Karima DueG: sul black feminism e il potere dell’arte Afro femminista
Chi è Karima DueG
Karima DueG è un’artista poliedrica: è cantante, produttrice e beatmaker, DJ, scrittrice e autrice di due albi a fumetti, solo per dirne qualcuna. Italiana con origine liberiana, con il suo nome fa riferimento alla “seconda generazione” (DueG), l’espressione con cui ci si riferisce in maniera generica ai figli di immigrati. In base alla legge in vigore per l’attribuzione della cittadinanza basata sul principio dello ius sanguinis, le seconde generazioni sono escluse dal diritto di cittadinanza fino ai diciotto anni e private di diritti riconosciuti ai figli e alle figlie di italiani nativi. DueG fa quindi riferimento a un’etichetta che ha connotazioni negative ripensata in maniera creativa.
Dalle consolle delle maggiori discoteche italiane, Karima approda alla carriera da solista con album scritti e prodotti da lei stessa. Nel primo album, 2G, ai suoni elettronici della bass music si aggiungono influenze afro provenienti da musica e culture africane, entrambe tramandate a Karima da suo padre. Il disco ha un grande successo: i testi si combinano alle sonorità con una forza che risponde al momento storico contemporaneo. La centralità è assegnata alla forza e alla potenza delle donne. I temi diventano sempre più internazionali, abbinati ad un percorso musicale in costante evoluzione.
Musica e femminismo
Sebbene oggi la definizione di femminismo intersezionale sia entrata nel discorso pubblico, il termine “intersezionalità” compare per la prima volta negli anni Ottanta, negli scritti della giurista statunitense Kimberlé Crenshaw e affonda le proprie radici nell'epistemologia dei movimenti delle donne di colore sorti negli Stati Uniti già dagli anni Sessanta: la questione delle diverse forme di oppressione cui le donne nere erano esposte si rivelava problematica per uno sguardo femminista occidentale che era abituato a considerare il genere come unica dimensione della discriminazione della donna. Il femminismo occidentale non si rivelava adeguato a dare delle risposte e delle valide letture delle loro specifiche esperienze. Perciò,
il black feminism (femminismo nero) denuncia il razzismo e l’eurocentrismo (la tendenza tipicamente europea a considerare il resto del mondo una propria periferia) che caratterizzano parte del femminismo bianco e occidentale
Le donne afroamericane, chicane, asian-american e portoricane che animavano i movimenti, lamentavano, dunque, un vuoto di riflessione, l’incapacità di cogliere la dimensione complessiva di un problema che non poteva esaurirsi né nelle lotte antirazziste, né nelle battaglie femministe.
La teorica afro-americana bell hooks, nel saggio Negritudine postmoderna, sostiene la necessità di superare una nozione essenzialista, limitata e costrittiva della "negritudine", considerata come un’identità unica, affermando la pluralità delle identità nere come il risultato di una "molteplicità di esperienze che si intersecano continuamente e costruiscono la soggettività”.
Molteplicità è la parola chiave che descrive Karima DueG, anche riconosciuta come esponente dell’afrofuturismo femminista,
e cioè il risultato della contaminazione tra culture afrodiasporiche, tecnologia e fantascienza con le istanze del femminismo. L’afrofuturismo guarda a possibili futuri alternativi in chiave antirazziale e femminista, aprendo spazi di liberazione da forme di oppressione vecchie e nuove
Nel 2018 Karima DueG partecipa all’evento “Afrofuturismo femminista”, parte della rassegna “African Metropolis” al museo MAXXI di Roma: per la prima volta viene pubblicamente discusso il tema. Se ne parla ancheo alla fiera dell’editoria delle donne “Feminism 2” a Roma, e Karima DueG è chiamata ad esibirsi live; Sempre a Roma si è tenuta la sua esibizione dal titolo “La blackness come performance creativa” nell’ambito della serie di eventi “Afrointersezioni” organizzata dall’associazione “Le sconfinate” alla Casa internazionale delle donne.
Afro futurismo femminista, il potere della rappresentazione: parola a Karima2G
Di recente, hai partecipato all’UNRULY THOUGHTS festival, un festival internazionale e interamente online, che ha coinvolto importanti personalità femministe della diaspora africana. Il proposito del festival è stato quello di portare avanti il dibattito nutrendolo di prospettive diverse da quella eurocentrica. Quali sono, secondo te, gli spunti più interessanti tra quelli emersi?
Ciò che mi ha colpita in particolar modo del festival è il fatto che dall’estero ci sia un grande interesse verso l’afrofemminismo in Italia
Porterò sicuramente con me come le voci femministe provenienti dall'Africa e dalla diaspora africana nei vari campi della cultura, del mondo accademico e dell'arte, si possano unire nella lotta per la parità di diritti, senza cadere in giochi di strumentalizzazione eurocentrica. Ogni intervento è stato per me uno spunto motivazionale per lasciare che sia il futuro a creare il nostro percorso, senza rimanere legate alle catene del passato colonialista.
Il tuo intervento, The Power of Afro-feminist art and Black Feminism in Italy, ha dato voce a percorsi di donne diverse, con storie vivificanti. Donne che vivono in uno spazio ristretto di stereotipi e pregiudizi, come dici tu stessa: uno spazio ristretto a cui hai fatto posto, mettendolo al centro. Qual è il valore delle storie all’interno del black feminism?
