La Chola Poblete, “artivista” tra arte e attivismo per i diritti delle persone queer

Artista multidisciplinare argentina, La Chola Poblete affronta il tema dell’identità di genere attraverso opere che fanno uso della materia per suscitare una riflessione sul ruolo del corpo nelle società patriarcali. Il suo lavoro è in mostra fino al 20 ottobre al MUDEC, a Milano

«Sono un'artista e una "artivista"», dice La Chola Poblete. Nata a Mendoza nel 1989, è cresciuta osservando la cultura delle sue radici – cattolica eppure impregnata di ritualità connesse a divinità indigene, come la Pachamama, la “Madre Terra” – per trasformarla successivamente in performance, in dipinti, in sculture materiche. La sua è un’arte che si fonde con l’attivismo per rivendicare i diritti delle persone queer e transgender, per portare alla luce stereotipi radicati, per attivare un processo di guarigione e di perdono. A raccontare il suo universo è la mostra Guaymallén, visibile al MUDEC di Milano fino al 20 ottobre e presentata da Deutsche Bank in collaborazione con 24 ORE Cultura.

Curata da Britta Färber, Global Head of Art & Culture di Deutsche Bank, l’esposizione racconta l’esperienza e la visione dell’artista attraverso opere tracotanti di vita, colore, ribellione. «Questa mostra corona il sogno di condividere il mio cammino personale e la mia interpretazione dell’arte, è una grande opportunità per rendere visibile il mio contesto e per aprire una porta alle persone che si sentono come me, emarginate», spiega La Chola Poblete, che ha vinto nel 2023 il premio “Artist of The Year” di Deutsche Bank.

Un viaggio attraverso l'universo di La Chola Poblete

Il suo lavoro sviscera le conseguenze del colonialismo e della supremazia bianca in Argentina, concentrandosi su alcune figure che ricorrono nella sua vita, come la Madonna e la Venere. «Il mio interesse è quello di indagare il tema del corpo. Quando ho iniziato a lavorare come artista le mie performance nascevano dal fatto che non mi sentivo rappresentata dalle opere d’arte argentine. Così ho iniziato a pensarmi come una Venere e ho incominciato a interrogarmi sugli stereotipi che pendono sulle donne e sull’identità di genere. Da qui sono partita per creare maschere di pane, dietro alle quali nascondersi», prosegue.

Attraverso differenti media come scultura, pittura, performance, disegno, acquarello e fotografia, La Chola Poblete riflette sulla stereotipizzazione e l'esotizzazione delle popolazioni indigene confrontandosi con il ruolo storico di donne, travestiti e transessuali. Le sue opere sono immerse negli spazi ridisegnati del MUDEC Photo, trasformato in una “cattedrale barocca andina” popolata da motivi e simboli religiosi, politici, erotici, pop-culturali e indigeni che si sovrappongono tra loro. Qui, storie di salvezza, vergini, martiri e antiche dee sono filtrate da una lente di auto-emancipazione, di guarigione e di reclamazione sovversiva.

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Il Pane, materia in transformazione

A destare attenzione sono soprattutto le opere inedite realizzate con la pasta di pane, un materiale vivo e in trasformazione che nell’opera di La Chola Poblete diventa simbolo della transessualità. «Pane e acqua sono un modo per uscire dall’indagine sul corpo, per pensare alle performance come materialità. Dall’impasto in poi il pane fa il suo cammino, ed è proprio questo che significa essere transessuale, è una transizione. Ma la vera transizione di tutti noi è quella che ci porta alla morte».

Dall’interesse per il pane nasce la collaborazione con il Panificio Davide Longoni, attivata per la tappa italiana della mostra Guaymallén. Nello storico forno milanese La Chola ha realizzato due sculture antropomorfe a grandezza naturale e una serie di maschere, instaurando così un parallelismo tra il rituale della panificazione e quello della creazione artistica. «Qualche mese fa sono venuta a Milano per conoscere gli spazi del Panificio Davide Longoni e mi sono subito sentita a casa».

Patatine fritte e Madonne

Particolarmente d’impatto è anche l’opera Maria & papas lays (Maria & patatine fritte), una figura ibrida che rimanda alla santità della Madonna e che poggia su un tappeto di patatine fritte. «Le patatine rappresentano il capitalismo, sono un simbolo del colonialismo e del mercato, mi piaceva giocare con questa tematica», continua.

La ricorrenza della figura della Madonna ha una spiegazione che rimanda al suo albero genealogico: «Sono cresciuta con una storia che ha lasciato impronte profonde su di me: mio nonno, boliviano successivamente emigrato a Mendoza, trovò da bambino una statuina della Madonna. Tutti pensarono fosse una benedizione, ma quando lui la ruppe tutti dissero che era una maledizione. Da qui iniziò la sua ossessione: per tutta la vita disse che sarebbe morto a 33 anni, ed effettivamente fu così. Morì di una morte molto dolorosa, e mentre era sul letto di morte spiegò che il motivo stava proprio nell’aver rotto quella statuina. Così, prima di compiere 33 anni ho voluto realizzare una serie di sculture di Madonne per pulire il karma di mio nonno. È stato quasi un atto psicomagico per chiudere il cerchio. Tempo fa ho poi visitato un museo dove c’erano alcune Madonne vestite per andare in processione: avevano solo la testa, il busto e poi basta. Erano senza sesso né genere. Mi sono sentita rappresentata».

Gli altri medium artistici

La mostra presenta anche una serie di acquarelli di grandi dimensioni. Anche l’acquerello rappresenta, insieme al pane, un simbolo di fluidità. «Quando realizzo una maschera di pane o lavoro con l'acquerello fuso, entrambi seguono un percorso irreversibile. Da un lato, la pasta assume diverse sfumature di colore a seconda di quanto tempo rimane nel forno, cambiando forma, lievitando, crepando e bruciando. Allo stesso modo, l'acquerello distorce il disegno, si mescola con altre macchie e crea nuove forme. Ho la sensazione che questi materiali abbiano una qualità performativa, incarnando la mutevolezza e il flusso».

Il percorso espositivo include inoltre una nuova serie di tre lavori fotografici in cui La Chola interpreta il personaggio principale. «Voglio che la mia arte sia compresa da tutti e in cui tutti possono identificarsi. Non mi interessa l’arte concettuale, io voglio che le mie opere arrivino alla gente, a quante più persone possibili. Per questo mi piace pensare che le mie opere siano come delle canzoni pop, e che le mie mostre siano come dei concerti».

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