Giulia Blasi: “La body positivity? L’ennesima pressione a cui sono sottoposte le donne”
Attivista, scrittrice e giornalista, Giulia Blasi è soprattutto una promotrice del cambiamento, una motivatrice appassionata che incita alla riflessione e all'azione femminile e femminista. Lo fa attraverso i suoi libri - l'ultimo, Brutta. Storia di un corpo come tanti (Rizzoli) - ma anche attraverso conferenze, talk, seminari e programmi radiofonici. Tutto con un'ironia affilata, quasi feroce, che provoca, punzecchia, stimola pensieri e rivoluzioni necessarie.
Il suo saggio Manuale per ragazze rivoluzionarie. Perché il femminismo ci rende felici (2018, Rizzoli) ha contribuito a dare impulso al dibattito sul patriarcato in Italia, a scuotere le coscienze e ricordare che la parità di genere è ancora lontana. Un successo editoriale seguito da Rivoluzione Z. Diventare adulti migliori con il femminismo, (2020, Rizzoli), questa volta dedicato alla Generazione Z per stimolare curiosità e partecipazione nei più giovani. "Una delle cose che so fare meglio è motivare le persone a sporcarsi le mani e diventare parte attiva del cambiamento", dice. Sarà per questo che nel suo blog, ospitato da Altervista, si definisce una "fomentatrice".
L'abbiamo intervistata in occasione dell'uscita del suo nuovo libro Brutta, una raccolta di saggi brevi incentrati sui canoni estetici che accompagnano le donne sempre, dall'infanzia fino alla vecchiaia.
Com’è nato Brutta?
È nato da un monologo che ho portato all’evento Erosive. La differenza è erotica!, il controfestival organizzato nel settembre 2020 da Non Una di Meno a Verona parallelamente al Festival dell’Eros e della Bellezza, che aveva un cartellone quasi interamente maschile. Con grande tenacia e determinazione abbiamo deciso di organizzare una serie di incontri per dimostrare che anche le donne attraggono pubblico. Il risultato? Abbiamo riempito la piazza. Insieme a me c’erano Maura Gancitano, Michela Murgia, Chiara Valerio, Martina Dell’Ombra, Federica Cacciola, Vera Gheno. Una brigata consolidata insomma. Quando mi è stato chiesto di pensare a un discorso da portare in scena ho scelto un argomento che le donne non toccano mai: la bruttezza. Nessuna di noi ne parla, eppure pensiamo continuamente a evitare di esserlo. Col tempo ho capito che avevo ancora qualcosa dentro da dire, così mi sono allargata scrivendo un libro.
Ho scelto un argomento che le donne non toccano mai: la bruttezza
Nel libro dici: “Una donna nasce, cresce e passa tutta la vita a tenersi alla larga dall'essere identificata come ‘brutta’". È così per tutte?
Sì, è così per tutte: nell’affermarlo mi riferisco all’esperienza delle donne nate in un corpo femminile. Le donne trans incontrano altre esperienze di cui spetta a loro parlare. Noi donne lottiamo tutta la vita contro l’apparenza del nostro corpo, la sua forma, come viene percepito. E nessuna è esente da ciò, attraente o meno che sia. Forse si salvano solo le donne che vivono nelle campagne più remote, ma temo neanche loro. Il corpo è sempre una questione centrale nella vita di una donna. Se ci pensiamo, fin da quando veniamo al mondo la prima cosa che ci viene detta è “che bella bambina”.
Eppure ora c’è un grande movimento globale che ci invita ad accettarci come siamo…
Provo una repulsione istantanea per il concetto di body positivity, un movimento ormai inglobato al capitalismo che lo usa per venderci più prodotti possibili. È l’ennesimo dovere a cui siamo sottoposte, l’ennesima cosa che dobbiamo fare per stare bene: accettarci. Io penso che abbiamo anche il diritto di pensare meno al nostro corpo, ovvero di pensarlo in termini di sensazioni, di salute, di scoperta, non sempre e solo di apparenza. Il mio libro racconta tutto questo. Con Brutta non volevo mandare un messaggio di pacificazione con il mio corpo, volevo raccontare una pressione, un obbligo, una costante micro-violenza che ci viene fatta. Perché solo se vediamo queste cose possiamo iniziare a discuterne, a metterle in discussione. Se diamo per scontato che siamo noi il problema, che è colpa nostra se non siamo brave ad accettarci e ad amarci per come siamo, saremo schiave oltre che del culto della bellezza anche del dovere di amarci e di accettarci. Ed è un obbligo che abbiamo solo noi donne, perché gli uomini non hanno questo tipo di problema. Non stanno costantemente a preoccuparsi di essere attraenti. Noi invece non possiamo buttarci alle spalle il nostro aspetto semplicemente perché è il mondo a ricordarci quanto sia importante. Occupare spazio se non sei al 100% attraente è molto complicato: ci sarà sempre qualcuno che un giorno ti dirà: stai zitta cessa.
