Chi è Irena Sendler, l’infermiera che salvò 2.500 bambini ebrei dalla Shoah

26-01-2022
Per oltre 4 anni, le vite di migliaia di bambini ebrei sono state custodite all’interno di barattoli sigillati e sepolti sotto il melo del giardino della casa di Irena Sendler, infermiera polacca che salvò il futuro di una generazione intera. Solo nel 1999 un progetto scolastico oltreoceano ha reso nota la sua storia al mondo

Tra gli angeli che hanno scritto la storia della Seconda Guerra Mondiale, un posto d’onore è occupato da Irena Sendler, infermiera che salvò le vite di 2.500 bambini ebrei del ghetto di Varsavia dalla furia della Shoah. I loro ricordi rimasero custoditi all’interno di migliaia di barattoli di vetro interrati sotto il melo del giardino di casa sua.

Quei vasetti nascondevano i loro effetti personali, i loro riferimenti, quelli della famiglia di origine e quelli dei genitori adottivi ai quali venivano affidati temporaneamente per strapparli allo sterminio

Le imprese di Irena sono rimaste semisconosciute al mondo fino al 1999, anno in cui un progetto scolastico oltreoceano ha tolto loro il velo e dato il via a un programma di divulgazione culturale.

Chi era Irena Sendler: biografia e imprese

Irena Sendler nacque nel 1910 a Varsavia. Crebbe a Otwock, in Polonia. A 7 anni rimase orfana del padre Stanisław Krzyżanowski, uno dei pochi medici del luogo che forniva assistenza ai pazienti malati di tifo, causa della sua morte. Tra loro vi erano molti ebrei. Alla notizia del lutto, i leader della comunità giudaica si strinsero intorno al dolore della famiglia facendosi carico dell’istruzione di Irena. La giovane studiò letteratura polacca all'Università di Varsavia. Qui assistette alle prime violenze antisemite e si oppose al sistema dei banchi del ghetto per cui gli studenti ebrei erano obbligati a sedersi al margine sinistro delle aule, isolati. Irena protestò pubblicamente e il suo dissenso non passò inosservato: venne sospesa dall'Istituto per tre anni.

Nel 1939 i tedeschi invasero Varsavia. Irena soccorse gli ebrei, offrendo loro cibo e riparo. Nel 1940 venne eretto il ghetto di Varsavia: 450.000 giudei furono segregati. Irena usò le sue carte come assistente sociale polacca e i documenti di uno dei lavoratori del Dipartimento di malattie contagiose per entrare nel quartiere e per salvare i bambini rimasti orfani. La donna e alcuni aiutanti produssero oltre 3.000 carte false per aiutare le famiglie ebree.

Irena dirigeva la divisione bambini di Zegota, un gruppo clandestino polacco dedito alla tutela dei semiti, e aveva un progetto in mente: affidare temporaneamente i bambini ebrei del ghetto a famiglie adottive volontarie fino alla fine della guerra, con la promessa di ricongiungere il nucleo familiare d’origine

L’ostacolo più grande? La pianificazione dei disegni di fuga. La donna fece schermo della sua professione per nascondere i bambini sotto le barelle delle ambulanze, nelle cassette degli attrezzi, nelle valigie e nei sacchi. Scappavano attraverso le condotte fognarie o altri passaggi sotterranei, il tribunale o la chiesa. Per ridurre al minimo i rischi di essere scoperta, Irena addestrò un cane ad abbaiare al passaggio dei tedeschi. 

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Jolanta, nome in codice di Irena, venne arrestata il 20 ottobre 1943 e rinchiusa nella prigione di Piawiak, dove venne interrogata e torturata. Irena non si piegò nemmeno alle più dolorose sevizie. Non rivelò mai i segreti di Zegota e venne condannata a morte. Nel frattempo, l’associazione aveva corrotto il boia e Irena riuscì a fuggire. Il giorno dopo, la notizia della sua esecuzione era sulle affissioni. Irena latitò fino alla fine della guerra. Al suo termine, riprese in mano il suo progetto: iniziò la ricerca delle famiglie d’origine dei bambini che aveva tratto in salvo per poi scoprire che quasi tutti i genitori dei piccoli erano morti nel campo di sterminio di Treblinka.

Per oltre 4 anni, i ricordi di 2.500 bambini rimasero custoditi all’interno di migliaia di barattoli sigillati e sepolti sotto il melo del giardino della casa di Irena. Dentro vi erano i loro effetti personali, i loro dati, quelli delle famiglie di origine e quelli dei genitori adottivi. Il futuro di una generazione intera è stato salvato dal progetto di un’infermiera polacca la cui esistenza è stata dimenticata da decenni di storia.

“Life in a jar”, ovvero come il mondo ha conosciuto il progetto di Irena

Nonostante i riconoscimenti di Yad Vashem, l'Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, e il sostegno della Jewish Foundation for the Righteous, il mondo intero ha conosciuto le imprese di Irena solo a partire dal 1999. In occasione della Giornata nazionale della storia di quell’anno, un professore del Kansas mostrò a quattro alunne un breve ritaglio del numero di marzo 1994 di News and World Report, dal titolo: Irena Sendler ha salvato molti bambini e adulti dal ghetto di Varsavia nel 1942.

Il professore assegnò loro un compito: verificare che all’interno dell’articolo non vi fossero errori tipografici. Iniziò così una ricerca approfondita intorno alla figura di Irena Sendler che sfociò in “Life in a jar”, rappresentazione teatrale del progetto eroico di Irena Sendler giunta dal Nord America fino in Europa con il supporto di una community in continua crescita.

Megan Felt, una delle studentesse coinvolte, ha dedicato un Tedx al progetto di Irena, da lei ricordata come una eroina non celebrata.

Irena Sendler scoprì del progetto “Life in a jar” attraverso una lettera inviatagli dal gruppo di attori. Lo scambio costituisce oggi una miniera di informazioni sull’Olocausto condivise con università, società storiche e fondazioni ebraiche.

Nel 2007 Irena Sendler è stata candidata al Premio Nobel per la Pace e si è spenta il 12 maggio 2008 a Varsavia. La sua famiglia, molti dei bambini da lei salvati e la community di “Life in a jar” continuano ad alimentare la sua eredità attraverso spettacoli, interviste, viaggi culturali e interventi a scuola.

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