Greta Manfrin nel suo laboratorio

Dalla medicina veterinaria al foraging, il sogno di Greta Manfrin diventa una start-up

Laureata in Italia, nove anni in Inghilterra, la 36enne ha deciso di tornare in patria per riprendere una tradizione di famiglia e coltivare una passione: la raccolta di erbe e piante spontanee per produrre bevande e alimenti fermentati

«Non è che il mio lavoro mi avesse stufata, lo considero sempre una missione. Però volevo mettermi alla prova, vedere se riuscivo a trasformare una passione in una professione». Greta Manfrin ha 36 anni, e ‘l’epifania’ è arrivata quando ne aveva 34, e cioè in un periodo in cui un’intera generazione ha ripensato a priorità, aspirazioni, aspettative e sogni: quello della pandemia di Covid-19.

Fresca di laurea in medicina veterinaria è partita per l'Inghilterra, dove doveva restare appena sei mesi: «Ho finito per passarci nove anni - racconta con un sorriso - ho fatto un master in medicina e chirurgia d’emergenza per i piccoli animali, ho girato moltissimo il Paese, ma avevo sempre con me la passione per la natura, la cucina e il foraging», ovvero la pratica che consiste nel raccogliere erbe, piante, funghi, bacche e fiori spontanei per mettere a punto ricette naturali.

Oggi Greta, grazie al supporto della Fondazione Garrone, ha avviato il suo business e iniziato a tracciare una nuova strada. Da Milano si è trasferita a Borgo Val di Taro per avviare con il suo compagno il progetto “Bollae - Fermentiamo emozioni”, laboratorio di produzione di alimenti e bevande fermentate di qualità gastronomica, quali kombucha, miso, insaporitori, conserve e lattofermentati, realizzati valorizzando la biodiversità dell’Appennino Parmense. Ci siamo fatti raccontare questo nuovo percorso direttamente da lei.

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Intervista a Greta Manfrin

Greta, partiamo dall’inizio: qual è stato il tuo percorso formativo e di vita?

Sono nata a cresciuta a San Donato Milanese, ho fatto l’università a Milano, mi sono laureata in Italia in medicina veterinaria, poi a 25 anni sono partita per l’Inghilterra. Qui ho girato parecchio, sono stata a Glasgow, Nottingham, Manchester, Liverpool, ho trascorso un periodo in Kent. In Inghilterra ho trascorso anche il lockdown, ed è stato il momento in cui ho avuto un po’ di ripensamenti sulla mia vita. Ho deciso di tornare in Italia e inseguire un altro sogno, che era quello della cucina.

Da dove sei partita per realizzarlo?

Ho frequentato l’Alma, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana, e mi sono diplomata in pasticceria cercando di cambiare completamente carriera. All’Alma ho incontrato il mio compagno, anche lui appassionato di cucina e foraging, e abbiamo messo in piedi l’azienda di oggi, dove io mi occupo praticamente di tutto. Lui è socio non lavoratore, anche se mi sta dando una grande mano per mettere a punto ricette e prodotti.

Greta Manfrin nel suo laboratorio

Qual è la filosofia della tua azienda?

Noi produciamo bevande fermentate e alimenti fermentati, come il kombucha, ma a partire dalla materia prima spontanea. L’azienda è a Borgo Val di Taro, anche se al momento stiamo a Colorno, dove ha sede l’Alma, visto che lui lavora ancora lì. Io faccio la pendolare con Borgo Val di Taro, l’idea è poi quella di avere in futuro terreni e un’azienda agricola. Per la raccolta ci appoggiamo ad aziende agricole locali.

Un cambiamento drastico rispetto al tuo percorso professionale. Che cosa ti ha spinta a prendere questa “virata”? 

Essere medico veterinario resta una missione, ma avevo più sogni nel cassetto, aspiravo a fare anche altro nella vita, e ho deciso di provare a buttarmi per capire se il mondo della cucina era una strada percorribile. I miei nonni e mia mamma hanno sempre raccolto erbe, e ho sempre cercato di integrarle in cucina, anche da sola, quando ero in Inghilterra. La mia scelta è dipesa un po’ dal desiderio di riprendere tradizioni passate e un po’ dalla mia indole. Mi piace stare a contatto con la natura e vedere cosa offre, ora sto facendo un corso per diventare micologa, cerco continuamente di apprendere ed evolvere. 

Nel 2023 hai vinto il primo premio del campus ReStartApp, incubatore per il rilancio del territorio appenninico italiano promosso da Fondazione Edoardo Garrone in collaborazione con Fondazione Compagnia di San Paolo, ricevendo i fondi necessari ad avviare il tuo progetto. A che punto è oggi?

Oggi i prodotti sono in produzione, ma saranno in vendita a partire da gennaio-febbraio. Il tempo di affinamento è piuttosto lungo, ho iniziato a produrre nei primi giorni di settembre. Avremo un sito, ma inizialmente venderemo a ristoranti e alta cucina. Non perché vogliamo essere elitari, ma il mondo dell’alta cucina è curioso e disposto a sperimentare, è più facile per loro pensare di proporre una bevanda fermentata in abbinamento a un particolare piatto. Partiamo prima con i ristoratori, e poi vedremo dove arriveremo. 

Un punto di arrivo o un punto di partenza?

Sicuramente di partenza. L’idea iniziale, che sarà poi quella finale cui arrivare, è avere un’azienda agricola, fare un po’ di ospitalità e ristorazione con materia prima spontanea e fare anche cultura a riguardo, far conoscere la biodiversità del territorio, far capire che è possibile trovare tesori solo facendo una passeggiata, divulgare facendo ciò che mi piace fare.

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