Storie dall’Afghanistan. La vita di Reha Nawin, attivista fuggita dai Talebani

24-01-2022
Reha Nawin, attivista scappata dalla dittatura talebana e ora rifugiata in Italia, prosegue il racconto della sua vita (trovate la prima parte qui) nel progetto editoriale di The Wom in collaborazione con COSPE, associazione senza scopo di lucro che opera in 25 Paesi del mondo per diffondere i diritti e la giustizia sociale

Gli anni dell’Università, della speranza e della ricerca della giustizia

Appena rientrati dal Pakistan, nel 2004, mi sono iscritta all’Università pubblica di Kabul. Per accedere dovevi fare un concorso, indicare delle preferenze per la facoltà scelta e poi in base ai punteggi venivi assegnato a una di quelle disponibili.

A destra, Reha Nawin
A destra, Reha Nawin

A me hanno dato Sociologia, anche se come prima indicazione avevo indicato Giurisprudenza. Il pallino della giustizia mi è rimasto ma la facoltà di Sociologia mi ha dato molte soddisfazioni: era un ambiente molto libero, avevo dei docenti molto bravi e c’era la possibilità di avere molto scambio e dibattito sia tra noi studenti, riuniti in gruppi e collettivi che si trovavano a discutere oltre gli orari di lezione, e anche in classe.

Era un ambiente molto libero, avevo dei docenti molto bravi e c’era la possibilità di avere molto scambio e dibattito sia tra noi studenti

Era un periodo di grande fermento, le opinioni erano molto diverse anche tra di noi, ma ci confrontavamo con
serenità. All’Università c’erano ragazzi e ragazze, c’erano tutte le etnie. Avevo molti compagni hazara, ma non erano affatto discriminati. Certo non voglio essere ingenua, eravamo comunque molto controllati. C’erano persone, chiaramente infiltrate anche nelle nostre lezioni, persone che rappresentavano i vecchi regimi, qualcuno che inneggiava a Massud (mujaeddin, leader dell’Alleanza del Nord, detto anche il leone del Panshir ed eroe nazionale in Afghanistan per aver combattuto prima i sovietici e poi i talebani e negli anni ’90, ucciso da un attentato nel 2001) o che osservava i nostri comportamenti.

Certo non voglio essere ingenua, eravamo comunque molto controllati

Per storia familiare io ritenevo tutti questi rappresentanti dei vecchi regimi dei criminali e degli assassini. Non l’ho mai detto apertamente ma se dovevo criticare non mi trattenevo. Mi dichiaravo “contro i jihadisti” e contro “i signori della guerra”. Non mi è mai successo niente, ma queste mie dichiarazioni mi hanno valso l’appellativo di “comunista” tra i compagni di università. Forse anche perché in quel periodo mio padre è entrato a far parte del “Partito afghano della solidarietà”, Hambastagi, e io ho cominciato a frequentare i loro eventi.

Vita quotidiana in Afghanistan
Vita quotidiana in Afghanistan

Hambastagi, è un partito di opposizione laico, democratico e interetnico che si batte contro ogni fondamentalismo. Facile capire che abbia molti nemici. Eppure in quel periodo, più che per le idee politiche, sono stata a volte attaccata da alcune compagne o da alcune donne per la strada perché all’epoca portavo,
secondo loro, il velo troppo piccolo e le gonne troppe corte
. Anche la mia cara amica Muska, con cui
condividevo tante idee e tante battaglie mi diceva “Sei una brava ragazza ma se ti aggiustassi il velo e
le gonne, saresti perfetta”. Qualcuno invece mi gridava per strada “ci fai vergognare, non ci si
comporta così”.

Qualcuno mi gridava per strada “ci fai vergognare, non ci si comporta così”

A me non è mai interessata l’opinione degli altri, certo a volte sono stata più attenta per quieto vivere e per non subire molestie. Alcune mie compagne, che venivano da fuori Kabul, per sicurezza portavano ancora il burqa. Nonostante tutto questo, era un bel periodo: avevo il mio gruppo, amiche e amici uomini, spesso rimanevamo a pranzo insieme dopo l’università, e ci spostavamo o con un pullman, organizzato dagli studenti che stavano nello stesso quartiere, o con mezzi pubblici.

La vita culturale non era molto accessibile e non era per tutti. Il più attivo era il Lycée Esteqlal, prestigiosa scuola franco-afghana, che organizzava alcuni eventi e manifestazioni. Ma a quelle più “cool” andavano i figli dei politici o comunque dell’alta borghesia. In ogni caso non mi lamento.

Al secondo anno di Università, ho finalmente cominciato a lavorare. Nel 2007 nei dintorni di Kabul sono state scoperte diverse fosse comuni, dove sono stati ritrovati migliaia di corpi, vittime dei precedenti conflitti. In quell’anno nacque il SAAJS (Social Association of Afghan Justice Seekers) che cercava di ricostruire la storia delle vittime e dare loro, e soprattutto alle loro famiglie, giustizia.

Reha Nawin con la sua famiglia
Reha Nawin con la sua famiglia

Io mi sono subito appassionata a questo lavoro. Da lì in poi credo di potermi definire attivista. Insieme alle mie colleghe e colleghi ho lottato perché alcune storie venissero a galla, perché si ricercassero i responsabili e venissero puniti. Purtroppo molti di loro sedevano ancora nelle fila del governo. Era un’attività molto rischiosa ma il mio senso di giustizia e di lotta ai criminali, tutti, presenti nel mio paese mi hanno sempre guidata in queste scelte. Appoggiata dalla mia famiglia.

Insieme alle mie colleghe e colleghi ho lottato perché alcune storie venissero a galla, perché si ricercassero i responsabili e venissero puniti. Purtroppo molti di loro sedevano ancora nelle fila del governo

L’associazione è stata sostenuta da organizzazioni internazionali tra cui Cisda e COSPE ed è così che sono entrata in contatto con queste realtà. Nel frattempo ho finito l’università e molti dei miei compagni e compagne sono migrati all’estero. Muska si è sposata e adesso sta negli Stati Uniti. Con l’università si è chiuso un nuovo ciclo per me e con l’ingresso nell’età adulta mi sono di nuovo trovata a fronteggiare assenze e lontananze. Siamo un popolo di eterna diaspora. Ma in quel momento io pensavo solo a restare e lavorare per un vero cambiamento politico e sociale...

(Segue)

Le puntate della storia di Reha Nawin:

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A cura di Pamela Cioni. Un progetto editoriale di The Wom / Mondadori Media in collaborazione con la campagna
"Emergenza Afghanistan" di COSPE

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