Perché Ilaria Cucchi ha cambiato il nostro modo di rapportarci con gli abusi di potere
C’è un prima e un dopo Ilaria Cucchi, inutile negarlo. Forse non sembrava essere così in quegli anni durissimi e aspri tra tribunali e processi, un’opinione pubblica non sempre favorevole e l’ostilità di una certa politica che da anni ci ripete la storia che il colpevole è sempre il diverso, l’emarginato, l’ultimo, anche se viene ammazzato di botte dalle forze dell’ordine mentre si trova in custodia cautelare.
Ecco, in quegli anni, mentre li vivevamo, non ci stavamo realmente rendendo conto di quanto la vicenda di Ilaria Cucchi sarebbe stata per il nostro Paese un punto di non ritorno. Non ci accorgevamo che quei lunghissimi anni di lotte e sofferenze avrebbero rappresentato per noi un importantissimo spartiacque. Oggi, però, a distanza di dodici anni, questa consapevolezza appare chiara e fortissima, e possiamo dirlo perché oggi gli abusi di potere sappiamo riconoscerli, anche grazia a Ilaria Cucchi.
Riconoscere l'abuso di autorità
Una consapevolezza che ci è parsa chiara e lampante, come una rivelazione potente quasi da fare male, lo scorso 21 luglio, quando l’assessore alla sicurezza Massimo Adriatici, oggi in libertà, ha ucciso a Voghera con un colpo di pistola Youns El Boussettaoui, un marocchino con cittadinanza italiana di 39 anni che da tempo soffriva di problemi psichici. Una storia simile, diversa nei fatti, che ci ha riportato subito alla tragedia di Stefano Cucchi. Un ultimo, un emarginato, un diverso ucciso nuovamente da un abuso di autorità.
In quell’occasione, come accadde nell’ottobre 2009, una donna si è ritrovata a piangere il fratello morto ingiustamente e ad iniziare una lotta per la ricerca della giustizia. Bahija El Boussettaoui, sorella di Youns, si è ritrovata così a raccogliere suo malgrado l’eredità di Ilaria, che, sorella nel dolore, le ha teso una mano.
"Cara Ilaria, quando ho rivisto mio fratello Youns in ospedale, con il corpo tagliato e ricucito dopo quell’autopsia di cui nessuno ci aveva avvertito, ho subito pensato a te che mostravi il corpo di Stefano massacrato di botte fino a morire. Quanto coraggio hai avuto. Youns era malato, difficile, scappava dagli ospedali, ma era un uomo buono, disarmato ed è stato assassinato. Ho subito capito che solo tu avresti potuto aiutarci", le scrisse Bahija El Boussettaoui. E così rispose Ilaria: "Insieme avremo giustizia per i nostri fratelli. Mi rivedo in te. Oggi io e te siamo sorelle“.
Quando ho rivisto mio fratello Youns in ospedale, con il corpo tagliato e ricucito dopo quell’autopsia di cui nessuno ci aveva avvertito, ho subito pensato a te che mostravi il corpo di Stefano massacrato di botte fino a morire
È stato proprio in quel momento che ciò di cui non eravamo pienamente consapevoli ci è parso chiaro, d’improvviso. E ci ha fatti tornare a quel giorno di ottobre 2009, quando Ilaria mostrava la foto del fratello Stefano, massacrato di botte fino a morire.
Ci sono voluti dodici anni e tre processi, l’ultimo dei quali ancora in corso, per arrivare alla verità che ha portato alla condanna a tredici anni per omicidio preterintenzionale dei due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, a quattro anni per falso per il carabiniere Roberto Mandolini e, per lo stesso reato, a due anni e mezzo per Francesco Tedesco, il militare che durante il processo di primo grado con le sue dichiarazioni ha fatto luce sul pestaggio avvenuto nella caserma Casilina di Roma, la notte dell’arresto, il 15 ottobre 2009. Stefano morirà sette giorni dopo, il 22 ottobre, nel reparto detenuti dell'ospedale Pertini di Roma, mentre era sottoposto a custodia cautelare.
