Rugby, intervista alla capitana della Nazionale Manuela Furlan: «Bambine, fate quello che vi rende più felici»
Anche nel mondo dello sport, così come in tanti altri settori, stigma e pregiudizi nei confronti delle donne e delle loro capacità possono offuscare talento e impegno. Soprattutto per sport tradizionalmente accostati alla forza fisica e al vigore maschile, come nel caso del rugby. E questo nonostante la Nazionale femminile italiana esista dal 1985, operi dal 1991 sotto la giurisdizione della Federazione Italiana Rugby e partecipi ormai dal 2007 all'edizione femminile del Sei Nazioni.
Il torneo, uno dei più importanti a livello internazionale, è partito lo scorso 26 marzo con una novità: da quest’anno, e per i prossimi tre, avrà come title partner TikTok, una collaborazione siglata per avvicinare quante più persone possibili al rugby femminile e aumentare il coinvolgimento, la partecipazione, la visibilità e l'attenzione verso questa disciplina troppo spesso vittima di preconcetti. Un’iniziativa che si è rivelata vincente, visto che l’account @womenssixnations ha oggi quasi 76mila follower, mentre quelli di Federugby - dove le atlete condividono anche consigli e curiosità, rispondendo anche alle domande dei tifosi - più di 63.000.
A capitanare le Azzurre dal 2018 c’è Manuela Furlan, 34 anni, in Nazionale dal 2009: è stata lei, due anni fa, a condividere quello che è diventato il “manifesto” del rugby femminile italiano, descrivendosi come una "orgogliosa trentenne, operaia e rugbysta". Furlan lavora dal lunedì al venerdì, dalle 7.30 alle 17.30, manovrando muletti in azienda, e tre volte a settimana si allena in vista dei match domenicali con il Villorba, squadra in cui gioca dal 2017.
«Ci sono anche giornate in cui sono talmente sfinita che crollo sul divano - aveva scritto nel 2019 - Lo faccio per pura passione, perché amo il mio sport perché in tanti anni in cui lo pratico mi ha dato tante emozioni, a volte dure ma tante altre molto belle. Perché ho scritto tutto questo? Anche a me piacerebbe, come tanti di voi scrivono, avere la possibilità di vestire ogni giorno i panni dell'atleta ma ancora non mi è possibile. Lavoro fino al giorno prima (a volte anche lo stesso) dell'inizio di un raduno. I sacrifici li faccio io, come tante mie compagne ma come tantissime altre persone nel mondo».
Poi l’invito, rivolto a tutti i supporter del rugby femminile: «Vi piacerebbe che noi fossimo professioniste? Venite a vederci. Vi piacerebbe che potessimo innalzare ancora di più il nostro livello? Venite a vederci. Vi piacerebbe vedere come, per quanto uno 55-0 non lasci spazio a commenti (se non da piccole persone), io e le mie compagne ci siamo battute fino all'ultimo secondo? Venite a vederci. La visibilità che tanto chiedete per noi, passa attraverso la vostra presenza allo stadio. Voi potete con noi fare la differenza».
A due anni dalla condivisione di questa lettera aperta abbiamo provato a chiedere a Furlan se qualcosa è cambiato nella percezione e nella considerazione del rugby femminile e di chi lo pratica a livello agonistico: ecco cosa ci ha raccontato.
Manuela, in Italia il rugby è uno sport che sta guadagnando popolarità, ma resta ancora nettamente staccato rispetto ad altri. Come la vive chi lo pratica?
Da quando ho iniziato a giocare le cose sono cambiate notevolmente. Sicuramente noi che pratichiamo siamo molto concentrati sul fare quello che più ci piace, quindi diciamo che se ci divertiamo la cosa traspare anche all'esterno e quindi il coinvolgimento cresce.
Come diversi altri sport associati alla forza fisica, anche nel rugby vi sono moltissimi pregiudizi verso le donne che lo praticano. Quali sono quelli che maggiormente ti è capitato di affrontare?
Il fatto di praticare uno sport numericamente praticato da molti più uomini fa sì che spesso si pensi a noi ragazze come donne “maschiaccio”. La cosa divertente è vedere l'espressione di persone che credono tu possa giocare a pallavolo o fare nuoto, legato alla prestanza fisica, e stupirsi che tu, così magra o probabilmente così femminile, invece faccia uno sport così duro. Ma alla fine, chi ha deciso che uno sport è più maschile o femminile di un altro?
Senti una responsabilità maggiore, in questo senso, in quanto capitana della Nazionale Azzurra?
In quanto capitano non sento una responsabilità in questo senso. In quanto atleta, però, mi piacerebbe poter dare il mio contributo affinché certi stereotipi vengano abbattuti.
Ci descriveresti una tua giornata tipo, tra lavoro e allenamenti?
Mi alzo presto la mattina, verso le 6-6:30, a volte faccio un allenamento prima di iniziare lavoro alle 7:30. Stacco attorno alle 17:30: essendo un settore logistico a volte può essere prima, altre volte più tardi. Successivamente ho la sessione di palestra o di atletica, dipende da cosa prevede la preparazione, e poi la sessione di campo con il club.
Che rapporto si viene a creare tra compagne di squadra, e qual è l’atmosfera prima di appuntamenti importanti come il Sei Nazioni?
Le tue compagne diventano letteralmente la tua famiglia, basti pensare che in appuntamenti come il Sei Nazioni degli ultimi anni, si passano intere settimane insieme. Si instaurano amicizie profonde, rapporti di stima e fiducia unici che non fanno che rafforzare la connessione in campo. Prima di un Sei Nazioni entrano in gioco molti sentimenti, tutti diversi gli uni dagli altri: c'è chi è emozionata per l'esordio, chi tesa, chi felice. Diciamo che siamo un gruppo bello vario, che riesce comunque a divertirsi nel fare quello che più gli piace fare.
Cosa diresti a una bambina che vuole diventare rugbista ma che si sente rispondere che è uno sport “non adatto alle femmine”?
A una bimba dico semplicemente di fare quello che più la rende felice e che è una cosa che solo lei può sentire. Se il suo istinto le dice di correre, buttarsi nel fango e placcare o se dice a una mamma che nel farlo è felice, cos'è più importante? La sua felicità o un'opinione altrui?
Nazioni quest’anno è iniziato con una novità, la partnership con TikTok. Secondo te la piattaforma aiuterà a far conoscere e appassionare le nuove generazioni a questo sport?
Credo che in quest'era dei social e delle piattaforme, TikTok sia un importante strumento da utilizzare per poter fare cadere certi pregiudizi, aumentare la visibilità del nostro sport e far crescere i numeri nel nostro paese. Ricordiamoci che tanti pregiudizi nascono dalla non conoscenza, quindi perché non utilizzare TikTok al massimo per far vedere che è uno sport come un altro? Quindi sì, è una importante novità che spero possa fare avvicinare tante bambine e ragazze a questo sport.
Tu stessa hai da poco aperto un profilo su TikTok: cosa c’è nei tuoi "Per Te"?
Tanti artisti, quindi tanti disegni, papere che corrono (mi fanno tanto ridere), freestyler con ogni tipo di palla, tanti giochi da rifare con la palla da rugby, tante azioni da gioco, ma soprattutto tanti scherzi che posso riproporre a scapito delle mie compagne.
Sogni nel cassetto per il futuro?
Mi piacerebbe tanto viaggiare. Il rugby mi ha permesso di farlo ma non sono mai riuscita a farlo come una vera turista, scoprendo luoghi, le culture nella loro quotidianità e quindi a vivere quella realtà. Spero di viaggiare tanto, vorrei scoprire, vorrei conoscere.