Mia Canestrini, la zoologa amica dei lupi


Alcuni la chiamano "lupologa": Mia Canestrini è una delle massime esperte nel monitoraggio e nello studio dei lupi. Un'attività che svolge con trasporto e passione - quasi fosse aria per lei, necessaria per vivere - e che racconta in questa intervista in occasione dell'uscita del nuovo libro Custode di cuori. L’amicizia tra un ragazzo e un lupo nero

«Sono uno di quei figli che è nato per incidente, concepita in un giorno di primavera vicino al mar Baltico. E che quell’incidente sia benedetto: non posso definirmi un cuor contento, ma non esiste giorno che mi colga impreparata di fronte alla bellezza della vita».

Così si presenta sul suo sito Mia Canestrini, zoologa ed esperta di lupi, forse la più celebre d’Italia, ospite di trasmissioni televisive (da Geo a Il Provinciale) e in radio (105 Friends). Ed è una biografia profonda e sincera la sua, proprio com’è il suo lavoro. Perché Mia Canestrini, agli animali, e in generale alla natura, si è avvicinata in modo istintivo quand’era bambina, osservando le creature che popolano il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, tra l’Emilia Romagna e la Toscana, dove trascorreva le vacanze estive.

Non era soltanto un amore per gli animali, era una curiosità morbosa, spiega

Una curiosità che la portò a preferire la compagnia dei boschi più a quella degli umani e a coltivare una passione viscerale per i meccanismi e le dinamiche che regolano il mondo animale, soprattutto dei lupi.

A loro, Mia Canestrini ha dedicato prima la sua tesi alla facoltà di Scienze Naturali, poi la sua vita intera, partecipando a progetti di monitoraggio in tutta Italia. Un percorso non sempre facile - fatto anche di discriminazioni di genere - a cui Mia Canestrini ha affiancato attività di divulgazione nonché la pubblicazione di due romanzi.

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L'ultimo, Custode di cuori. L’amicizia tra un ragazzo e un lupo nero (Electa Junior), esce oggi dopo due anni dal suo debutto in libreria con La ragazza dei lupi (Piemme), un’autobiografia che ripercorre il suo incontro con il lupo.

In Custode di cuori, favola onirica dedicata ai ragazzi (ma non solo), Mia Canestrini abbandona le esperienze personali per tratteggiare l’avventura notturna di un ragazzino di 10 anni – Rusco – che scappando di casa, in una città deserta, tra spazzatura e cemento, viene derubato del suo cuore da un lupo nero. Un gesto che si dimostra molto meno tragico di quanto sembrerebbe, diventando l’occasione per incontrare tanti altri animali cuoriosi.

Una storia che immerge in quella dimensione magica, tipica dei bambini, che poi svanisce nel mondo adulto. E che forse bisognerebbe riabbracciare di tanto in tanto, abbandonando le paure

All’età di 8 anni i tuoi miti erano Konrad Lorenz, Gerald Durrell e Margherita Hack. Il tuo libro nasce con l'idea di avvicinare i bambini al regno animale?

Nel rapporto con la natura ai bambini non è necessario insegnare niente: la loro relazione con gli animali si evolve in modo del tutto istintivo, forse perché sono privi delle sovrastrutture di noi adulti. Il protagonista di Custode di Cuori va incontro agli animali seguendoli con fiducia proprio perché è libero dei condizionamenti familiari. Il libro ha due chiavi di lettura: una legata alla presenza degli animali selvatici in città, tema di cui si è parlato moltissimo durante la pandemia, e l’altra è legata a un aspetto più psicologico, quello della paura. Affrontando il lupo, l’animale per tradizione più spaventoso, Rusco affronta anche le sue paure. In realtà il lupo non si dimostrerà un ladro del suo cuore, ma ne sarà il suo custode, rendendolo protagonista di tante nuove avventure. Un invito a non lasciarsi imprigionare dalle paure.

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E tu da quali paure non ti sei lasciata imprigionare? Come hai evitato di farti condizionare dalle sovrastrutture degli adulti instaurando un rapporto spontaneo con gli animali?

