L’infanzia di H., insegnante di Kabul che affronta i divieti dei Talebani
Mi chiamo H., ho 26 anni, sono nata in una provincia occidentale dell’Afghanistan. Oggi vivo a Kabul e non posso dire il mio nome e dare molti dettagli della mia vita presente e passata perché potrei essere arrestata e uccisa. Sono un’insegnante e ho lottato molto nella mia vita per diventarlo. Da quando nell’agosto scorso i Talebani hanno ripreso il potere nel mio paese, dopo 20 anni di tregua, sono costretta a insegnare in scuole clandestine.
Questa che leggerete di seguito è la mia storia. Ed è la storia di tante donne che negli ultimi anni hanno visto una speranza e un futuro migliore rispetto a quello delle generazioni precedenti e che oggi, come me e come le generazioni precedenti, si trovano ad affrontare uno dei periodi più bui della storia. Loro, come me, non smettono di resistere e sperare in un futuro di libertà.
Ricordi d'infanzia
Sono nata nel 1996, secondo il vostro calendario. Ho quattro fratelli e una sorella. Sono tutti sposati tranne me e mio fratello più piccolo. I ricordi della mia infanzia sono tanti.
VEDI ANCHE CultureAfghanistan: la lotta di H. per continuare a insegnare alle donneSono nata nell’anno in cui i Talebani hanno istituito quello che chiamano l’Emirato islamico. Quello annunciato la scorsa estate è una sorta di secondo Emirato, anche se i Talebani sono gli stessi
Del 1996 non ricordo nulla, ma ricordo qualcosa degli anni successivi, del clima nero che c’era. Ma ho anche ricordi belli. C’è in particolare un episodio della mia infanzia che mi dà forza, anche nei momenti duri. È stato un atto di ribellione: avrò avuto 7, forse 8 anni, ed ero con uno dei miei fratelli. I miei genitori avevano dato il permesso di usare la bicicletta solo a lui. Alle bambine non era consentito. Era una cosa sconveniente, una cosa da “cattive ragazze”, si pensava. Quando usciva, io però andavo con mio fratello o lo seguivo. Poi, raggiunta una certa distanza da casa, lo prendevo e gli dicevo: “Ora scendi e dammi la bici!”. La prendevo e cominciavo a usarla io, a pedalare. Quelle corse mi hanno sempre dato un’enorme energia. Vale ancora oggi, quando riaffiora il ricordo.
In famiglia, sono stata fortunata: ho avuto e ho dei buoni rapporti con tutti. Ma devo ammettere che il rapporto con uno dei miei fratelli più grandi è particolare. Non è solo un fratello, ma un amico
Mi ha sempre sostenuta, in tutte le mie scelte. Per esempio, quando dovevo seguire dei seminari, quando c’erano degli incontri a cui ero interessata, i miei genitori tendevano a dire di no, mi sconsigliavano di andarci, tiravano sempre fuori le ragioni di sicurezza. Poi lui interveniva, mediava, li convinceva che sarebbe stato importante per me, trovava il modo per farmici andare.
A dirla tutta, senza il suo sostegno non avrei potuto trasferirmi qui a Kabul
I miei genitori non sono contrari alle cose che faccio, e sanno che se provassero a pormi troppi limiti io resisterei. Gli sono grata per il modo in cui mi hanno cresciuta, nonostante i problemi.
Il periodo della mia infanzia è stato infatti particolarmente difficile per la mia famiglia. Dal 1996 al 2001 c’è stato l’Emirato dei Talebani, poi rovesciato militarmente. La situazione era molto complicata. E complicati, crescendo, sono stati anche i rapporti con i miei genitori.
Da adolescente, non sapevo molte cose e mi illudevo di conoscerle, e i miei genitori avevano idee diverse dalle mie. Ma mi hanno sempre aiutato a capire le cose, a trovare la strada giusta
Abbiamo affrontato molti problemi economici, ma non sono mai stati un ostacolo alla mia istruzione. I miei genitori non mi hanno mai fatto mancare nulla, facendo molti sacrifici. Mio padre ha fatto per un po’ di tempo l’autista, poi ha perso il lavoro e si è messo a fare il lavoratore indipendente, a giornata. Per un certo periodo ha fatto il guardiano. Ora è senza lavoro. E troppi sono come lui, disoccupati: uomini e donne.
A cura di Giuliano Battiston. Un progetto editoriale di Mondadori in collaborazione con la campagna "Emergenza Afghanistan" di COSPE.