Dodici anni di battaglie legali e mediatiche, di omertà e depistaggi, di insulti e campagne d’odio, che la famiglia Cucchi, sempre rappresentata dalla forza e la figura di Ilaria, ha vissuto con dignità e tenacia con l’unico scopo di arrivare alla verità. Ed è stato questo incessante impegno, questa strenua e commovente resistenza, questa lotta logorante e senza fine di una sorella per la morte ingiusta del fratello che più di ogni altra cosa ha raccontato all’Italia il mondo sommerso degli abusi di potere, e le devastanti e atroci sofferenze spesso consumate nel silenzio di chi viene abbandonato a se stesso, perché considerato un ultimo, un emarginato, un rifiuto della società.
Gli altri casi simili all'omicidio di Stefano Cucchi
Prima di Stefano, ci sono stati Federico Aldrovandi, ucciso a Ferrara da quattro poliziotti la sera del 25 settembre 2005, Giuseppe Uva, morto in ospedale a Varese nel giugno 2008, dopo essere stato arrestato da due carabinieri, in conseguenza del successivo trattamento sanitario obbligatorio, e chissà quanti altri.
Ilaria Cucchi, lottando per dare giustizia al fratello, ha ridato dignità anche alle loro storie, a tutte le vittime sommerse e silenziose degli abusi di potere, contribuendo a fare luce sui reati di tortura e compiendo passi concreti in direzione di un reale rispetto dei diritti civili.
Il ruolo di Ilaria Cucchi e l’eredità che ci ha "lasciato"
E allora risulta chiaro il motivo per cui oggi possiamo dire con certezza e senza esitazioni che c’è un prima e un dopo Ilaria Cucchi. Senza la sua storia, il suo impegno e la sua lotta oggi avremmo di fronte a noi uno scenario diverso, e vicende come quelle di Youns El Boussettaoui sarebbe state lette e vissute in modo differente, tutt’altro che consapevole, non ricevendo la giusta attenzione per ciò che realmente rappresentano: un abuso di potere.
Il merito di Ilaria Cucchi, oltre ad aver reso giustizia al fratello Stefano, è quello di avere contribuito a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione degli abusi di potere: in definitiva una donna sola, all’apparenza fragile e indifesa, è stata in grado con la sua dignità e tenacia di sollevare il velo da certe dinamiche nascoste, permettendo a normali cittadini lontani anni luce da quegli ambienti, di vederle.
Il suo impegno si è esteso oltre la sua vicenda personale ed è proseguito, e prosegue tuttora, nella lotta per il rispetto dei diritti civili e umani: nel 2012 ha fondato l’Associazione Federico Aldrovandi - Le loro voci insieme a Patrizia Moretti, madre di Federico, Lucia Uva, sorella di Giuseppe, e Domenica Ferrulli, madre di Michele Ferrulli, morto nel 2011 in circostanze assimilabili a quelle di Stefano.
Nel 2016 ha fondato l’Associazione Stefano Cucchi, che si occupa di diritti umani e fa parte della rete di associazioni a supporto di Amnesty International, e tramite questa si è fatta promotrice di alcune proposte sul tema del rispetto dei diritti civili, tra cui l’introduzione del reato di tortura, la cui assenza nell’ordinamento italiano è fonte di continue sanzioni economiche da parte dell’Unione Europea, creando così un forte dibattito e sensibilizzando l’opinione pubblica su tematiche che difficilmente potrebbero essere alla portata di tutti, rischiando di rimanere confinate alle discussioni tra giuristi.
Anche alla luce di tutto questo, viene spontaneo e lecito chiedersi cosa sarebbe stato se non avessimo avuto Ilaria Cucchi. Sicuramente, non saremmo dove siamo oggi.