Reinventare la narrazione dell’Africa: intervista a Sarah Kamsu, cofondatrice di @WeAfricansUnited
24 anni, laureata in Scienze Politiche tra Pavia e Parigi, Sarah Kamsu ha fondato, insieme a Levi Mandji, il profilo Instagram @weafricansunited, una finestra sulla cultura – o meglio, le molteplici culture – del continente africano. Un profilo che a un anno dalla nascita conta già 16k follower, diventando a tutti gli effetti un social magazine ricco di informazioni, curiosità, invenzioni e vite di personaggi storici, spesso sconosciuti in Europa.
Perché @weafricansunited andrebbe seguito (da tutti)
Scorrendo il feed del profilo, sono tanti i piccoli racconti che catturano l'attenzione: c'è la storia di Mae Jemison, prima donna afrodiscendente ad essere andata nello spazio, oppure quella di Abebe Bikila, il maratoneta che nel 1960 vinse le Olimpiadi correndo scalzo, o ancora, della prima università della storia fondata a Fez da una donna, Fatima Al- Fihriya. Storie raccontate in modo semplice e intuitivo attraverso gallery fotografiche che stimolano ad approfondire, porsi delle domande, allargare lo sguardo.
Oltre alle informazioni, poi, ci sono le dirette: uno strumento attraverso cui Sarah e il suo team stanno costruendo una community che accoglie afrodiscendenti e non solo, un luogo aperto alla curiosità di chi vuole conoscere, approfondire, guardare oltre. Perché, spesso, del continente africano si sa (troppo) poco.
Sarah ci racconta come ha fatto nascere la sua piccola rivoluzione social.
Com’è nato il tuo percorso nel giornalismo?
A 17 anni mi hanno diagnosticato una malattia rara ed è stato un periodo molto difficile di accettazione. Leggevo moltissimo, sia romanzi che blog di persone che avevano vissuto malattie e difficoltà importanti, storie di ispirazione. Scrivere era l’unica cosa che mi faceva stare bene, potevo sfogare ciò che avevo dentro, era terapeutico. Poi successe che iniziai a farlo non solo per me stessa, ma anche per gli altri. Incominciai con il giornale della scuola e successivamente con IlBullone.org, un giornale sociale nato per andare oltre la malattia che ora parla anche di temi diversi, come di ambiente e società.
Scrivere era l’unica cosa che mi faceva stare bene, potevo sfogare ciò che avevo dentro, era terapeutico
Come sei arrivata ad aprire la pagina Instagram @weafricansunited?
Il profilo si lega molto alla mia storia personale. Sono nata e cresciuta in Italia e nel 2019 ho visitato il mio paese di origine, il Camerun, per la prima volta da sola. È stata un’esperienza molto diversa rispetto al passato, quando ero in compagnia della mia famiglia. È stato un viaggio di ispirazione: sono andata a visitare la terra dei miei antenati e a ripercorrere il mio albero genealogico. Durante quel viaggio sono accadute cose che mi hanno toccato nel profondo, per esempio quando dicevo di chi ero nipote le persone mi abbracciavano, mi facevano sentire accolta. Mi sono commossa e ho capito che discendo da qualcosa, che le mie origini sono vive dentro di me. Al rientro ho pianto per due settimane. In quel momento ho sentito un’urgenza: aiutare le persone come me a conoscere la propria cultura d’origine. Avevo il desiderio di trasmettere agli altri quello che avevo provato io, stravolgendo un po’ la narrazione, spesso negativa, legata all’Africa. L’idea era quella di far scoprire una cultura sfaccettatissima, che non è così lontana come sembra.
Infatti sul profilo si trovano informazioni e curiosità interessanti anche per chi non è afrodiscendente…
Esatto. Cerchiamo di avvicinare non solo gli afrodiscendenti, ma anche chi pensa che la cultura africana non lo riguardi. Alcuni miei amici non seguono il profilo perché dicono: “quelle sono cose vostre”. No, non è così. Credo che ci vorrebbe maggiore empatia nell’ascoltare le vite degli altri: aprirsi alle storie e alle culture diverse non può che essere positivo per noi stessi. Per esempio, ho avuto alcuni partner italiani che mi ringraziavano di aver fatto loro scoprire alcune cose della mia cultura. Questo è molto bello.
Credo che ci vorrebbe maggiore empatia nell’ascoltare le vite degli altri: aprirsi alle storie e alle culture diverse non può che essere positivo
Il risultato è che @WeAfricansUnited sta diventando una community sempre più grande.
Sì, c’è molto interesse. Siamo seguiti da persone diversissime, tanti vogliono approfondire la cultura dei loro Paesi d’origine, ma ci sono anche studenti che ci chiedono aiuto per la tesi, addirittura un ragazzino ha scritto una tesina per l’esame di terza media sull’Impero del Ghana. Abbiamo moltissimi feedback positivi ma anche tanti haters, purtroppo. Alcuni ci accusano di portare “nuovi concetti in Italia”. Che vorrà dire questo non so (ride). In generale, comunque, ci tengo molto a creare una community positiva e inclusiva, non voglio creare nemici né alimentare una polarizzazione. Voglio portare cultura senza puntare il dito. Facciamo anche delle dirette con persone che hanno successo in campi diversi, ci sono medici, attori, professionisti, CEO di Fondazioni. Vogliamo mostrare che c’è una generazione di afrodiscendenti che fa cose fantastiche.
Qual è la tua esperienza da afrodiscendente in Italia?
In passato ho vissuto un problema di identità. Mi sentivo straniera sia qui che nel mio Paese di origine, di cui sapevo pochissimo. Solo conoscendo le mie origini ho acquisito una sicurezza maggiore, soprattutto in relazione a quello che dicono gli altri. Se prima ci rimanevo male quando qualcuno faceva delle battute, ora non me la prendo più, non mi tocca più come prima. Un tempo mi vergognavo dei miei capelli afro, ma il problema non sono i capelli, è quello che sei tu. Fare pace con noi stessi, con le nostre origini e con chi siamo aiuta tantissimo. Più studiavo e mi avvicinavo alle origini, più mi sentivo disinvolta nel mostrare chi sono davvero. Essere fedeli alle proprie origini consente di essere meno attaccabili dagli altri. Sul profilo alcuni ci hanno scritto: grazie a voi ho iniziato ad amarmi di più.
Il problema non sono i capelli afro, è quello che sei tu
Come porterai avanti il tuo progetto?
Oggi, a un anno dall’apertura del profilo, il team di @weafricansunited è composto da 9 persone. Recentemente siamo stati invitati all’Università della Sapienza e abbiamo partecipato al festival Afrobrix di Brescia, dove abbiamo parlato di afrodiscendenza. Fra poco lanceremo anche un sito, dove pubblicheremo articoli, e stiamo iniziando a lavorare a un podcast in cui parleremo delle invenzioni africane nella storia e dove riporteremo cosa succede nel continente. Spero anche di riuscire presto a fare eventi in presenza. In realtà, però, il mio grande sogno sarebbe quello di fondare un giornale. Lo so, è un’idea folle forse, ma chissà!