Rossella Pivanti

Fare podcast è un gioco da ragazzi? Intervista a Rossella Pivanti, podcast producer indipendente

Secondo una ricerca di Spotify, solo il 22% dei migliori podcast italiani sono condotti da donne. Di questi, più della metà appartengono a due categorie: Salute e Benessere (32%) ed Educazione (27%), temi che ancora oggi sono considerati tipicamente femminili. Ma come ridurre il gender gap nel mondo del podcasting italiano, prima che sia troppo tardi? Lo abbiamo chiesto a Rossella Pivanti, una delle poche podcast producer indipendenti in Italia

«Per lavorare in radio mi sono ritrovata a dormire in un corridoio per quasi un anno», racconta Rossella Pivanti, podcast producer con un passato da deejay e speaker radiofonica. «Di giorno trasmettevo in radio, e il venerdì e il sabato mettevo i dischi in discoteca fino alle 4:30 del mattino. Sia la radio che le discoteche erano molto distanti da casa mia, quindi avevo deciso di trasferirmi.

In quel momento mi sono scontrata con il fatto che, in Italia, negli anni Duemila, una donna che lavorava in radio con un contratto a tempo indeterminato non faceva comunque un “lavoro vero”. E quindi nessuno mi voleva dare un appartamento

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Credits: Silvia Longhi

Dopo vari tentativi, «ho preso una brandina, l’ho messa nel corridoio della radio e ho iniziato a dormire lì. Andavo a farmi la doccia dall’anziana del piano di sopra e in cambio le andavo a fare la spesa. E così ho fatto fino a che non si è rotta la brandina: l’ho preso come un segno».

Un segno che qualcosa doveva cambiare, e in meglio: pochi mesi dopo, nell’estate del 2011, Pivanti e il suo compagno decidono di aprire uno studio di registrazione a Reggio Emilia. Ma anche questa volta, le cose non vanno esattamente come da copione, tra problemi burocratici, inaugurazioni fantasma e tempeste di neve.

«Anche lo studio ha una storia un po’ complessa, ma molto divertente», spiega Pivanti, che ha fondato e gestito Insomnia Studios per più di dieci anni. A distanza di tempo,

credo che sia semplicemente incredibile vedere il disegno della vita che si snoda davanti ai nostri occhi: pur avendo studiato sceneggiatura, un intreccio così non me lo sarei mai immaginato

Raccontarlo, invece, è tutta un’altra storia, come dimostrano i 26 episodi del podcast che le ha cambiato la vita.

Da ascoltatrice a podcaster

«È sabato sera, ho 35 anni, sono single, e sono a casa a fare quello che ogni donna dovrebbe fare a 35 anni di sabato sera, single: sto lavando i pennelli del trucco!» inizia così Be My Diary, il progetto che ha aiutato Rossella Pivanti a uscire da uno dei momenti più difficili della sua vita, come ha spiegato lei stessa sul palco del TedX Barletta.

Credits: Silvia Longhi
Credits: Silvia Longhi

«Ho iniziato a fare podcast in un momento molto diverso da quello attuale: a inizio 2018 c’erano forse un centinaio di podcast italiani online in tutto e il 75% era sul business. Sono stata la prima a proporsi con un progetto personale e a spingere molto sul montaggio, concependo il podcast esattamente come una canzone o un prodotto audio e questo credo abbia fatto la differenza».

In poco tempo, Be My Diary finisce primo in classifica di Itunes, «che era l’unica classifica che contava al tempo, anche perché Spotify ancora non aveva incluso i podcast e Apple Podcasts non esisteva (così come Google Podcast). Quindi nel giro di pochissimo sono arrivate le possibilità lavorative», precisa Pivanti, che nel frattempo aveva iniziato a lavorare come Head of Content nella sezione Podcast di ForTune, oggi VOIS.fm.

Credits: Silvia Longhi
Credits: Silvia Longhi

«Al tempo sentivo che la mia strada sarebbe stata nella produzione di contenuti, ma in quel momento ForTune stava andando in una direzione diversa», racconta Pivanti.

Da lì è iniziata la sua carriera come podcast producer indipendente, una figura professionale completa, che segue tutta la filiera della realizzazione dei podcast: dalla scrittura dei contenuti fino alla distribuzione sulle piattaforme di ascolto.

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A oggi, Pivanti ha aiutato numerose aziende italiane e internazionali come Mini BMW, BPER Banca, Mondadori e Mustela a realizzare i loro branded podcast in maniera originale e soprattutto autentica: «Ogni anno stilo l’elenco completo di tutti i branded podcast usciti e scopro con sgomento che si polarizzano sempre attorno a 2 temi - sostenibilità e storie di donne- e in entrambe i casi con una superficialità disarmante. Forse molte aziende pensano che basti fare un podcast per lavarsi la coscienza, ma la differenza si sente. Vuoi parlare di donne? Fai parlare le donne! Ma non solo quelle famose: vatti a cercare le storie delle persone comuni e scopri quanto mondo c’è là fuori».

Il gender gap nel mondo dell’audio

Da un punto di vista più tecnico, «donne e audio non è un connubio così popolare per tanti motivi, credo principalmente culturali», aggiunge Rossella Pivanti.

Ho vissuto sulla pelle il fatto di essere donna e fare audio e ho visto negli occhi degli altri uno stupore che non avrei riscontrato se avessi detto che facevo la maestra di scuola

«Fin da piccole siamo abituate a imitare i ruoli che vediamo. E non vedendo tante producer, foniche, tecniche audio, sound designer, come fa una bambina a desiderare di volerlo fare da grande? Quando dicevo che lavoravo in discoteca, per le persone era automatico che facessi la barista. Quando dicevo che invece ero dj, non ero mai “la dj” ero sempre “la dj donna”, perché sentivano che dovevano aggiungere il concetto di donna a un termine che altrimenti è visto al maschile». 

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Credits: Silvia Longhi

Nel resto del mondo, invece, sono molti i collettivi di donne e persone LGBTQIA+ che secondo la producer modenese lavorano a produzioni di altissimo livello tecnico e di sperimentazione: è il caso di Mermaid Palace di Kaitlin Prest o del progetto Audio Smut.

«In Italia mi piacerebbe essere fautrice di una rivoluzione dal basso. Credo che l’unico modo per cambiare le cose sia dare l’esempio: più le donne si avvicineranno all’audio e al podcasting nelle sue varie forme, più le bambine avranno modelli di riferimento a disposizione».

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Nel frattempo, «osservo con attenzione il lavoro di tante podcast producer che stanno nascendo dal basso e in particolare quello di Gabriella Bellomo che ha un’onestà e una freschezza molto genuine», racconta Rossella Pivanti.

«Attendo anche la nascita di qualche pazza furiosa che faccia robe assurde col suono, ma credo di non dover aspettare molto!»

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