ossia la rete europea delle donne della pesca.
Celestini è stata anche docente della scuola di pesca di Coldiretti Veneto. Il progetto della scuola prevede la collaborazione dei docenti dell’Università di Padova, ricercatori e biologi in grado di dare nuovi strumenti per sviluppare occupazione e studiare modalità innovative per affrontare in chiave ecosostenibile le prospettive dell’acquacoltura veneta.
A finanziare questo progetto è il fondo europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP) che nel 2020 ha supportato circa 150 programmi rivolti all’inclusione e all’occupazione femminile nei settori della pesca e dell’acquacoltura.
Un altro punto chiave dei corsi tenuti durante la scuola è stato un «modulo di formazione specifico per le donne dove abbiamo trattato le materie legate al loro riconoscimento come figura professionale».
Le donne della pesca sono quelle che spesso si imbarcano, fanno il lavoro a terra, ma non hanno una figura giuridica riconosciuta. Praticamente sono fantasmi a meno che non siano titolari d'impresa
A spiegare l’obiettivo della scuola di pesca è Sandra Chiarato, addetta stampa di Coldiretti Veneto, che sottolinea la necessità di creare «una rete di donne della pesca». Chiarato, mentre parla del progetto aggiunge: «Il percorso formativo mira a recuperare un mestiere antico, ma che ha bisogno di aggiornarsi». Così, oltre a capire le origini, si dà uno sguardo ai cambiamenti che questo tipo di lavoro deve subire per adattarsi ai tempi. Si parla, infatti, della conservazione dell'habitat, di sostenibilità e dell’impatto del turismo.
La mancanza di tutele
Adriana Celestini nei suoi corsi si focalizza proprio sui passi avanti che vanno fatti. In primo luogo le donne della pesca da operatrici della pesca devono essere considerate vere e proprie imprenditrici della pesca. Come spiega Celestini: «non è soltanto un cambio di parole, è un mondo immenso, perché quelle silenti figure delle donne della pesca sono una parte importantissima».
Le donne coadiuvanti dell'impresa ittica familiare, cioè quelle donne mogli, madri o figlie di armatori e pescatori, svolgono il lavoro difficile della commercializzazione e dell'espletamento di tutte le funzioni amministrative e burocratiche e sono costrette a farle perché gli uomini sono in mare
Nonostante l’importante ruolo che svolgono, queste figure non hanno un riconoscimento giuridico. Celestini precisa che la lotta per il riconoscimento dei diritti «non è un blasone da attaccare sulla porta di casa, ma può dare la possibilità a queste donne di usufruire di una retribuzione, di un'assicurazione, della malattia».
Questo tipo di garanzie esistono in Italia sia per le donne dell'agricoltura che per le donne del commercio che per le donne dell'artigianato. A tutte quelle mogli, quelle sorelle e quelle madri che aiutano i congiunti nelle attività viene riconosciuto il ruolo di coadiuvante con annessi diritti. Nel mondo della pesca questo non accade.
Il ruolo di imprenditrici permetterebbe a queste donne di uscire dal cono d'ombra di un lavoro non riconosciuto, ma darebbe loro anche l'opportunità di guardare a se stesse con un occhio diverso. Da operatrici a imprenditrici
Oltre il folklore, un mestiere che cambia
C’è un’immagine convenzionale della pesca, supportata dall'arte e dalla letteratura, come ambito frequentato e sostenuto solo dagli uomini e in cui le donne, quando rappresentate, hanno solo la funzione di attendere i mariti a riva e distribuire il pesce nei panieri. «L’attenzione verso le donne della pesca è nata prima di tutto come folklore da osservare», racconta Celestini.
Nel corso degli anni, però, si prende sempre più consapevolezza di un settore in cui le donne, seppur a primo impatto possono sembrare figure in secondo piano, in realtà incarnano la forza propulsiva della pesca. La professione ha infatti subito vari cambiamenti
Katiuscia Bellan alla domanda "Cos'è cambiato in questo mestiere?" risponde con un secco «Tutto». Poi aggiunge: «È cambiato tutto sia nel modo di pescare, sia nella burocrazia che nel clima».
Con malinconia Bellan precisa che una cosa è rimasta invariata: l’assenza di tutele
Noi mogli, figlie o sorelle che aiutiamo i nostri pescatori non siamo riconosciute e non siamo tutelate. Mentre in tutti gli altri stati europei hanno le loro tutele
La situazione della regione Veneto nell’ambito della pesca sembra quella di un’isola felice. Per rendersene conto basta chiedere a Bellan se nel corso della sua carriera ha subito episodi di discrimazione in quanto donna della pesca. Per lei non ce ne sono mai stati, infatti afferma: «io sono sempre andata a vendere il pesce al mercato ittico e i pescatori, i commercianti e tutti gli addetti, mi hanno sempre rispettata e ammirata».