Giorgia Cirulli, la personal trainer che vuole superare il concetto comune di disabilità

39 anni, di Milano, Giorgia Cirulli è una personal trainer specializzata in allenamento femminile che convive con una stomia all’addome, ovvero un sacchetto di raccolta di materiale enterico. Una condizione che ha minato e mina quotidianamente la qualità della vita di Giorgia, ma che non è riuscita a toglierle il sorriso e la voglia di fare informazione su questa problematica. Vi raccontiamo la sua storia, una storia che parla di malattie invisibili, disabilità e preconcetti radicati

Una patologia grave e resistente ai farmaci, la rettocolite ulcerosa, che ha portato alla rimozione definitiva del colon, quindi la stomia temporanea sull’addome in attesa di altri due interventi demolitivi per cui verrà rimosso anche il retto. Per Giorgia Cirulli sono stati anni di estrema sofferenza fisica e mentale. Non soltanto per i dolori causati dalla sua patologia, ma anche per lo stravolgimento della quotidianità che ne consegue.

«Viene messa a dura prova davvero l’esistenza, bisogna accettare di convivere con qualcosa da cui non si può guarire e che delineerà inevitabilmente nuovi equilibri, distruggendo qualsiasi tipo di certezza», spiega.

Da istruttrice di fitness in palestra, Giorgia decide così di trasformare la sua professione diventando una personal trainer a domicilio, in modo da coniugare le cure con la vita da mamma. Il tutto combattendo contro uno stereotipo molto ricorrente: quello che la disabilità sia tale solo se visibile. «Sono stati anni di forte incomprensione. Dato il mio aspetto fisico non sono stata riconosciuta nel mio dolore e nella mia paura verso il futuro», prosegue Giorgia. «Lavorare e dedicarmi allo sport sono stati fondamentali per preservare la mia identità in un momento così delicato da elaborare. L’idea di non poter guarire mai è qualcosa che lentamente ti scava dentro e se non lo curi con amore e gentilezza rischia di sopraffarti».

Oggi Giorgia - riconosciuta invalida al 70% - è riuscita a trovare la forza per raccontare il suo percorso su Instagram, dove diffonde informazioni sulla stomia, condizione ancora molto poco conosciuta e stigmatizzata. «Di feci e urine nel 2022 si fatica ancora a parlare in pubblico, per questo ho creato anche un brand - che vuole essere anche un movimento - per ricoprire questo dispositivo medico e renderlo più femminile e piacevole. Ci sto lavorando e spero che a breve possa essere fruibile a livello europeo». Da qui nasce FreedaPouch, marchio che vuole sensibilizzare sulla stomia stravolgendo il concetto di disabilità.

Per il suo impegno e la sua attività nel campo della divulgazione, Giorgia è tra le finaliste del Premio Donna dell’Anno 2022, che verrà riconosciuto il 4 febbraio. Abbiamo intervistato Giorgia per chiederle di raccontarci meglio le sue sfide, il suo pensiero e la sua voglia di dimostrare che sì, anche con una disabilità si può essere sexy.

Come affermi anche tu, esistono ancora molti stereotipi legati alla disabilità. Ci puoi parlare del tuo percorso nel riconoscere e accogliere la tua invalidità e qual è stata la reazione delle persone attorno a te? Hai percepito discriminazioni?

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Ho scoperto di essere malata nel 2014, avevo 30 anni e una diagnosi di rettocolite ulcerosa, malattia infiammatoria cronica intestinale che colpisce l’intestino. Come tutte le patologie autoimmuni non ha guarigione ma soltanto la possibilità di andare in remissione. Quindi per ben 7 anni ho seguito innumerevoli terapie per bocca, topiche ed endovenose mixate a dosi massicce di cortisone. Purtroppo si trattava di un percorso emotivamente destabilizzante e fisicamente distruttivo. Seppure il mio corpo s’indebolisse - avevo frequenti infezioni, la mia pelle era diventata delicata e perdevo i capelli - nessuno realizzava quanto soffrissi. Questo perché i sintomi erano a intermittenza, quindi potevo permettermi un giorno sì e uno no di avere una vita “quasi” normale. In realtà magari mi trovavo in bagno a perdere sangue copiosamente anche 20 volte in una giornata e poi mi rimettevo a lavoro, o andavo a prendere mio figlio a scuola. Ero semplicemente devastata.

