Simone Biles, oltre la performance: perché la sua storia è “oro” anche fuori le Olimpiadi
Il suo nome è diventato sinonimo di eccellenza e di superamento dei limiti in ogni direzione: l’impatto sportivo e umano di Simone Biles si estende ben oltre il piano competitivo. Dalle mosse innovative pionieristiche che portano il suo nome alla promozione della consapevolezza della salute mentale, l'influenza di Biles è globale e profonda.
Con 4 ori e un bronzo a Rio 2016, 30 medaglie ai Mondiali, è complessivamente la ginnasta più medagliata della storia del suo sport: la sua è una storia di successi. Ma anche di difficoltà, ingiustizie e abusi che Biles ha saputo affrontare mettendo al centro sé stessa e facendo spazio alle altre. Dall’attenzione massima per la salute mentale alle denunce degli abusi subiti: quella di Biles è la testimonianza di una storia di coraggio che va oltre lo sport.
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"Pause is power": Simone Biles, oltre la performance
Biles, 27enne, non è mai stata un’atleta concentrata sui record: «Non mi concentro sulle statistiche, mi concentro sulle routine e sull'andare in gara e vedere quanto mi sento a mio agio e sicura di me», ha detto Biles ai Campionati del mondo del 2023 dopo aver vinto la sua 23esima medaglia d'oro all'evento.
A testimoniarlo, i Giochi di Tokyo: è il 27 luglio 2021 e, durante la finale a squadre femminile di ginnastica artistica dei Giochi di Tokyo, Biles commette un errore al volteggio.
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Nel suo body luccicante, sorride come sempre all’arrivo dal salto per il saluto ai giudici. Ma qualcosa non va. «Provavo così tanta vergogna», racconta lei stessa nella docuserie in onda su Netflix Simone Biles Rising (diretta da Katie Walsh). La serie prende il titolo da un tatuaggio che Biles mostra all’altezza della clavicola sinistra: «And still I rise», da un verso della poeta afroamericana Maya Angelou che recita: «Puoi colpirmi con le tue parole,/puoi tagliarmi con i tuoi occhi,/ puoi uccidermi con il tuo odio,/ ma ancora, come l’aria, mi solleverò».
Un legame, quello di Biles con Angelou, non casuale: entrambe si sono salvate da un’infanzia difficile e vengono cresciute dai nonni. Nata a Columbus nel 1997, Biles ha solo 3 anni quando viene allontanata dalla madre tossicodipendente. In orfanotrofio trascorre più di 2 anni prima che nel 2003 il nonno riesca ad adottare lei e la sorella, mentre alcuni prozii adottano i due fratelli. È la ginnastica che permette a Biles di “sollevarsi sopra le cose della vita”.
La scelta di fermarsi
Tre anni fa, a Tokyo, Beil decide di smettere di allenarsi, comunicando di volersi prendere una pausa (che poi è diventato il suo adagio nello spot di una bibita energizzante: "Pause is power"). Cosa porta la ginnasta più premiata della storia a voler abbandonare?
Biles li ha chiamati “twesties”, una specie di blocco mentale che impedisce al cervello di comunicare col corpo e ha come conseguenza quella di smarrirsi nel bel mezzo di un’acrobazia
Lo spiegò lei stessa sui social, a commento di un video in cui cadeva dalle parallele asimmetriche: «Ti perdi nell’aria, non sai dove ti trovi, non sai quante volte stai girando e non riesci a controllarlo. Non distingui l’alto dal basso. È estremamente pericoloso. Puoi rischiare di morire. E io non voglio».
Ma questo è solo la punta dell’iceberg: essere una campionessa, nell’immaginario collettivo, rischia di lasciare tutto lo spazio alle aspettative che opprimono l’atleta e la persona. Biles scongiura il pericolo: abbandona la ginnastica per due anni e si prende cura di sé. In palestra ci va un paio di volte al mese, comincia una terapia psicologica, torna ad uscire con gli amici, s’innamora e si sposa (con Jonathan Owens, giocatore di football).
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Alla gloria eterna e alle pressioni sulla sua performance, Biles preferisce la vita e ignora chi l’accusava di essere codarda, perdente e ingrata
Oggi, dopo aver dimostrato che saltare una grande competizione per concentrarsi su di sé prova quanto forte sei come persona e atleta, Biles continua a brillare a Parigi. E, a chi azzarda paragoni, lei risponde decisa:
Non sono il prossimo Usain Bolt o Michael Phelps. Sono la prima Simone Biles
Gli abusi subiti
Biles volteggia in aria ma, fuori dalla pedana, non ha paura di tenere i piedi ben piantati a terra: è quello che ha fatto denunciando Larry Nassar, l'ex osteopata della Nazionale statunitense di ginnastica artistica che ha abusato sessualmente di centinaia di bambine e ragazze durante le sue sedute.
