nan-goldin

Ritratto di Nan Goldin, la fotografa attivista raccontata nel film vincitore del Leone d’Oro

Donne che raccontano donne, ampliando lo spazio della propria narrazione nella Storia: All the Beauty and the Bloodshed, della regista Premio Oscar Laura Poitras, vince il Leone d’Oro delle 79esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia e porta sul grande schermo la storia della fotografa americana Nan Goldin, icona dirompente di attivismo e di un’estetica controcorrente

Il film documentario, che sarà distribuito in Italia da I Wonder Pictures, racconta la storia di Nan Goldin e la sua battaglia contro la famiglia Sackler, nota benefattrice dei più grandi musei del mondo, ma anche proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma, responsabile di migliaia di morti per overdose da Ossicodone, falsamente prescritto come farmaco che non creava dipendenza.

La regista Laura Poitras, già conosciuta per le sue opere di denuncia come Citizenfour, dedicato a Edward Snowden; My Country, My Country sulla guerra americana in Iraq e Risk su un’altra figura discussa come Julian Assange, con All the Beauty and the Bloodshed accende un faro sulla cultura underground newyorkese negli anni ’70 e ’80. Come lo fa? Attraverso l’arte e la vita di Goldin, in cui militanza e politica si intrecciano profondamente.

Chi è Nan Goldin

Nata a Washington il 12 settembre 1953, Goldin è considerata tra le più prestigiose fotografe contemporanee. La sua fervida aderenza a importanti cause e tematiche, tra cui sessualità e dipendenza, l’hanno portata a schierarsi in ogni circostanza e a rendere la sua arte una voce del margine. Come raccontano Michela Murgia e Chiara Tagliaferri nel podcast Morgana, Goldin fin da giovanissima sperimenta il trauma e il dolore, soprattutto per via dell'istituzionalizzazione e poi del suicidio della sorella Barbara, ritenuta turbata da problemi mentali.

Sconvolta dalla sofferenza, Goldin lascia la sua casa e inizia a fare uso di marijuana e a frequentare le più svariate subculture urbane, soprattutto le comunità gay e transgender prima di Boston e poi di New York.

Le sue fotografie, a cui comincia a dedicarsi dai 16 anni, la ritraggono insieme ai suoi amici ma rappresentano anche drag queen, tossicodipendenti e altre persone ai margini immortalate nella loro verità. Come ha dichiarato la stessa artista riferendosi ai suoi ritratti drag:

Il mio desiderio è ritrarli con rispetto, glorificandoli perché ammiro le persone che sanno reinventarsi

Stile esplicito e decadente, setting spontanei e volti reali ripresi nella loro spiazzante intimità: lo sguardo di Nan Goldin è unico e distintivo e la sua opera Ballad of Sexual Dependency del 1985, riproposta anche nel 2017 alla Triennale di Milano, ne è il manifesto.

La fotografa Nan Goldin nel corso di una sua esposizione a Berlino.
La fotografa Nan Goldin nel corso di una sua esposizione a Berlino.

Goldin raffigura sé stessa e molti conoscenti in uno slideshow, mostrando la vita di un gruppo di persone ed entrando con delicatezza e verità negli angoli più privati e fragili della loro quotidianità: un modo di guardare che definisce il suo stile, senza fronzoli né filtri e capace di parlare in modo diretto – “nudo e crudo” - al cuore delle persone.

Nel documentario All the Beauty and the Bloodshed la stessa Goldin racconta come all'inizio della sua carriera fosse quasi impossibile introdurre le proprie opere nelle gallerie di New York, quando a decidere cosa potesse essere degno d'esposizione erano solo maschi bianchi borghesi, che di sicuro trovavano riprovevole la rappresentazione di drag queen, uomini gay in abiti leather, bohémien e così via.

 Nan Goldin insieme alla registra Laura Poitras durante la Biennale di Venezia.
Nan Goldin insieme alla registra Laura Poitras durante la Biennale di Venezia.

La caparbietà di Goldin la contraddistingue nella sua vita artistica e personale: è attivista di Act Up (Aids Coalition to Unleash Power), l’organizzazione internazionale impegnata a richiamare l’attenzione sulle vite dei malati di Aids e, nella sua ricerca artistica, continua a portare avanti la sua cangiante visione del mondo e le istanze della comunità LGBTQIA+, a cui lei stessa appartiene essendo una donna bisessuale.

Lo scorso aprile alla Biennale d'arte di Venezia ha presentato il suo primo video, Sirens, un montaggio di scene provenienti da trenta dei suoi film preferiti che portano chi guarda in un viaggio ipnotico, simile all'estasi dell'ebbrezza procurata dal canto ipnotico delle sirene mitologiche. Il prossimo ottobre, invece, il Moderna Museum di Stoccolma dedicherà una retrospettiva alla sua attività da filmmaker, d'altronde lei stessa ha sempre dichiarato:

Non ho mai voluto fare la fotografa, ma la regista. Ho trovato il modo di fare dei film attraverso immagini immobili. E fare carrellate di diapositive mi ha dato il lusso di modificarle continuamente per riflettere la mia cangiante visione del mondo

All the Beauty and the Bloodshed: dentro la storia che ha trionfato a Venezia

All the Beauty and the Bloodshed ripercorre l’eccezionale storia dell’artista internazionale e la racconta attraverso diapositive, dialoghi intimi, fotografie rivoluzionarie e rari filmati: a muovere la narrazione, la sua battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da ossicodone.

Nel corso di quasi due anni, Poitras ha visitato Goldin nella sua casa di Brooklyn, per una serie di interviste audio che, insieme alle diapositive e alle fotografie della stessa Goldin, costituiscono l’ossatura del film. Dopo essere sopravvissuta a un’overdose di fentanil quasi fatale, nel 2017 Goldin ha fondato il gruppo di difesa Pain (Prescription Addiction Intervention Now) per fare pressione su musei e altre istituzioni artistiche affinché interrompano le collaborazioni con la famiglia Sackler, che da tempo sostiene finanziariamente le arti.

L'artista Nan Goldin nel corso di una contestazione organizzata dal gruppo di difesa Pain.
L'artista Nan Goldin nel corso di una contestazione organizzata dal gruppo di difesa Pain.

«Il mio più grande orgoglio è quello di aver messo in ginocchio una famiglia di miliardari in un mondo in cui i miliardari possono contare su una giustizia diversa da quella di persone come noi e la loro impunità è totale negli Stati Uniti. E, per ora, ne abbiamo abbattuto uno» ha dichiarato la fotografa a Venezia.

Il documentario Leone d’oro è un vero e proprio album di famiglia che mostra momenti intimi di amore, di violenza e di perdita. Come ha raccontato la stessa regista Poitras: «il processo di realizzazione di questo film è stato profondamente intimo. Nan e io ci incontravamo a casa sua nei fine settimana e parlavamo. All’inizio sono stata attratta dalla storia terrificante di una famiglia miliardaria che ha consapevolmente creato un’epidemia e ha successivamente versato denaro ai musei, ottenendo in cambio detrazioni fiscali e la possibilità di dare il proprio nome a qualche galleria»

Ma mentre parlavamo, ho capito che questa era solo una parte della storia che volevo raccontare, e che il nucleo del film è costituito dall’arte, dalla fotografia di Nan e dall’eredità dei suoi amici e della sorella Barbara. Un’eredità di persone in fuga dall’America

La storia personale di Nan Goldin si intreccia alla storia di un pezzo di mondo e, alla mostra di Venezia, è lo sguardo delle donne a raccontarlo.

Riproduzione riservata