Paradossalmente le delusioni più grandi che ho patito durante la malattia, e che poi subìto dopo l’intervento, le ho ricevute proprio da chi mi stava più vicino. Non mi sarei mai immaginata che qualcuno potesse mettere davanti il proprio egoismo e la propria presunzione alla mia sofferenza.

Vivendo un evento così traumatico, come quello di risvegliarsi con un corpo mutilato e con un iter da affrontare delicato anche mentalmente, l’ultima cosa che avrei voluto affrontare era la cattiveria e l’ignoranza di alcune persone. Le stesse che hanno sempre minimizzato la mia malattia perché non “vedevano” le mie problematiche

Sembra quasi che l’invisibilità di una malattia azzeri la capacità di empatizzare con essa, annullando la compassione e la capacità di riconoscere la sofferenza altrui. Da cosa dipende, secondo te?

Siamo abituati a riconoscere l’handicap solo se ne vediamo le conseguenze, solo sei stai in un letto immobile, su una carrozzina o se fai le chemio. Ma non è così

Bisogna essere più aperti e pensare anche che queste malattie colpiscono senza darti preavviso, senza darti il tempo di elaborare un lutto che è quello della persona che eri prima di ammalarti. Muori e rinasci. Ci vuole tempo, equilibrio e la cura personale per educarsi a una nuova condizione in cui devi riconoscerti fragile.

Sono una madre e ho delle responsabilità nei confronti di un figlio. Non c’è più spazio per chi mi manca di rispetto e non dà importanza alle mie paure calpestando la mia resilienza.

Alla fine, se sei coraggiosa, puoi trasformare il dolore in una fase di riflessione dove prendere le distanze da credenze o persone può rivelarsi il cambiamento positivo di cui avevi bisogno da tempo

Giorgia in uno scatto di Settimio Benedusi
Giorgia in uno scatto di Settimio Benedusi

In che modo hai cambiato concretamente la tua vita, modellandola attorno alla tua nuova situazione?

Aver rischiato di perdere la vita mi ha messa di fronte a un altro scenario della mia esistenza. Ho annusato per un attimo la morte, ero arrivata alla condizione più estrema e irreversibile della malattia e questo mi ha obbligata a mollare la presa per salvarmi.

Molte volte pensiamo che a trattenere, a resistere e a forzare, ci dimostriamo capaci di tutto, invece è proprio quando lasciamo andare che cogliamo la vera essenza di ogni cosa

L’intervento che ho subìto mi ha dato l’opportunità di risvegliarmi, di rivedere certi rapporti che pensavo consolidati. Mi sono data la possibilità di rimettermi al centro senza sensi di colpa, senza autogiudicarmi. Essere madre, moglie, lavoratrice… troppo spesso ti fa mettere da parte la tua identità e questo provoca la totale disconnessione dal tuo essere.

Come sei arrivata all’idea di raccontare la tua storia sui social?

Mi sono sentita profondamente sola, fragile e impaurita. Ho provato tanta vergogna, mi sono sentita inadatta e mutilata. Era inaccettabile per me mostrarmi con questo dispositivo sulla pancia pubblicamente.

Mi sono fatta forza nel pubblicare qualche storia su Instagram per spiegare cosa mi fosse accaduto, dando importanza a tutte quelle persone che mi erano state vicine davvero tramite un social

Persone sconosciute, amici lontani, clienti: questo mi ha dato la possibilità di avvicinare anche una serie di pazienti che hanno vissuto o vivono con malattie croniche intestinali come la mia. Ho ascoltato le loro storie, comprendendo il filo sottile che ci lega tutti: l’impotenza.