Il caso ha visto coinvolte oltre cinquecento ginnaste di tutte le età, la maggior parte delle quali ancora minorenni, vittime di palpeggiamenti, penetrazioni e atti di masturbazione da parte di Nassar, che le adescava con il pretesto di presunte sessioni di manipolazioni e massaggi.
I primi a denunciare nel 2015 furono i genitori dell'atleta Maggie Nichols, che rivolsero varie segnalazioni ai dirigenti della Nazionale, ricevendo rassicurazione da Steve Penny, l'allora presidente della USA Gymnastics, che sarebbero stati presi i dovuti provvedimenti.
Penny non chiamò mai le autorità competenti, occultando invece le prove che avrebbero potuto incriminare Nassar
Quello stesso anno Larry fu licenziato, ma il clima omertoso attorno alla sua figura rimase sino a che, due anni dopo, l'Indianapolis Star raccolse in un’inchiesta le testimonianze di 368 ex ginnaste. Nel frattempo l'ex osteopata della Nazionale, trovato in possesso di almeno 37 mila video e immagini di pornografia infantile, venne condannato a 60 anni di prigione federale per pedopornografia. Un anno più tardi il tribunale gli comminò 175 anni di pena detentiva con una storica sentenza della giudice Rosemarie Aquilina: «È un mio onore e privilegio condannarla. Ho appena firmato la sua condanna a morte. Il suo prossimo tribunale sarà quello di Dio».
La denuncia di Simone Biles
«Quanto vale la vita di una ragazzina? – aveva chiesto provocatoriamente Biles durante la sua audizione – Ho sofferto e continuo a soffrire perché nessuno dell'Fbi, dell'Usa Gymnastics, del Comitato Olimpico e Paralimpico degli Usa ha fatto ciò che era necessario per proteggerci. Meritiamo risposte. Nassar è dove dovrebbe essere, ma coloro che gli hanno permesso ciò meritano di essere ritenuti responsabili. Se non lo sono, sono convinta che questo continuerà ad accadere ad altri in tutti gli sport olimpici».
«Biasimo Larry Nassar e incolpo anche un intero sistema che ha permesso e perpetrato i suoi abusi», continuava in lacrime la campionessa, dimostrando come la sua vulnerabilità non fosse semplicemente “peso della competizione” ma conseguenza di abusi ben più gravi.
I giudizi sul corpo: "non fatelo"
«Dite a Simone Biles di farsi uno chignon, così sono disordinati», scrive qualcuno su X e non è la prima volta che la ginnasta riceve commenti sul modo in cui porta i capelli. Biles ha indirettamente risposto alle critiche mentre era in viaggio per le finali a squadre: attraverso le sue Instagram stories ha pubblicato un video in cui mostrava i suoi capelli tirati indietro. «Non venite a criticare i miei capelli» - ha scritto - «L'autobus non ha aria condizionata e ci sono circa 9.0000 gradi. Oh, ed è un viaggio di 45 minuti». Ha poi aggiunto:
Vi terrò la mano nel dirvi questo: la prossima volta che volete commentare i capelli di una ragazza nera per favore non fatelo
Il tema va oltre i capelli e ha a che fare con il costante scrutinio sul corpo delle donne. Per le donne nere, il giudizio si fa più tagliante sino a costringerle a lisciarsi i capelli per aderire a canoni di bellezza occidentali o per sottostare a regole che vietavano i capelli naturali, considerati disordinati e inaccettabili in contesti formali.
Di recente ha ripreso forza il movimento per la cura dei capelli naturali che passa attraverso la riappropriazione della propria cultura.
«Non ho mai pensato ai miei capelli per come li vedono gli altri», ha detto Biles a Elle USA dopo che gli haters si sono scagliati pesino contro la coda che portava il giorno del suo matrimonio. Ha raccontato di essere «un'autodidatta» e di aver imparato come acconciare la sua chioma solo di recente, anche grazie ai tutorial sui social.
«Alle Olimpiadi non possiamo portarci truccatori o parrucchieri», ha spiegato, raccontando che può sempre contare sulla sua compagna di squadra, Jordan Chiles, esperta nel fare le treccine. «Ero solita preoccuparmi che i miei capelli fossero considerati poco professionali», ha affermato Biles, «ma ora non me ne vergogno più».
Dalla pedana olimpica alla vita quotidiana, Biles brilla.