Storia di H., insegnante clandestina in Afghanistan: seconda puntata
Mi chiamo H., ho 26 anni, sono nata in una provincia occidentale dell’Afghanistan. Oggi vivo a Kabul e non posso dire il mio nome e dare molti dettagli della mia vita presente e passata perché potrei essere arrestata e uccisa. Sono un’insegnante e ho lottato molto nella mia vita per diventarlo. Da quando nell’agosto scorso i Talebani hanno ripreso il potere nel mio paese, dopo 20 anni di tregua, sono costretta a insegnare in scuole clandestine.
Questa che leggerete di seguito è la mia storia. Ed è la storia di tante donne che negli ultimi anni hanno visto una speranza e un futuro migliore rispetto a quello delle generazioni precedenti e che oggi, come me e come le generazioni precedenti, si trovano ad affrontare uno dei periodi più bui della storia. Loro, come me, non smettono di resistere e sperare in un futuro di libertà.
L'insegnamento al tempo della Repubblica
Ho vissuto a lungo in una provincia occidentale dell’Afghanistan. Preferisco non dire dove, di preciso. Poi, quando il vecchio governo è collassato e i Talebani sono arrivati al potere, mi sono trasferita a Kabul, dove non avevo mai vissuto. È qui che sono venuta in contatto con l’organizzazione con cui facciamo questi corsi. Dove vivevo prima, oltre a fare l’insegnante, ero attiva in alcuni gruppi della società civile, in particolare mi interessavo alle attività rivolte alle donne e fatte dalle donne.
Come docente, insegnavo nelle classi dal settimo al dodicesimo grado, l’ultimo delle superiori. Devo dire che si era creata una bella atmosfera in classe, molto amichevole, informale, aperta. Formalmente era vietato affrontare argomenti politici o sociali, discutere con i ragazzi e le ragazze di attualità.
A volte venivamo redarguiti, ma discutevano spesso di quale direzione avrebbe dovuto prendere il Paese, di cosa stesse succedendo. Tra gli studenti, tanti erano interessati all’attualità e non tutti la pensavano allo stesso modo
Per questo le discussioni erano vere, aperte. Era utile per gli studenti e per me, credo. Cosa c’è di più naturale di parlare di ciò che ci accade intorno? C’erano perfino alcune studentesse che vedevano favorevolmente un ritorno dei Talebani. Abbiamo provato a spiegargli quale sarebbero state le conseguenze per le donne. Non so se allora lo abbiano capito. Oggi gli sarà più chiaro, temo. Lì nella provincia occidentale in cui vivevo ho anche contribuito a fondare un gruppo di bibliotecari e lettori. Era una sorta di associazione culturale, con cui aiutavamo chi più aveva bisogno nel leggere o nello scrivere, ma cercavamo anche di individuare le persone con particolari doti, per incoraggiarle. In entrambi i casi, era importante che tutti trovassero fiducia in sé stessi.
Insegnare mi piace. L’inclinazione pedagogica e da attivista l’avevo ancora prima di entrare nelle scuole pubbliche
Quando ero più piccola, alcune volte mi è capitato di sostituire mia sorella nelle sue lezioni, quando doveva assentarsi. In totale, ho insegnato nelle scuole pubbliche per quattro anni, fino al collasso del veccho regime. Giudicarlo mi è difficile.
Non possiamo negare che fossero tempi migliori rispetto a quelli attuali, ma non bisogna neache farsi ingannare, né dimenticare che il ruolo delle donne era perlopiù simbolico, non c’era un potere effettivo. Le donne venivano usate come simboli dal governo fantoccio che c’era allora. Non era un governo democratico o popolare, come dicono, perché dipendeva dagli Stati Uniti e dalla Nato
Certo, si stava meglio allora. La situazione non è paragonabile all’estremismo che c’è ora. Anche allora c’era estremismo, ma era meno visibile, più nascosto. Ora perlomeno è chiaro a tutti la situazione in cui ci troviamo a vivere... [continua]
A cura di Giuliano Battiston. Un progetto editoriale di Mondadori in collaborazione con la campagna "Emergenza Afghanistan" di COSPE.