Così, anziché farmi schiacciare da questa ingiustizia così grande, le ho dato potere. Ma questa volta non per farmi del male, l’ho usata con l’unico scopo di unire e dare voce a una minoranza che poi tale non è. Le persone avevano la necessità di uscire allo scoperto e con me si sono sentite libere di mostrarsi finalmente e condividere la loro esperienza.

Perché, secondo te, serve fare divulgazione senza cadere nella spettacolarizzazione di patologie come la rettocolite ulcerosa e della stomia? E quale può essere il modo giusto per farlo?

Trovo che recitare i sintomi della nostra patologia o mostrare ogni giorno come si cambia il sacchetto di raccolta non sia una strategia efficace. Trovo sia corretto cercare le parole giuste per spiegare determinati argomenti e farlo senza appesantire troppo. I social sono canali d’informazione, d’intrattenimento e di svago, ed è bello lanciare un messaggio positivo senza assillare le persone sul tema. Si può spiegare che oltre alla malattia che attraversiamo o al dispositivo medico che indossiamo, esistiamo come esseri umani e con i medesimi bisogni. Questa è la mia visione ed è quello che propongo sui mie canali: non gira tutto intorno al mio handicap, è lui che si adatta a me. E io sono anche altro!

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Cos'è la stomia e cosa comporta esattamente?

La stomia è un'apertura creata chirurgicamente sull'addome per consentire la fuoriuscita degli effluenti nel caso in cui, a causa di un tumore, di una malattia infiammatoria cronica intestinale o di un trauma, sia stato necessario rimuovere, il colon, un tratto di intestino o dell'apparato urinario.

Vivere con la stomia comporta adoperare una sacca di raccolta, adesa al proprio addome per contenere gli effluenti

Nel mio caso mi hanno rimosso definitivamente il colon (intestino crasso) e mi hanno confezionato una ileostomia terminale (un pezzo del mio intestino tenue fuoriesce dalla mia pancia) per consentire alle feci di uscire. Ora sono in attesa di altri due interventi in cui mi verrà anche rimosso il retto.

Ci racconti del tuo brand FreeDaPouch?

FreeDaPouch è un gioco di parole: FREE come “sentiti liber*” ma anche FREEDA che ricorda l’iconica Frida Kahlo, DA in slang americano e POUCH che è il termine scientifico ad indicare la sacchetta, quindi: “libera la pouch! Mettila in mostra!”

Questo progetto nasce con l’intento di realizzare dei coprisacchetto esclusivi per donne stomizzate, un accessorio lingerie inclusivo capace di rendere unico un dispositivo medico davvero poco attraente e troppo vicino alle parti intime

Io per prima ho sentito l’esigenza di coprirlo e di giocare sui colori e sulla femminilità per sentirmi a mio agio in qualsiasi situazione. Ma FreeDa Pouch vuole anche essere un movimento di bellezza che sensibilizzi sulla tematica della stomia e che non lasci nessuna donna in silenzio davanti a questo trauma.

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Come vorresti cambiare il concetto comune di disabilità?

La disabilità è negli occhi di guarda, è nelle menti di coloro incapaci di andare oltre ad un’immagine.

Se mi guardo allo specchio vedo una donna che, nonostante un’invalidità importante e con un percorso clinico ancora in fase di demolizione, ha il bisogno di sentirsi utile, forte, bella e desiderata come tutti

Per questo per me è fondamentale promuovere il concetto che nonostante la stomia posso continuare a essere un’imprenditrice, posso fare sport ed essere un buon esempio per chi ha perso le speranze. I miei momenti bui o le lamentele preferisco non condividerle. Non voglio riconoscermi solo come una donna con un handicap, voglio poter dare un senso positivo alla disabilità. Sono viva grazie a questo e voglio poter affermare che se vogliamo possiamo essere tutto ciò che desideriamo in qualsiasi situazione.

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