Addio a Monica Vitti, icona femminista del cinema italiano, esempio di libertà e indipendenza
Monica Vitti se ne è andata: la leggendaria attrice si è spenta a 90 anni, gran parte dei quali trascorsi sui set di film entrati nella storia.
A ufficializzare la notizia è stato Walter Veltroni, con un tweet inviato mercoledì mattina: «Roberto Russo, il suo compagno di tutti questi anni, mi chiede di comunicare che Monica Vitti non c’è più. Lo faccio con dolore, affetto, rimpianto», ha scritto , e nel giro di pochi minuti hanno iniziato ad arrivare i commenti di cordoglio per la scomparsa di una delle ultime dive italiane, diventata anche un simbolo di empowerment femminile.
Nata Maria Luisa Ceciarelli il 3 novembre 1931 a Roma, Monica Vitti è stata la musa di Michelangelo Antonioni, che a lei dedicò una trilogia, amatissima da personaggi del calibro di Mario Monicelli, Ettore Scola, Luciano Salce e Alberto Sordi.
Alla bellezza mozzafiato, i capelli biondi, lo sguardo malinconico e la voce roca, univa una personalità carismatica, potente e disarmante, con cui è riuscita a farsi strada in un modo, quello del cinema, dominato dagli uomini
Eppure Monica, che il nome d’arte l’ha preso dal cognome della mamma, “Vittiglia”, accorciato, e dalla protagonista di un libro che aveva letto, non è mai rimasta imprigionata nel ruolo di bellissimo orpello dei famosi attori e registi con cui ha lavorato. Mai si è fatta schiacciare: ha brillato di luce propria, senza avere mai timore di esporsi e di esprimere le proprie opinioni, ricavandosi lo spazio con un talento che le ha consentito di diventare davanti agli occhi degli italiani seduttrice e sedotta, popolana e borghese, commovente e esilarante, in entrambi i casi sino alle lacrime.
Per Monica, soprannominata dalla famiglia "setti vistìni", sette sottane, per la tendenza a indossare un abito sopra l’altro per proteggersi dal freddo, indipendenza, emancipazione, libertà e autonomia erano requisiti imprescindibili sia sul lavoro che nella vita privata. Nata a Roma, visse a Messina per otto anni vivendo il dramma della Seconda Guerra Mondiale e del Dopoguerra sulla sua pelle di bambina, rifugiandosi nei burattini che l’hanno avvicinata al teatro. Diplomata nel 1953 all’Accademia nazionale di arte drammatica, fu convinta dall’insegnante Sergio Tofano a cambiare nome, e così fece: divenne Monica Vitti.
Femminista ancor prima che la parola, e la visione, divenissero mainstream, basò gran parte della sua carriera su quella verve comica che per primo le riconobbe Mario Monicelli, uscendo dal ruolo potenzialmente limitante di “musa di Antonioni”, che per un periodo fu anche il suo compagno nella vita, e trovando la sua strada:
Faccio l’attrice per non morire - disse una volta - e quando a 14 anni e mezzo avevo quasi deciso di smettere di vivere, ho capito che potevo farcela, a continuare, solo fingendo di essere un altra, facendo ridere il più possibile
«Perché sei femminista? Perché è ora»
È rimasta nella storia la sua intervista a Enzo Biagi, rilasciata nel 1971, tre anni dopo il debutto di La ragazza con la pistola, in cui interpretava Assunta Patanè, una ragazza siciliana che insegue sino in Scozia l'uomo che l'ha "disonorata" per vendicarsi: «Perché si batte per il femminismo?“, chiese il giornalista, e Vitti rispose senza giri di parole: “Perché è anche ora. Perché a una giovane donna viene detto: tu la cosa più importante che devi fare è trovarti un marito e difenderlo, forse anche mentirgli, ma l’importante è che tu abbia qualcuno con cui costruire questo focolare, questa famiglia, da portare avanti e anche che ti mantiene. Invece a 15 anni bisognerebbe dire a una figlia: tu devi trovarti un bel lavoro, duraturo possibilmente, che ti dia soprattutto un’indipendenza finanziaria. Poi puoi anche trovarti un marito, avere dei figli, ma comunque avresti un lavoro, degli interessi»
In quarant’anni di carriera Monica Vitti ha recitato in innumerevoli pellicole e vinto decine di premi: solo per citare i più importanti, sei David di Donatello (tra cui uno per La ragazza con la pistola e una candidatura per la sua prima esperienza da regista, di Scandalo segreto), tre nastri d’argento, sette Globi d’oro, un Orso d’argento al Festival del Cinema di Berlino, un Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia, un premio alla carriera e una targa speciale ai Ciak d’oro.
Malata da tempo di una patologia che le ha portato via come prima cosa i ricordi, all’inizio del 2000 ha iniziato il ritiro a vita esclusivamente privata, in punta di piedi, senza clamore né annunci: la sua ultima partecipazione a un evento ufficiale risale al 2001, quando venne ricevuta al Quirinale per i David di Donatello. Qualche sporadica fotografia gli anni successivi, poi il silenzio, cullata dall’amore del marito Roberto Russo, al suo fianco sino all’ultimo istante.
Con la sua morte lascia in eredità lei stessa e ciò che rappresenta: un idolo da adorare e un ideale cui puntare per migliaia di donne, e non solo di attrici, cui si è sempre sentita vicina nonostante il suo status di diva:
Le attrici, diciamo bruttine, che oggi hanno successo in Italia lo devono a me - diceva con quel viso meraviglioso - Sono io che ho sfondato la porta