Sono stata fortunata: i miei genitori mi hanno sempre incoraggiata a esplorare il mondo naturale in modo libero, senza timori. Non mi sono mai sentita dire cose del tipo: "stai attenta che ti fai male", oppure "non andare nel bosco", o ancora "attenta alle zecche!" Sono sempre stata responsabilizzata su tutto questo.

Ma a cambiare la mia vita è stata la lettura del libro La mia famiglia e altri animali del naturalista e zoologo Gerald Durrell

Dal mio punto di vista è forse il libro più bello che sia mai stato scritto. Ripercorre l'infanzia di Durrell in Grecia, a Corfù, e le sue scorribande alla scoperta degli animali che incontrava sull'isola. Un'infanzia molto simile alla mia, tanto che mentre leggevo il libro sentivo Durrell come un fratello mancato. Aveva la mia stessa ossessione verso i meccanismi e i comportamenti degli animali, anche verso i loro aspetti più repellenti.

Tu dici: “tutte le mie avventure zoologiche, teoriche e pratiche mi hanno tenuta lontano da un disagio famigliare, di quartiere e esistenziale che poteva tranquillamente sfociare in altre avventure”. In che modo lo studio degli animali ti ha salvata?

Sono cresciuta in un quartiere popolare di Bologna, dove 30 anni fa regnavano lo spaccio e situazioni familiari non facili. Una realtà dove può accadere di fare incontri sbagliati. Io e altri bambini eravamo sempre all’aria aperta, alla scoperta di quella campagna disordinata che arriva fino alle porte di Bologna e che ci faceva incontrare tanti animaletti curiosi, come ricci e uccelli. Questa è stata una fortuna.

Durante l’adolescenza trovavo rifugio tra i boschi e le foreste del paese di mia nonna, più che a casa o a scuola

E quando hai iniziato invece ad appassionarti ai lupi?

Il lupo è un animale che mi ha sempre affascinata, fin dalle favole che leggevo da bambina. In realtà, però, è piombato nella mia vita durante gli anni dell’università. Ho avuto la possibilità di scrivere la tesi proprio facendo uno studio presso il Parco delle Foreste Casentinesi, dove aveva casa mia nonna e dove ho trascorso le vacanze della mia infanzia. Pensai: studiare i lupi dove ho scoperto la natura? Fantastico! Da lì è nato tutto.

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Cosa dovremmo imparare dai lupi?

Due cose sicuramente: una è il senso della famiglia e della cooperazione, perché i lupi hanno un compagno o compagna per la vita e tutti i membri del branco sono fratelli e sorelle che collaborano con i genitori per crescere i nuovi nati. La loro attività è tutta rivolta alla protezione dei più piccoli, oppure di chi è rimasto ferito. La seconda è la capacità di riprendersi e di non arrendersi, la resilienza. Ho visto lupi feriti a morte riprendersi dopo pochissimo tempo. È straordinario.

E dal regno animale, in genere?

Oggi ero ospite del programma 105 Friends e parlavo delle società matriarcali nel mondo animale:

ci sono alcune specie come l’elefante, i lemuri, gli oranghi, le orche o le iene e i leoni dove sono le femmine a guidare il gruppo e ad essere fondamentali nella sopravvivenza del gruppo. In una società patriarcale come la nostra, è bene ricordarlo

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Quello del "lupologo", o più in generale dello zoologo, è un mestiere dove esistono discriminazioni di genere?

Oggi c’è abbastanza equilibrio, ma per molti anni mi è capitato di subire delle discriminazioni a priori su quello che una donna può fare o meno in ambito tecnico e scientifico.

Alcune attività mi sono state precluse solo in quanto donna, come la cattura dei lupi ai fini di ricerca

Non ho mai potuto partecipare se non in qualità di assistente: le persone che lavoravano con me non lo ritenevano alla mia portata. Erano momenti in cui serviva anche la forza di un uomo, certo, ma non solo la forza di un uomo.

Qual è stata la sfida più difficile nel tuo percorso?

Sicuramente quella di acquistare credibilità da parte di alcune categorie di lavoratori, tra cui allevatori e cacciatori, quasi tutti uomini. Trovarsi davanti una ragazza giovane che parla di bracconaggio e di lupi era uno scoglio non indifferente per loro. Ma in realtà è stato molto facile superare questo scoglio: quando hanno visto che ero seria e professionale è stato facile conquistare la loro fiducia.

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