Dopo l’intervento mi sono state poste diverse domande, sempre molto utili per la mia crescita e per capire la direzione verso cui sto andando. Per esempio: Le donne nere vengono incluse nei movimenti femministi in Italia, se sì, come? Ci sono dei punti d’incontro tra le donne bianche e le donne nere?
Questa domanda affronta una questione che sto affrontando da un po’ di tempo a questa parte. Partecipando ad alcune conferenze e manifestazioni femministe nazionali, mi sono resa conto che molto spesso non vi è un vero coinvolgimento delle donne nere. Penso che la rappresentazione sia uno dei valori principali all’Interno del black feminism. Storie di successo di donne nere come Djarah Kan, Esperance Hakuzwimana Ripanti, e Danielle Frederique Madam nella musica, nello sport, nella scrittura, e nella politica, portano allo sviluppo dell’orientamento e all’emancipazione di altre donne che ancora oggi vivono nel bisogno di approvazione e di essere riconosciute.
Oltre al talk, hai partecipato al festival con una performance musicale. Sei cantante, produttrice e beatmaker, DJ. La stessa appropriazione della tecnologia per creare musica da parte di una donna nera è un’immagine sovversiva rispetto agli stereotipi. Per te, qual è la forza comunicativa della performance, in particolare della performance musicale?
Faccio musica da quando ho tre anni. Ballo praticamente da quando ho iniziato a gattonare, tutta la mia vita ruota intorno alla musica e all’arte performativa. Si fatica ancora ad accogliere l’immagine della donna nera che crea, che si fa sentire, che è in grado di evolvere da sola
La tecnologia mi ha permesso di esprimermi e di rendermi visibile, ma bisogna anche volerlo, richiede coraggio. La performance musicale ha una grande forza in particolar modo per le donne, per non parlare delle donne nere (che ancora oggi mancano nel panorama musicale italiano). La forza comunicativa della performance musicale è quella di poter attraversare diverse culture attraverso la contaminazione di suoni. La performance musicale ti permette di raccontare una storia, o una o più realtà a chi ti ascolta.
Parli anche del potere dell’arte Afro-femminista. Il tuo percorso artistico, del resto, può essere definito a tutti gli effetti una forma di attivismo. Qual è il potere dell’arte Afro-femminista, e perché le due cose non prescindono l’una dall’altra? Cos’è per te il femminismo intersezionale?
Volendo allontanarmi dalle visioni eurocentriche o orientaliste, dove da una parte c’è l’oppressore e dall’altra c’è l’oppresso, da una parte il carnefice dall’altra la vittima, con potere Afro-femminista intendo le possibilità che hanno le donne con un bagaglio culturale vasto come è quello africano, che possono accedere a informazioni che arrivano da così lontano a prescindere dal contesto in cui si trovano.
L’ampio potere dell’Afro-femminismo può riguardare tutti, e non solo le donne afrodiscendenti: attraverso la donna passa questo tipo di risoluzione. Il passato viene ripreso, integrato e visto per quello che è. Nella mia esperienza, mi è capitato di incontrare donne afrodiscendenti che quel passato non lo volevano proprio vedere
Accoglierlo, invece, ci dà la possibilità di vivere con una consapevolezza: non si deve per forza cercare un cercare un colpevole e lasciare i colpevoli al lontano passato. L’obiettivo è vivere in tranquillità il nostro futuro.
A partire dal nome d’arte che hai scelto, Karima DueG, con riferimento alla “seconda generazione” assegnata agli italiani figli di immigrati, hai dimostrato di saper trovare una potenza creativa anche negli elementi di limitazione oppure di oppressione. Lo dimostrano alcuni tuoi brani, come Orangutan o Bunga Bunga. Se l’intuizione è giusta, in che modo ti rivolgi alle discriminazioni e alle marginalizzazioni?
Oltre ad essere una limitazione, il termine “seconda generazione” rappresentava per me una negazione. Orangutan e Bunga Bunga sono tra i miei primi brani di protesta. Quando li scrissi mi chiedevo il perché di tutta questa privazione di diritti, cercando così una risoluzione tra due terre: L’Africa e l’Italia.
Oggi, mi rivolgo alle discriminazioni e alle marginalizzazioni con l’ascolto. La mia lotta è sempre stata principalmente contro le limitazioni imposte e contro una delle tante conseguenze dell’oppressione: il vittimismo
Sei anche autrice di due volumi illustrati a fumetti, The Italiens. Gli italiani alieni sono tutte quelle persone che, pur essendo italiane, vengono percepite a livello istituzionale e sociale come un’alterità mai del tutto amalgamata. So anche che stai scrivendo un libro di prossima uscita per Fandango Editore. Puoi darci qualche anticipazione?
Ho scoperto l’amore per il fumetto durante il mio percorso di studi all’università. La scrittura di questo libro non è un punto d’arrivo ma una rinascita tutta ed esclusivamente al femminile. In questo percorso, ciò che mi fa sentire davvero felice è il fatto di lavorare e confrontarmi con altre donne come la direttrice di Fandango Editore Tiziana Triana e la mia editor Lavinia Azzone
Il libro non è ancora uscito, ma sto vivendo la scrittura come un vero processo di liberazione, non solo di questa vita ma anche di altre vite passate, mie e dei miei antenati. Non ti nascondo che sto già pensando all’idea di un film. Guardando al futuro, mi piacerebbe diventare una regista.