La body positivity è l’ennesimo dovere a cui siamo sottoposte, l’ennesima cosa che dobbiamo fare per stare bene: accettarci
E non è nemmeno semplice occupare spazio con l'avanzare dell'età...
Esatto. Il problema è che nella nostra società non esiste una collocazione della donna anziana saggia, e a ricordarcelo sono i media e la televisione. Proprio per questo sul tema della chirurgia estetica rimango molto neutra, perché capisco quanto sia complicato andare là fuori con la tua faccia che invecchia. Avrai sempre meno incarichi. Per l’uomo, invece, essere anziano e al contempo autorevole è una cosa possibile auspicabile. Sono poche le donne che possono esercitare autorevolezza. Spesso sono dei simboli, come Liliana Segre per esempio. Ma nessuna detiene il potere.
Ci sono però eccezioni come Angela Merkel...
L'hai detto, sono eccezioni che confermano la regola. E poi, detto sinceramente, non è che la Merkel abbiamo cambiato di molto le cose per le donne.
Molti brand, dalla moda al beauty, promuovono concetti di bellezza più inclusivi. È una falsa rivoluzione?
Fa sempre tutto parte del capitalismo. Da parte dei brand c’è sicuramente una maggiore consapevolezza e osservazione del reale, anche una buona fede se vogliamo, ma stringi stringi tutte queste attenzioni nei confronti della body positivity sono legate a logiche di commercio. In parte sono anche una cosa buona, perché è assurdo che le case di moda facciano solo abiti per le magre. È tutto così semplice e banale: c’era una fetta di mercato interamente scoperta e qualcuno si è accorto che anche le donne non magre avevano voglia di indossare vestiti belli. C’è da ricordare, però, che quando il mercato arriva su un tema sociale automaticamente lo spegne, uccidendo il dibattito pubblico. Perché se tu pensi di risolvere il tuo problema comprando qualcosa, il problema alla base – in questo caso l’obbligo della bellezza - rimane. Non dobbiamo pensare che le aziende stiano risolvendo un problema: stanno semplicemente andando incontro a una necessità che esiste. Le persone hanno diritto alla moda, alla frivolezza, a piacersi. Dovremmo poterci giocare ma avere al tempo stesso l’opzione di poterlo non fare.
Stringi stringi tutte queste attenzioni nei confronti della body positivity sono legate a logiche di commercio
Cosa può rimuovere il problema alla base secondo te?
Parlarne. Dobbiamo parlare di quest’obbligo della bellezza e dobbiamo smettere di parlare di abiti, prodotti e trucco nell’ottica di una valorizzazione. Come se il nostro corpo avesse bisogno di queste cose per valere qualcosa. Poi dovremmo anche cambiare il modo in cui parliamo di come prenderci cura di noi stesse. Ci sono tantissimi modi in cui mi prendo cura di me stessa e nessuna implica il fatto di dovermi truccare: leggo, mi faccio un bagno caldo, passo del tempo con i miei nipoti, mangio bene, faccio movimento, mi guardo un film, vado alle terme. Nessuna di queste cose ha a che fare con l’estetica. Posso fare tutto questo anche se sono spettinata.
E oltre a parlarne?
Agire. Tutte le persone che sperano che succeda qualcosa possono fare qualcosa. Ci sono moltissime cose che possiamo fare per cambiare le cose: entrare in contatto con un collettivo, iscriverci a un partito. Tutto può essere fatto. Una cosa che faccio molto volentieri è motivare le persone a sporcarsi le mani e diventare parte attiva del cambiamento.