Tra primati, diritti e ambiguità: la storia di Kamala Harris, possibile prima donna presidente degli Stati Uniti
Un percorso, biografico e politico, diviso tra le sue convinzioni politiche di ex procuratrice e la sua identità di donna nera capace di abbattere i pregiudizi e ribaltare gli stereotipi: la storia di Kamala Harris è costellata di prime volte. Prima vicepresidente donna. Prima vicepresidente asio-americana. E, se la sua candidatura sarà confermata e il risultato elettorale lo deciderà, prima Presidente nella storia degli Stati Uniti d'America. Dietro i primati, la sua storia: più complessa delle “prime volte” che occupano il racconto e che comincia proprio dalla radice materna. Shyamala Gopalan, una donna che nel 1958, a 19 anni, lascia l’India per gli Stati Uniti diventando una delle prime indiane a iscriversi all’università della California a Berkeley.
Una storia di primati, a partire dalla radice materna
«Potresti essere la prima. Ma assicurati intanto di non essere l’ultima». Lo slogan che ama ripetere Kamala Harris è una frase che le diceva sua madre da bambina. Shyamala Gopalan arriva dall’India negli Stati Uniti nel 1958, un’epoca in cui le leggi sull’immigrazione imponevano quote rigide agli ingressi dall’Asia.
Gli indiani a cui era consentito trasferirsi nel paese erano al massimo cento all’anno e Gopalan diventò una dei dodicimila indiani che ci vivevano: la maggior parte erano uomini. Gopalan partecipò alle proteste contro la guerra nel Vietnam e cominciò a leggere le opere di scrittori neri come W.E.B. Du Bois e Ralph Ellison. Nel 1963 si sottrasse alla tradizione del matrimonio combinato e sposò Donald Harris, un dottorando di Berkeley proveniente dalla Giamaica, anche lui attivo nel movimento per i diritti civili. Ebbero due figlie, Kamala (che vuol dire “fior di loto” in sanscrito) e Maya.
La storia familiare di Harris è particolarmente importante perché, fin da ragazza, ha cercato di tenere insieme l’attivismo progressista con l’ambizione di fare strada nel mondo della giustizia: un equilibrio complesso che poi sarebbe stato alla base di molte ambiguità e critiche nei suoi confronti
Tra attivismo e giustizia, le ambiguità
Dopo essersi diplomata in Canada, Harris si iscrive alla Howard University di Washington, un ateneo frequentato soprattutto da afroamericani. Poi ha frequentato la facoltà di legge di Hastings, in California.
Si laurea in legge nel 1989, e comincia un’eccezionale carriera come procuratrice attraverso cui approderà a quella politica
La carriera politica di Harris spicca il volo nel 2002, quando viene eletta procuratrice distrettuale di San Francisco, sconfiggendo il procuratore in carica Terence Hallinan. È la prima donna e la prima persona nera a ottenere l’incarico. Rieletta nel 2007, rimane in carica fino al 2011. Nel 2010 viene eletta procuratrice generale della California e rieletta ancora nel 2014. Due anni dopo, nel 2016, si candida alle elezioni per il Senato per prendere il posto di Barbara Boxer, che aveva intanto annunciato il su ritiro dopo 24 anni di onorata carriera. Un altro traguardo Harris lo segna sconfiggendo Loretta Sanchez con il 62,5% dei voti, nelle prime elezioni senatoriali della storia della California a cui non hanno partecipato candidati repubblicani. Così diventa la prima afro-asioamericana a essere eletta al Senato.
L’identità di Harris si lega fortemente al suo ruolo giudiziario, in cui si era mostrata piuttosto dura nei confronti del crimine: la sua reputazione da procuratrice era quella di persona dura e implacabile, decisa nell’ottenere pene severe contro i crimini che generano maggiore allarme sociale
Lo dimostra il libro Smart on Crime (“Intelligenti contro il crimine”), pubblicato da Harris nel 2009 in vista della sua campagna elettorale da procuratrice generale della California: nel testo Harris sottolinea positivamente il fatto di aver triplicato il numero di condannati inviati nelle prigioni dello stato e di aver aumentato notevolmente il tasso di condanne contro gli spacciatori di droga.
Ma, se l’obiettivo iniziale era quello di presentare Harris come una persona capace di equilibrio tra giustizia e sicurezza, il risultato è il ritratto di magistrata intransigente. Un’immagine che, la stessa Harris, ha dovuto rimodulare per la sua campagna elettorale per il Senato nel 2015 e per la presidenza nel 2019. La situazione politica, infatti, era molto diversa: in un momento in cui il movimento contro le violenze razziali della polizia Black Lives Matter acquisiva sempre più forza, la durezza e l’intransigenza contro il crimine non era un vantaggio. Inoltre, la parte più a sinistra del Partito Democratico sosteneva che fosse necessario tagliare i fondi alla polizia.
È da questo momento che Kamala Harris fa evolvere il suo messaggio. Ovvero quello attuale e predominante: più focalizzato sui diritti e sulle “prime volte”, meno sulla sua carriera da procuratrice
Le sue posizioni politiche
«What can be, unburdened by what has been» («Quello che può essere, liberato da quello che è stato») è uno dei suoi slogan più utilizzati da Kamala Harris durante i discorsi ufficiali. Ma quali sono le sue posizioni sui grandi temi?
«La storia ne è testimone. Se restiamo a guardare mentre un aggressore invade il suo vicino impunemente, continuerà ad andare avanti. Nel caso di Putin, ciò significa che tutta l'Europa sarebbe minacciata. Se non riusciamo a imporre gravi conseguenze alla Russia, altri leader autoritari in tutto il mondo ne saranno incoraggiati», ha detto in passato Harris parlando della guerra lanciata dalla Russia contro l’Ucraina, verso cui la vicepresidente ha mostrato di essere favorevole all’invio di armi.
Harris si è spesso mostrata critica anche nei confronti di Israele: «Siamo stati molto chiari sul fatto che troppi palestinesi innocenti sono stati uccisi. Siamo stati molto chiari sul fatto che Israele, il popolo israeliano e i palestinesi hanno diritto alla stessa dose di sicurezza e dignità», ha detto, indicando come soluzione quella dei "due popoli, due Stati". In alcune occasioni ha rimarcato la necessità di "eliminare Hamas", in altre ha chiuso all'ipotesi di trasferire i palestinesi di Gaza verso altri territori.
Ambiente e immigrazione
Su clima e ambiente, insieme ad Alexandria Ocasio-Cortez, Harris ha introdotto il Climate Equity Act, che ha come obiettivo la creazione di un ufficio per la responsabilità di giustizia ambientale e climatica alla Casa Bianca. Alla Cop28 di Dubai si era scagliata contro i "leader che negano la scienza del clima" e contribuiscono alla disinformazione sul tema. Grande cavallo di battaglia di Harris è quello per il diritto all’aborto. Proprio all'inizio del 2024, Harris è stata il primo vicepresidente o presidente a visitare un centro specializzato in aborti durante un tour per le libertà riproduttive: «Fondamentalmente, su questo tema, si tratta di libertà. E ogni persona di qualsiasi genere dovrebbe capire che se una libertà così fondamentale come il diritto di prendere decisioni sul proprio corpo può essere persa, bisogna essere consapevoli di quali altre libertà potrebbero essere in gioco», ha detto la vicepresidente.
Nota particolarmente dolente per Harris riguarda le politiche sull’immigrazione al confine tra Stati Uniti e Messico. Nel giugno 2021, per convincere i migranti a fermarsi, aveva detto: «non venite negli Usa. Chi verrà, sarà rimandato indietro. Continueremo a rafforzare le nostre leggi e mettere in sicurezza la nostra frontiera». Appena nominata responsabile del complicato dossier, Harris non sarebbe poi andata tempestivamente sul confine per capire da vicino che cosa succedeva e raccogliendo diverse critiche. E anche i vari incontri con i leader dei Paesi dell'America Centrale, come Guatemala, El Salvador e Honduras, per affrontare le cause profonde della migrazione, non hanno prodotto risultati significativi sui flussi.
La riforma della giustizia penale, tema caro a Harris per il suo passato da procuratrice, nel suo mandato ha fatto pochi progressi. Le sue proposte per la depenalizzazione della marijuana a livello federale hanno generato dibattito, ma poca azione concreta. In politica estera, Harris ha invece assunto un ruolo più visibile: i suoi viaggi diplomatici e gli incontri con leader mondiali hanno cercato di rafforzare l'immagine degli Stati Uniti sulla scena internazionale, con un focus particolare sui diritti umani e la cooperazione economica.
L’endorsement (anche social) per Kamala Harris
Kamala Harris sta incassando il sostegno dei delegati della convention, degli altri leader di partito e dei donatori.
Dal giorno dell’annuncio della sua corsa alla presidenza a oggi, Kamala Harris ha raccolto 100 milioni di dollari dai donatori
A dare la notizia è lo staff della vicepresidente, che ci tiene a specificare come l’ingente somma non arrivi solo dai cosiddetti big dollar donor, ovvero i grandi finanziatori del Partito democratico, ma anche da semplici cittadini e cittadine che attraverso le piattaforme online di raccolta fondi hanno deciso di finanziare la campagna elettorale targata Harris.
Oltre a questo, Harris sta già cavalcando la sua prima wave sui social, in quella che è stata ribattezzata la coconut tree summer, l’estate dell’albero di cocco. Tutto parte da un video dello scorso anno tornato virale in questi giorni: citando una frase che le diceva spesso la madre, durante un evento alla Casa Bianca, Harris aveva detto: «Non so cosa c'è di sbagliato con voi giovani. Pensate di essere caduti dall'albero di cocco?». Il senso, aveva spiegato, è che «esistiamo nello stesso contesto in cui viviamo e in quello che è venuto prima di noi».
Sui social ha iniziato a circolare un remix con la frase di Harris insieme alle canzoni dell'ultimo album di Charlie XCX.
La stessa cantante aveva scritto postato su X: «kamala IS brat», riprendendo l’omonimo album pubblicato. L’endorsement musicale della cantante pop ha avuto l’effetto di riversare sulla vice-presidente lo stesso successo.
Così le piattaforme hanno visto il moltiplicarsi vorticoso del video virale e di immagini di noci di cocco, in segno di supporto a Harris.
Non solo: il senatore delle Hawaii, Brian Shatz, ha postato su X una foto che lo immortala in arrampicata su una palma di cocco. Poi il governatore del Colorado Jared Polis ha firmato il suo messaggio di endorsement alla vicepresidente con gli emoji di un cocco, della pianta e della bandiera a stelle e strisce.
L’account su X della campagna elettorale di Biden, che domenica ha cambiato prontamente il proprio nome da “Biden HQ” a “Kamala HQ”, ne ha approfittato per cambiare la propria immagine di sfondo facendone una uguale alla copertina dell’album di Charli XCX. Nello spazio dedicato alle informazioni sul profilo invece è stato messo un riferimento al video sul coconut tree: «forniamo contesto». Il segno che, anche sui social, la corsa per la presidenza è già entrata nel vivo.